Il giallo di Lodi svela la vittima

La mamma Sotto torchio per ore il patrigno e un misterioso amico Il giallo di Lodi svela la vittima E'Maria, 19 anni, faceva la cameriera LODI DAL NOSTRO INVIATO «Era bella che pareva 'na madunina». E' questo il ricordo di Maria che vuole conservare la tabaccaia di Pozzuolo Martesana, a pochi metri dal bar dove lei andava con gli amici. Invece è brutta quella foto finita sui giornali di Maria Concetta Romano, 19 anni, nata a Palermo, morta strangolata e poi gettata in un canale a dieci minuti da qui, bassa Padana, afa e zanzare. «Piccolina ma bella, con gli occhi castani e i riccetti dello stesso colore», la ricordano in paese. «Una ragazza come tante, vivace, serena. Jeans e maglietta, niente abiti vistosi», dice chi se la ricorda passare in motorino. Una ragazza come troppe. Dieci in un mese. Uccise in mezza Italia da non si sa chi. E il mistero rimane aperto anche per Maria Concetta. «Forse questa volta ci siamo», ripetono per tutto il giorno gli mquirenti, alle prese con supertestimoni e due uomini interrogati fino a sera: Giuseppe Redaelli, 40 anni, il patrigno di Maria Concetta, e Rosario L., stessa età, l'uomo che nelle ultime due settimane Maria frequentava con assiduità. «Forse questa volta ci siamo», ripetono i carabinieri. Ma il sogno sfuma alle 20. Non ci sarà l'annunciata conferenza stampa di Carmen Manfredda e Vincenzina Greco, i due magistrati che si occupano dell'inchiesta. Per adesso di certo c'è solo l'identità della ragazza e le cause della morte. «E' morta subito, strangolata da quella corda attorno al collo stretta da una persona che le stava dietro», dice Angelo Ghecchi il medico legale. Prima i colpi con un corpo contundente alla nuca, in testa, sul viso. Poi quel laccio attorno alla gola. «Praticamente non ha opposto resistenza. Era aita un metro e cinquanta, chiunque avrebbe potuto sopraffarla», aggiunge il medico. Niente violenza sessuale, niente droga, niente alcool, ma l'ultima parola spetta alle analisi di laboratorio. Chi l'ha uccisa le ha poi legato una corda attorno ai polsi, alle caviglie. La fune anche in bocca, di traverso. Nodi molli, forse solo per trasportarla meglio. E poi metri e metri di nastro adesivo da pacchi sulla faccia, sulla testa, «Forse per evitare che perdesse sangue, che lasciasse tracce», ipo tizza il medico. «E' stata uccisa verso mezzogiorno, poche ore prima del ritro vamento», dice il medico legale. Uccisa lontana, forse in una casa. Poi, gonna a fiori, maglietta, sen za scarpe, senza slip il «fagotto» finisce in una roggia vicino alla cascina Castiona, dove passa la Muzza, uno dei tanti canali che attraversano il lodigiano. E' lì che la ritrova un pescatore. Uno dei tanti che insegue le carpe e si tro va invece quel fagotto malamen te avvolto da una coperta e da due sacchi della spazzatura. Scat- ta l'allarme, partono le indagini. Senza un documento d'identità, senza un segno di riconoscimento, nemmeno un gioiellino come traccia da seguire, quel corpo rimane senza nome. Cella fredda dell'obitorio del'ospedale di Melegnano. Tocca a Rosa Quartanaro, la madre, e ad Enza, la sorella maggiore di Maria Concetta, fare il riconoscimento. E' un parente che le avverte. Ha riconosciuto la foto pubblicata sui giornali. La madre ha un malore, e viene ricoverata al pronto soccorso sotto sedativi. E intanto le indagini vanno avanti frenetiche, mentre le voci si rincorrono per tutto il paese. Spunta un supertestimone, abita nella casa a fianco della giovane uccisa. Ma forse è solo uno dei tanti che racconta per sentito di¬ re. Dice ai carabinieri di aver visto, venerdì verso le 13, la madre della ragazza uscire per strada insieme al patrigno. Avevano un pacco in mano. E al ritorno, poco dopo, l'uomo avrebbe lavato l'auto. Ascoltano tutto e tutti i carabinieri. Il patrigno finisce nella caserma di Melegnano. La voce circola. «E' un uomo mite, lavora come mungitore in una azienda a pochi metri dalla casa», dice un suo collega. E' solo un testimone Giuseppe Redaelli. Da qualche anno vive con la donna, separata, che ha lasciato il marito a Palermo. Ma a metà pomeriggio i carabinieri lo riportano nella sua abitazione, due piani, i gerani con il rampicante, la veletta antizanzare alle finestre. Inizia una perquisizione. Un militare esce dalla casa con una scopa in mano. La dà agli uomini della scientifica. Poco distante c'è Marco Motta, il fidanzato di Enza, la sorella di Maria Concetta. Si devono sposare a settembre. «Era buona, simpatica, spigliata, amica di tutti. Qualche sbalzo di umore, come tutte le ragazzine», dice il ragazzo. E poi racconta che solo negli ultimi tempi Maria era cambiata. Si era licenziata dal ristorante la Colomba di Liscate dove lavorava come cameriera, non tornava più a casa a dormire. Tanto che il 16 agosto la madre di Maria Concetta era andata dai carabinieri di Cassano. Perché? A denunciare cosa? Aveva qualche sospetto? Sì, c'è un uomo negli ultimi giorni di vita di Maria Concetta. Rosario L„ 40 anni. Un cliente del ristorante La Colomba. Conosce la ragazza, e nelle ultime settimane li vedono spesso insieme. «Non è di qui, forse di Milano», dicono in paese. Andava da lui Maria Concetta quando non stava a casa? Anche questo i carabinieri chiedono per tutto il giorno all'uomo. Si verificano gli alibi, si ipotizzano i moventi. E gli interrogatori di parenti e conoscenti continuano. Ma il nome dell'assassino di Maria Concetta non c'è ancora. Fabio Potetti La mamma la riconosce e poi sviene «Da settimane mia figlia era cambiata Dormiva fuori casa» A destra il cadavere di Maria Concetta Romano, a sinistra la giovane insieme con Giuseppe Redaelli, convivente della madre

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