NOVELLA CALLIGARIS Record e scoppiò la vita di Novella Calligaris

NOVELLA CALLIGARIS QUELLA NOTTE. «Diventai mondiale e mi dimisi dal grande nuoto» NOVELLA CALLIGARIS Record, e scoppiò vita tROMA UELLA sera, quella notte a Belgrado accaddero intorno, addosso, dentro a Novella Calligaris nuotatrice: le belle cose canoniche previste per chi è appena diventato campione del mondo, nello sport che sin lì gli ha riempito e segnato la vita; e anche altre cose che hanno preso spessore dopo. Era la sera del 9 settembre 1973, una domenica. Due giorni dopo sarebbe morto, di golpe e di mitra, Salvador Allende, che aveva portato nel Cile il marxismo al governo, e sarebbe cominciato il lungo, triste e tristo Cile di Pinochet. «Io avevo diciannove anni - ricorda la Calligaris -, mi allenavo con i maschi della Nazionale, il tecnico mio e loro era Bubi Dennerlein, un tedesco di Napoli, che favoriva le discussioni politiche, ci voleva uno contro l'altro, perché restassimo vivi, attenti, non ci ubriacassimo d'acqua e basta. In squadra c'erano quelli di destra e di sinistra, io dopo tanto nuoto di successo, di vetrina, ero più matura della mia età, stavo o cercavo di stare vicina alle cose della vita. L'anno prima, alle Olimpiadi di Monaco il mondo delle piscine celebrava quei Giochi come i primi in cui un italiano, e per di più femmina, era arrivato al podio, e ben due volte. Ma io, pur essendo proprio quell'italiano, lavoravo con i pensieri soprattutto sulla storia tragica dell'irruzione dei fedayn nel villaggio, nella palazzina degli israeliani vicina alla nostra». Novella in quel 1972 era la beniamina di tutto lo sport italiano, aveva cominciato nel nuoto di gara da otto anni, bambina, e era definita un fenomeno: piccola, sottile, impertinente, sempre gianburrascosa, scortese con i giornalisti, naturale nel copione della divetta. «Mi volevano bambina prodigio, poi ragazzina di successo, e io cercavo di uscire dal nuoto e di capire perché avevano portato la morte nel villaggio, a pochi metri da me. Era stato ucciso un allenatore di canottaggio fidanzato di una nuotatrice americana che conoscevo, e poi nei giorni prima delle gare avevo rafforzato l'amicizia proprio con Mark Spitz, sette medaglie d'oro in quell'Olimpiade, ebreo statunitense portato via dalla polizia tedesca, già il giorno dei fedayn, perché ritenuto un bersaglio ambito». A Belgrado, l'anno dopo Monaco, nella Nazionale di nuoto si parlava anche del Cile con un'attenzione particolare. «L'impegno delle gare comunque funzionava bene, come il solito anestetico contro le cose brutte o difficili del mondo. Qualcuno in squadra diceva che stava finendo un'utopia, a parlare così erano specialmente quelli di sinistra, davanti allo sciopero dei camionisti cileni e ai pericoli che correva un governo per il quale tifava mezzo mondo. Io stavo al centro, equidistante per molte ragioni, compresa la voglia di tranquillità. Io sono di Padova, la mia famiglia è una famiglia-bene, quando c'è stato il Sessantotto studenti di estrema sinistra muravano le porte della mia scuola privata, i miei genitori aiutavano ad abbattere quei muri, a farmi entrare». La sera di Belgrado fu quella della gara, la notte fu quella della fine di Novella Calligaris nuotatrice. «Mi chiesi, molto semplicemente: e adesso che ho vinto tutto, cosa faccio? Mi ritrovai ai piedi di una salita. Stavo in camera con Chicca Stabilini, brava nuotatrice, lei ogni tanto mi aiutava a tornare sulla gara, unico sistema per non precipitare nel futuro: ma siamo proprio sicure che hai vinto? E io a dirle che avevo dato dieci occhiate, dopo avere toccato il bordo della piscina, al tabellone elettronico, era tutto vero anche se il resto sembrava un sogno, la statunitense Rothammer, la favorita di quegli 800 metri a stile libero, che finita la gara nuotava verso di me per abbracciarmi, per dirmi che era contenta che avessi vinto io, e per di più stabilendo il record del mondo. Un sogno anche i giornalisti amici intorno a me, i dirigenti, la cerimonia della premiazione con inno e bandiera. Con Chicca sentivamo i rumori dell'hotel, pieno di boati, rimbombi, sibili, li avevamo maledetti per tante notti perché non ci facevano dormire, adesso invece li interpretavamo, e uscivamo di camera per andarli a scoprire bene. Nell'albergo, finiti i campionati, erano in pieno svolgimento Dallas e Dynasty e le telenovelas americolatine, voglio dire che c'erano, compressi nel tempo e nello spazio, incontri, flirt, rivelazioni di trame. Io ero appena uscita dal mio sabato del villaggio, la domenica era stata la gara, adesso avevo di fronte una settimana lunga una vita, gli altri che sapevano di dovere stare nel nuoto ancora per anni cercavano amicizie che dovevano durare sino alla prossima manifestazione, tenute vive da lettere, telefonate. Io in quella notte uscii dal nuoto, anche se continuai a gareggiare sino all'anno dopo. Ci uscii con la testa, in poche ore mi spostai verso la vita, verso le cose del Cile, soprattutto verso l'Italia che mi aspettava». Novella andò subito in vacanza a Ponza, «con amici maschi perché dopo tanti anni ad allenarmi con la Nazionale maschile non sopportavo mica bene le ragazze della mia età». E quando uccisero Allende? «Un vago senso di colpa per non partecipare in qualche modo alle manifestazioni politiche, per andare a Ponza proprio in quelle ore tragiche. E col passare degli anni una sor- ta di miniespiazione: ho letto e sto rileggendo tutto della scrittrice Isabel Allende, sua nipote, cerco nelle righe ogni premonizione del golpe, ogni annuncio di tragedia, probabilmente scopro anche quello che non c'è, quello a cui lei non ha pensato». Il ritorno a quella sera, a quella notte, è il pretesto per agganciare due Italie, quella di allora e quella di adesso, nel solito confronto, questa volta però con lenti speciali. «Adesso magari firmeremmo, noi campioni dello sport, come i campioni di altri settori, una petizione per la libertà in Cile, e poi prenderemmo un aereo per viaggi affascinanti, costosi, liberatori. Allora eravamo meglio (o peggio, lo stesso) ovattati, carrozzati, corazzati, blindati, però non eravamo, non diventavamo in fretta ricchi, e frequentavamo sentimenti non a comando. Due parole allora sul Cile valevano forse interi discorsi di oggi per riempire una qualche notte mondana, una qualche vacanza paraintellettuale, intel¬ ligente. Il fatto è che i soldi erano così pochi che ci sentivamo in una trincea materiale, per le battaglie della vita, mentre adesso, ricchi e sicuri, ci si sente magari in una trincea pseudomorale, partecipi sì degli affanni degli altri, ma in qualche modo morbido e non pericoloso. Io anche quella notte, la prima da campione del mondo, non mi sentii più ricca, non feci calcoli. Perché non si prendevano che pochissimi soldi per la vittoria, più che altro dal Coni, e ricordo che scoprii che la federazione nuoto incamerava anche il sussidio che io ricevevo come proba¬ bile olimpica, quei soldi che dovevano in linea di principio servirmi per le bistecche». Per arrivare a quella notte di Belgrado Novella aveva lasciato Padova - «ma sono sempre rimasta tesserata per la Rari Nantes Patavium, e adesso sono una veneta a Roma» - e si era trasferita, con la famiglia, nella capitale, dove allenarsi meglio con Bubi. Il padre lavorava per una protoditta di computer, viaggiava sempre, Roma per lui era come Padova, comunque delle migliore installazioni per il nuoto approfittava anche Mauro, fratello di Novella, arrivato lui pure all'azzurro. La mamma era dedita all'arte, e Roma le andava benissimo: «Io gareggiavo, lei non mi seguiva perché doveva assolutamente andare a vedere, proprio quel giorno lì, una mostra di incisioni di Dùrer. La notte di Belgrado telefonai e c'era soltanto papà, poi mamma mi telefonò da Siracusa dove era per una stagione di balletto». Mamma, triestina mitteleuropea, figlia di una jugoslava e di un tedesco, non faceva parte della fauna di damazze ossessive che seguono le figlie nuotatrici, una piaga delle piscine, antica, eterna. Bubi Dennerlein, l'allenatore succeduto a Gianni Gros, era per Novella Calligaris padre, zio, tutore, medico, ginnasiarca, nettuno, guru, psicologo, ipnotizzatore, benefattore, torturatore, fratello, comandante, ginecologo quando era tempo di fare certi calcoli per non far coincidere le gare con quei giorni lì. «L'ho chiamato sempre signor Dennerlein, fino a quando sono diventata campione del mondo. Lo cercavo con la voce nella bolgia di quella piscina, lui non mi sentiva, a un certo punto misi tutta me stessa nel bisillabo Bu-biiii, lui si voltò, da allora gli diedi del tu». Bubi, Costantino di battesimo, a Belgrado aveva orchestrato la faccenda del dente di Novella, un dolore maledetto, un gabinetto medico che sembrava un garage per auto malandate, riparazioni sommarie, saltate le speranze nella gara teoricamente più per Novella, i 400 misti, terzo posto sui 400 stile libero, e la decisione di tentare tutto sugli 800, l'ultimo giorno dei Mondiali, partendo veloce: «Con mio fratello Mauro che mi malediceva pensando a un mio tremendo errore tattico». Novella va per i trentanove, ha un figlio di tredici anni e mezzo. La vita gli è passata sopra veloce, più dell'acqua della piscina. «Il matrimonio, il figlio, la fine del matrimonio dopo un anno. Tanti lavori, specie nel giornalismo scritto e in quello televisivo. Il posto fisso presso un'agenzia di viaggi, curo le relazioni esterne ma non dietro a un tavolino, guido la gente a fare turismo duro sulle Panda, nei posti più difficili del mondo. Ho in preparazione un gioco televisivo per ragazzi, per bambini, cercando di portarli, massi anche con domande a premio, a conoscere e poi amare lo sport. Non ho mai voluto privilegiare il nuoto nella mia opera di propaganda, va be¬ ne tutto lo sport, è sempre un buon affare per tutti, chi lo fa e chi lo fa fare: voglio dire un affare per la salute, non dovrebbe mai esserlo per le tasche. In ottobre correrò la maratona di New York: mi alleno con 10 chilometri al giorno. In questa Italia lo sport mi pare sia stato e sia ancora un'isola di maturità, di pulizia, di voglia di fare. Quella volta che a Belgrado mi chiesi "e adesso cosa faccio", pensavo che comunque dovevo restare nello sport, con lo sport». Volle dire molto l'anno fra i fedayn («sembrava un film») e Belgrado, «ho ixuminato con i pensieri tanta di quella vita, tra un evento e l'altro». Poi volle dire molto quella notte, «Chicca Stabilini che stava con me fu come travolta da tutto quello che facevo, dalle mie improvvise grida di gioia ai miei silenzi, dal mio alzarmi dal letto per scendere a prendermi un altro pezzo di festa, al sonno che ogni tanto mi schiacciava sulle lenzuola. Io sono sempre stata capace di dormire intensamente anche per breve tempo, magari fra le batterie e la finale, usando le poche ore, se del caso i pochi minuti. Quella notte dormii: anche». Il ritorno a Roma in aereo, il mattino dopo, fu squalliduccio: «Come sempre dopo le feste. Io non ero un calciatore, a Fiumicino c'era ben poca gente ad attendermi. Il dopo-Calligaris scoppiò senza di me, il mio successo servì al maquillage di tanti. Fece quasi scandalo un giornalista che rifiutò dalla federazione una medaglia d'oro data a chi aveva concorso al raggiungimento della vetta: disse che lui quel giorno se ne stava in panciolle su una spiaggia greca, nessun merito. Ma intorno alla mia medaglia d'oro ci fu una bella ressa, mi sembrava di avvertirla anche stando a Ponza. Dove lessi che era morto, come era morto Allende». I ricordi dei campioni sportivi in genere si concentrano su come si vinse quella gara, sul passaggio cruciale, l'attimo decisivo, la frazione di secondo determinante. Novella invece si prende tutta una notte, la notte di Belgrado: «Capii che dovevo fare qualcosa di nuovo, e che qualcosa di nuovo non potevo farlo nel nuoto, dove semplicemente avevo fatto tutto, e dove il tempo corre così veloce, per regole atletiche e tecniche, che tu sei troppo giovane per un'Olimpiade e, quattro anni dopo, troppo vecchia per un'altra. «Pensai anche al Cile di cui si parlava, non molto ma poteva bastare, con i compagni di allenamento. La nostra politicizzazione fuori piscina era il residuo del Sessantotto, in piscina ci suggerivano qualcosa le tedesche orientali, quelle della Ddr che ora è sparita: si diceva che pur di vincere, per il regime che le comandava e le pagava, prendevano ormoni, mettevano su i baffi e non solo i baffi. Io ero così scricciola che mi presentavano come una sorta di risposta lati na, gentile, molto femminile ai loro proclami agonistici tenuti con voce roca, maschile. In mezzo c'erano le americane, tutte sa lutismo, tutte vitamine lecite: mi offrirono una borsa di studio per andare a nuotare molto e a studiare quel poco che volevo in California, nel mitico club di Santa Clara, ci pensai sopra e dissi di no, sarebbe stato riprendere la solita strada, rifare le cose che avevo già fatto, volevo uscire, cambiare. Ero angosciata e felice nel chiedermi cosa avrei potuto fare». Gian Paolo Or-mezzano 119 settembre 1973 a Belgrado: «Avevo 19 anni. Conquistato il titolo degli 800 metri stile libero, corsi alla festa. L'albergo era tutto un vortice di incontri, flirt, trame amorose» «Ricordavo gli atleti israeliani uccisi dai fedayn a due passi da noi l'anno prima a Monaco. Pensavo al sogno di Allende che stava finendo in Cile: e quella sera io "ragazzina prodigio" cominciai a diventare donna» l ll nuotatore americano Mark Spitz, 7 medaglie d'oro a Monaco: la sua vita era in pericolo. A sinistra, Salvador Allende, premier cileno travolto dal golpe vent'anni fa Qui accanto Novella Calligaris con le tre medaglie vinte nel '73. Sopra un'immagine delle Olimpiadi di Monaco, insanguinate dall'attacco fedayn contro gli atleti israeliani. A sinistra, con il figlio. Sotto, a Belgrado, appena conquistato il titolo degli 800 metri