«Ma questa è soltanto strategia del discredito»

«Ma questa è soltanto strategia del discredito» «Ma questa è soltanto strategia del discredito» D'AMBROSIO REPLICA MILANO OTTOR D'Ambrosio, si aspettava una reazione così forte dal giudice Diego Curtò? Lei viene accusato, insieme ai suoi colleghi di Mani pulite, di aver violato il segreto istruttorio, di avere una posizione preconcetta nei suoi confronti. Parole pesanti... «In altri tempi mi hanno minacciato di morte. I terroristi mi avevano fatto sapere di aver già emesso la sentenza di condanna contro di me. Figuriamoci se mi impressiono adesso». Sì ma quelle accuse? Il suo collega dice che lei, insieme ai giudici Gherado Colombo e Paolo Ielo, lo ha interrogato come testimone ma in realtà stavate già indagando contro di lui? «Queste accuse non ci toccano. Sono accuse faziose. Noi non ci scomponiamo più di tanto, andiamo avanti nel nostro lavoro». Scusi, dottor DAmbrosio, lei ha letto l'esposto del giudice Curtò? «Non mi interessa nemmeno conoscerlo. Noi magistrati del pool Mani pulite siamo sicuri di aver fatto il nostro dovere». Ma allora perché quel primo interrogatorio, come testimone? Il giudice Curtò non era già nel vostro mirino? «Non avevamo la certezza che quell'affidavit esibito in fotocopia durante un interrogatorio in carcere dall'avvocato Vincenzo Palladino fosse stato scritto da Curtò. Non avevamo nessuna certezza che venisse da lui. Non avevamo motivo di sospettarlo». Quindi? «Ci siamo posti il problema. E abbiamo deciso di chiedere direttamente a Curtò: l'unico modo era sentirlo nella veste di testimone». E l'avete sentito. «Certo, e l'elemento nuovo è emerso proprio dalla sua deposi zione come testimone. Ha ammesso lui stesso di aver scritto quel singolare affidavit per l'av vocato Palladino». A quel punto cosa è successo, dottor D'Ambrosio? «Durante l'interrogatorio non ci ha dato spiegazioni plausibili, ecco perché la sua posizione i cambiata da testimone a indaga to. Abbiamo quindi dovuto in terrompere l'interrogatorio per trasmettere gli atti a Brescia». Solo in quel momento avete deciso che era cambiata la posizione del vostro collega? «La legge ci ha imposto di fare così. Siamo obbligati. Non è ancora del tutto chiara la vicenda Enimont. E a questo punto non è chiara nemmeno la posizione di Diego Curtò». Non è la prima volta che i magistrati di Mani pulite vengono attaccati così duramente, mai però da un al¬ tro magistrato... «No, ricordo che ad un convegno alcuni magistrati lanciarono accuse durissime al nostro operato. Ma qui è diverso. E' in atto una vera e propria strategia di discredito». La sua è una considerazione molto pesante. Parla addirittura di una strategia in corso. Vuol dire che il giudice Curtò non è solo quando lancia le sue accuse? «Non so se sia solo o meno. Però alcune cose che stanno accadendo fanno pensare». Cosa, ad esempio? «Beh, mi chiedo perché il giudice Curtò non aspetti fiducioso, come farebbe qualsiasi magistra¬ to? Perché non rispetta i tempi della giustizia? Altri magistrati, di un'altra città, sono stati investiti della vicenda. A loro abbiamo mandato tutta la documentazione raccolta. Perché adesso spara questa denuncia? Noi abbiamo fatto il nostro dovere. Lo abbiamo sentito, e poi abbiamo mandato gli atti a Brescia». Siete tranquilli, dunque? «Siamo stati corretti, non lo abbiamo arrestato. Più corretti di così... Ci siamo fermati, per l'amor di Dio. Certo, una virulenza di accuse così forte la si può interpretare in molti modi». In che senso? «Beh, se uno ha la coscienza a posto...». Nella valutazione della vicenda avete valutato anche che Diego Curtò è un magistrato? «A noi interessa il signor Curtò, e quello che può aver fatto come giudice nella nota vicenda. Noi abbiamo il dovere di muoverci cóntro chiunque: ce lo impone la legge. E quindi ci siamo mossi anche se si tratta del giudice Curtò». Non avete nulla da rimproverarvi, insomma? «Quello che sta succedendo non è, come forse interpreta qualcuno, una lite corporativa tra magistrati». Cosa intende con questo? «Voglio dire che non ci sono privilegi per nessuno. Il magistrato è un cittadino come tutti gli altri. Se sbaglia paga come tutti gli altri». Dottor D'Ambrosio, le è mai capitato di indagare su un altro magistrato? «No, è la pinna volta. Ma la nostra, lo ripeto ancora, non è una lite in famiglia». Fabio Potetti Il magistrato: «Noi abbiamo fatto il nostro dovere; mi chiedo perché il dottor Curtò non aspetti fiducioso, come farebbe qualsiasi cittadino» Ha accusato i colleghi del pool di abuso d'ufficio e violazione del segreto istruttorio I Il giudice D'Ambrosio (qui a fianco) e il collega Colombo (a sinistra) che indagano su Curtò (foto grande) Il capo della Procura milanese Francesco Saverio Borrelli che indaga su Enimont

Luoghi citati: Brescia, Milano