«Lo giuro prenderò io il mostro che ha ucciso la mia Manuela»

«Lo giuro, prenderò io il mostro che ha ucciso la mia Manuela» «Lo giuro, prenderò io il mostro che ha ucciso la mia Manuela» IVREA. Vent'anni o giù di lì. E deve essere uno del posto, un «mostro» che lei, Manuela, povera Manuela ingannata, ammazzata e bruciata, aveva già incontrato. Sennò, ripetono tutti, figurati se lei si sarebbe fidata, a salire sulla macchina di uno sconosciuto. Eppure c'è sab'ta, su quella macchina guidata da uno che le sorrideva, e scherzava, diceva che qui dalle nostre parti non c'è mai niente da fare, ci si annoia, a Ivrea, e anche nei paesi, no? E la macchina è partita veloce, verso casa, e ha deviato verso la vecchia centrale di Cerone, e lì tutto è finito per Manuela Petilli, 15 anni appena, sparita il 2 agosto a Ivrea, trovata l'altro ieri, a pochi chilometri da Strambino, da casa. Fagotto nero, uccisa bruciata, perché nessuno potesse trovarla più. Un rebus d'estate. E tutti che si domandano: ma è stata violentata, la ragazza? All'obitorio dell'ospedale di Ivrea si aspetta l'uscita dei medici che hanno fatto l'autopsia su Manuela. Escono, il professor Torre e il collega Lazzari, allargano le braccia. E chi può dirlo? «Non si può dire, bisogna fare altri accertamenti, altri esami». Il cranio è intatto, nello stomaco ci sono resti di cibo, ingerito chissà quando. Tra un mese gli esiti. Ma la verità nuda e cruda è questa: il cadavere di Manuela era metà carbonizzato dalle fiamme, metà mangiato dalla decomposizione. «Il basso ventre non c'era quasi più. Spiace dirlo, solo vermi», dice il giudice Fornace mentre si toglie la mascherina di garza. Ma accanto a quel corpo c'erano degli oggetti, pezzi di oggetti che possono aiutare a capire. Uno straccio arrotolato che forse era la camicia che Manuela inddossava il 2 agosto. Forse usato per strozzare la ragazza. Repertato. Ma il collo di Manuela non c'è più. Vai a capire, adesso. Pezzi di jeans, un reggiseno rimasto fuso sul corpo, le mutandine di pizzo, bianche. E poi le scarpe di Manuela. Le aveva nei piedi quando l'hanno trovata. Blu, con la suola di gomma bianca. E sulla suola sono rimaste tracce di calcinacci, della polvere che ricopre ogni cosa, laggiù alla «casa del mostro». E' poco, per capirci qualcosa, ma è qualcosa. Manuela ha calpestato quei pavimenti sfondati della casa nel bosco, la vecchia abitazione del custode della centrale. Allora c'è andata con le sue gambe. Magari costretta, magari spinta dalla voglia di avventura, «ti porto io a vedere la casa del mostro, non avrai mica paura?». Che brivido, andare là. Nessuno lo saprà mai. E poi qui chi ci viene? I ragazzini a fare il bagno nello stagno vicino alla centrale. Tuffi proibiti, nel verde che sa di marcio, perché tutti lo sanno che è pericoloso. Ma chi ti vede? Uno di questi bambini si ricorda che là, alla casa, c'era anche una scala, vecchia, ma serviva bene, per sabre al primo piano. E se anche non c'è la scala, qualcuno ha scavato una specie di scala nel muro. Si fa tica, però è bello, dopo, cammina re nel vuoto sulle travi, e raggiungere la tana: una stanza piccola, dove nessuno ti vede. Dieci anni fa ci veniva uno, Liborio Testa, un'autista di camion, con le ragazzine. E le violentava. Poi l'hanno arrestato. Ma è successo tanti anni fa. Forse però è successo di nuovo, magari proprio quel pomeriggio. Lo sconosciuto del 2 agosto le avrà detto: «Perché no, non ti fidi di me? Lo facciamo?» Lei ci ha ripensato. L'altro, o gh altri, l'hanno colpita, è caduta, è morta. Che fare? L'hanno avvolta nel materasso, coperta di mattoni, appiccato il fuoco, la fuga. Poche ore prima, quando tutto andava ancora bene, Manuela aveva telefonato al suo fidanzato: «Paolo, mangio dal nonno, poi vieni a prendermi alla stazione di Strambino, alle 15,15. Va bene?». Però lei all'appuntamento non c'era. Lui ha aspettato tutto il pomeriggio, la sera, la notte. La mamma di Manuela ha fatto denuncia: «E' sparita nel nulla». Ieri la mamma, Raffaella Marchelli, ha detto che lo prenderà, l'assassino. «Lo prenderò, lo prenderò», e neanche piangeva, sulla piazza davanti all'ospedale di Ivrea. Finite, le lacrime. Comincia il rancore, l'odio. Vendetta. Fargli male, a quel mostro che le ha fatto male. «Io da Ivrea sono scappata via dice - Ho lavorato a Milano tanto tempo». Aveva 18 anni, quando è arrivata Manuela. Il padre, Alfonso Petilli, l'ha riconosciuta. E poi se ne è andato. Raffaella poi ha conosciuto Claudio Nogara, rilegato¬ re di libri. Si volevano bene, un po' litigavano. Han provato a convivere, poi la decisione di starsene ognuno per conto proprio. «Manuela certe volte diceva che voleva più bene a Claudio che alla mamma. Ma son cose che si dicono così», sospira Marina, nel suo negozio New York di jeans a Strambino. La ragazza, «un tesoro», veniva qui, si sedeva al fresco, raccontava dei Paolo, ogni tanto un litigio, poi un abbraccio. Paolo l'ha cercata tanto, la sua ragazzina. E quando l'hanno trovata, è diventato muto, non voleva più dire niente, poi ha deciso di andare a dornùre nel lettino di Manuela, nella casa di via Duca degli Abruzzi, dove adesso c'è un vicino di casa che dice: «Una così bella ragazzina. Ci vorrebbe la forca, gbelo di¬ ce uno che ha fatto la guerra», e si asciuga gli occhi col braccio abbronzato. Settemila abitanti, Strambino. E un'unica gloria: la stazione ferroviaria più bella d'Italia. Ne parlavano ogni anno i giornali, merito dei fiori, della fontanina, tutto riverniciato ogni anno. Un posto tranquillo. E adesso questa fama, il paese del mostro. Perché proprio qui, si chiedono tutti. Qui si sta bene. Le donne che stanno pulendo la chiesa, chiesone barocco color giallo polenta, se lo dicono tra i banchi. Fa fresco, c'è odore di lisoformio, è domenica è l'Assunta. Vanno e vengono, polizia e carabinieri di Ivrea e Torino. Il capo della Digos, Antonio Baranello è cauto, la pista della polizia batte da giorni gli amici di Manue- la, amici vecchi, di paese, e nuovi, gente di fuori. I carabinieri invece lavorano sui famigbari. E l'altra sera hanno sentito per ore Claudio Nogara, il compagno della madre di Manuela: un interrogatorio che sembra infruttuoso. L'uomo è con fuso, sconvolto. Ma è tornato a ca sa. E ieri di nuovo. Gh interrogatori vanno avanti. Di nuovo la madre, e il suo compagno, e il padre naturale. E il fidanzato. I nonni, gh amici di Strambino, di Ivrea, perché la ragazza co nosceva un sacco di gente, e si fi dava un po' troppo di tutti. Inge nua, ma scema no. Carina. Le sue foto segnaletiche sono sparite. In giro le locandine dicono Manuela è morta, la storia è finita. Brunella Giovara La madre della vittima cerca la verità nel macabro thriller che sconvolge Ivrea Sotto, il luogo dove è stato trovato il cadavere di Manuela