Ivrea «Manuela per intimidire la colpita madre» di Lodovico Poletto

Ivrea, «Manuela per intimidire la Ivrea, «Manuela per intimidire la colpita madre» IVREA. Due mattoni e un brandello di stoffa strappato a una camicetta. E un'idea, maturata dopo gli interrogatori di ieri: forse Manuela è stata uccisa da qualcuno che voleva vendicarsi della madre, Raffaella Marchelli, cameriera di 33 anni. O intimidirla perché non riveli ciò che sa su vecchie storie di sangue. Polizia e carabinieri non dicono di più, anzi non dicono nemmeno questo: «Abbiamo alcuni elementi, ma tutti da chiarire». Fino all'anno scorso Raffaella gestiva una pizzeria a Ivrea. Li aveva conosciuto l'attuale convivente, Claudio Nogara. E Nogara era amico di un uomo assassinato a bastonate sotto casa, e di un altro coinvolto nell'omicidio di Carmelo Rizzo, panettiere di Strambino, ossia del paese dove abita la famiglia Petilli Marchelli. E' una pista, buona come quella del delitto a sfondo sessuale. Gli investigatori la seguono con tenacia. E tenacemente s'aggrappano a un pugno di oggetti. Li hanno raccolti a Cerone, al primo piano della casa del mostro dove le guardie forestali avevano trovato il cadavere della ragazza. Indizi? «Speriamo, tutto è possibile» si limita a dire il sostituto procuratore Fornace. Macchie rosse sui mattoni. Forse è sangue, sangue di Manuela. Forse l'assassino li ha usati per colpirla, prima di darle fuoco. Oppure le ha strappato la camicetta, ha arrotolato quel pezzo di stoffa che ora non ha più colore e lo ha stretto al collo, sempre più forte, fino a quando lei non ha smesso di scalciare. Sarà la scientifica a esaminare gli indizi, se così li voghamo chiamare. Dovrà dire se le macchie sono sangue umano, e se quel sangue è di Manuela. Tra gli oggetti anche un biglietto ferroviario. La data è antecedente il 2 agosto: «Controlleremo le impronte, non si sa mai». «Per noi questa è una priorità, una priorità assoluta» dice il questore di Torino Carlo Ferrigno. E' venuto in Canavese per un sopralluogo alla casa del delitto. A questa indagine ha destinato i suoi uomini più esperti: il dottor Di Guida, specialista in rapine, il dottor Baranello, capo della Criminalpol dopo aver guidato per tanti anni la Digos. I carabinieri hanno diviso la mappa di Ivrea e Strambino in tante zone. Una zona, una pattuglia incaricata di setacciare, di interrogare, di trovare un filo. Fino a ieri è andata male. Una testimone ricorda che c'era un cancelletto giallo a due passi dalla casa del custode. A fine luglio lei lo aveva visto, serrato da un lucchetto. Qualcuno lo ha divelto e gettato nel fosso. Ma non significa granché, cancello o non cancello alla centrale Enel si poteva accedere con facilità, oltrepassando una recinzione malandata. Un'altra donna, il suo no¬ me resta coperto, ha ripetuto che il 2 agosto Manuela era a Ivrea e faceva l'autostop per raggiungere Strambino. Alla stazione l'attendeva il fidanzato, Paolo Lombardi. Non è mai arrivata. In Procura, nelle caserme, continua la processione dei testimoni. Ieri è toccato a Rino Dufour, 48 anni, convivente della mamma di Paolo. Gli hanno domandato dov'era il pomeriggio in cui è scomparsa Manuela. Ma è la procedura, una domanda che deve essere fatta a tutti.. Gli hanno domandato se ha un sospetto, anche debole: «No, buio fitto» ha risposto. Nuovo interrogatorio per Raffaella Marchelli, per Claudio Nogara: «Se avessi davanti quel bastardo lo strozzerei» dice Nogara, e fa il gesto delle mani serrate attorno al collo. Ma pure lui non sa nulla, pure lui non aiuta le indagini. Sul luogo del delitto hanno portato Gianni Marchelli, fratello di Raffaella. Risultato: zero. «Eppure una traccia ci deve essere» ribadisce, ostinato, il i commissario Celia. L'autopsia è stata un mezzo fiasco, non ha detto come è morta Manuela. Servono analisi più approfondite, chissà se conosceremo mai cosa è accaduto nella casa del mostro. Perché una convinzione gli mquirenti se la sono fatta: la ragazza è morta lassù, al primo piano di quel casolare conosciuto da tossicodipendenti e sbandati, rifugio per coppiette in cerca di sohtudine. E' l'ipotesi che meglio s'adatta ai fatti: l'autostop a Ivrea, la corsa in auto con r«amico», il casolare non ignoto. Se tutto è accaduto lì, allora non restano alternative: Manuele conosceva il suo assassino, e lo conosceva bene. Ma la sua vita di quindicenne spensierata era già piena di volti, di gente incontrata al bar, in piazza. Oppure tra i tavoli della pizzeria gestita dalla mamma. Pazienti, poliziotti e carabinieri continuano a ripetere le stesse domande, a setacciare le stesse zolle, a controllare gli stessi alibi. Attendono un errore. Finora il mostro non ne ha commessi. Lodovico Poletto Raffaella Marchelli, madre della quindicenne barbaramente trucidata vicino ad Ivrea da una persona che probabilmente lei considerava amica