Ragazzi bene massacrano un barbone di Zeni

Milano, cinque minorenni picchiano un vagabondo con le assi della panchina su cui dormiva Milano, cinque minorenni picchiano un vagabondo con le assi della panchina su cui dormiva Ragazzi bene massacrano un barbone Avevano fondato il nucleo «Gab» contro i mendicanti Né razzismo, né motivazioni politiche per le loro azioni MILANO. Picchiato in uno dei pochi spicchi di verde del centro, nei giardinetti di San Marco che stanno alle spalle di via Solferino dove un tempo - la notte - si sentiva il rumore delle rotative del «Corriere». Picchiato a sangue da cinque giovani, tutti minorenni, tutti figli di papà, perché non sapeva che quei cento metri quadri di verde rinsecchito erano stati dichiarati zona off limits da quelli del Gab, il gruppo anti barboni. No, non conosceva le minacce del Gab, Lino Arzenton, 58 anni, padovano di nascita, residente a Torino, domiciliato sulla prima panchina disponibile in uno dei mille giardinetti dell'Italia dei senza fissa dimora. Oggi a Milano, domani chissà secondo l'itinerario zigzagante di chi per professione ha scelto quella del barbone. E a Milano, l'altra sera, per passare la notte, Arzenton aveva adocchiato proprio quella panchina, un po' nascosta, a due passi dalle Gabelle, antico ponte sul Naviglio che non c'è più. Facile per i ragazzi del Gab sorprenderlo nel primo sonno, picchiarlo con le assi di una panchina già mezza rotta. «Sporco barbone», gridano Alessandro F., Boris A., Claudio S., Alessandro B. e Sergio A., i ragazzi del Gab che nei giardinetti delle Gabelle hanno il punto di ritrovo dopo cena. Gridano. E picchiano duro. Poi, quando si affaccia qualcuno da una delle poche finestre illuminate nel deserto di mezza estate, la fuga: «Via, prima che arrivi la polizia». Arriva dieci minuti dopo la volante che qualcuno ha chiamato, quasi insieme all'ambulanza. Per terra Arzenton, il barbone, è svenuto, il viso coperto di sangue. Di corsa al Fatebenefratelli, al pronto soccorso che per fortuna è a meno di mezzo chilometro: trauma cranico, ferite alla fronte e alla tempia, trauma addominale e parecchie costole rotte. «Era proprio ridotto male», confermano un infermiere e i medici che ancora considerano riservata la prognosi. Dei cinque del Gab nemmeno l'ombra. Svaniti dopo aver lasciato alle spalle della panchina, sotto una vecchia scritta, la loro sigla minacciosa da giustizieri della notte. Ma Alessandro e Boris restano in zona. Persino troppo facile per la polizia, un'oretta dopo, scovarli e fermarli dopo un'inutile corsa verso la fuga. Facile convincerli a parlare, a confessare prima di aver assistito ai fatti, poi di essere amici degli aggressori, infine di aver partecipato all'aggressione insieme a Claudio, Alessandro e Sergio che i poliziotti vanno a prelevare a casa. Tutti dentro, a riflettere, accusati di aver prodotto lesioni gravi e di dan- neggiamenti aggravati. «Giovani, studenti e di buona famiglia». Li fotografa così, il questore Achille Serra. Aggiungendo: «Tipi muscolosi, prestanti, frequentatori di palestre». Ragazzi con una gran voglia di menar le mani e di fare i prepotenti. Nessuna base ideologica, assicura il questore: niente svastiche, niente saluto romano. Poco più di un gruppetto spontaneo, senza motivazioni politiche. Vestiti come mille altri coetanei, nulla a che vedere con skin o naziskin, non un tatuaggio, non un medaglione, non una testa ra¬ sata, non una maglietta sospetta. Nessun indizio razzista: il razzismo non c'entra, ripete Serra. Ma la spiegazione aggiuntiva lascia ancor più sbalorditi; solo figli di papà, rampolli di professionisti conosciuti, benestanti e un po' viziati, decisi a farla da padroni in quel triangolo di quartiere alle spalle di casa loro. Insomma, maledettamente normali questi giovani giustizieri della notte. Normali ma temuti, in quartiere. Già, perché quelli del Gab si erano fatti conoscere da tempo nei dintorni dei giardini di San Marco: prepotenze e parolacce a chiunque osasse rimproverarli, cercasse di convincerli a non distruggere le panchine, a non fracassare i lampioni col pallone, a lasciare in pace anziani, mamme e bambini. Ragazzate più volte denunciate (senza seguito) dal Comitato di quartiere. Fino a quel volantino appeso alle porte dei palazzi attorno ai giardinetti, a fine giugno, firmato per la prima volta Gab. Poche righe, minacciose: «Ultimamente nel nostro parchetto vengono a dormire drogati e barboni, sia di giorno che di notte. Invitiamo tali individui a non farsi più vedere al ponte delle Gabelle. A partire dal giorno 25/6/93 prenderemo drastici provvedimenti». Poi, un venerdì sera, l'incendio ^mostrativo di una catasta di rifiuti e la comparsa delle scritte, minacciose anch'esse, sui muri. I ragazzi normali della via San Marco avevano deciso di far sul serio. Lino Arzenton, barbone, non lo sapeva. Armando Zeni Due di loro sono stati presi ancora nella zona e hanno indicato gli altri tre aggressori Un barbone dorme su una panchina a Milano: i vagabondi sono entrati nel mirino di un gruppo di giovani bene che li aggredisce

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