Moretti 40 anni da autarchico

Domani il compleanno del regista che sta finendo di girare a Roma «Caro diario» Domani il compleanno del regista che sta finendo di girare a Roma «Caro diario» Moretti, 40 anni da autarchico Dai film in superotto alla sua casa di produzione Sacher In Francia è un maestro, Toronto gli dedica una retrospettiva ROMA. Per non smentirsi, festeggerà magari con una torta al cioccolato, lui che ha chiamato Sacher la sua casa di produzione e la sua sala cinematografica, lui che in «Bianca» annegava il desiderio frustrato d'amore dentro una Nutella. Tanti auguri al regista Nanni Moretti, che domani 19 agosto compie quarant'anni ed entra nell'età più significativa: quella cioè nella quale, come ha detto qualcuno, si diventa finalmente quel che si è. Moretti, in verità, ha sempre bruciato i tempi. Per fargli dispetto, un giorno Tognazzi disse: «Sembra uno che ha 57 anni, uno più di me», e diceva in fondo una verità. A quelli che stanno intorno ai suoi anni e che hanno vissuto guardando a sinistra, Moretti pare infatti da sempre un compagno di strada e quindi inevitabilmente più vecchio: implacabile e tagliente (i suoi «Faccio cose, vedo gente», «Continuiamo a farci del male» e «Facciamo ordine», sono entrati nell'uso e nelle ironie quotidiane) nel raccontare con i suoi film le Miserie, i Sentimenti e i Temi che si agitano dentro la sua generazione. Nel cinema, il primo «non allineato» di successo nato dopo il «baby boom». Si rivelò nel '76, un secolo fa. Fu un caso cinematografico, «Io sono un autarchico»: in superotto, girato con l'aiuto di amici e con tre milioni sborsati di tasca propria da quel ragazzo così determinato, raccontava ironicamente le disavventure di un gruppo di teatranti impegnati nella messa in scena di uno spettacolo molto «off». Fece correre al Filmstudio (molto «off» pure quello) gente come Antonioni, Moravia e i Taviani, ma alle prestigiose «Settimane» di Ischia, l'anno dopo, finì sconfitto per un solo voto da «Un cuore semplice» di Giorgio Ferrara, appoggiato dall'apparato del pei e da Alberto Sordi. Narrano le cronache che il ventiquattrenne Moretti scoppiò a piangere gridando «Stronzi Stronzi», e prese un accelerato per Roma per non incontrare i giurati: «Li avrei accoppati uno per uno», spiegò. Altri tempi. Oggi, mentre sta salendo al potere la sua generazione ancora indecisa fra l'opportunismo e il sogno di mettere in pratica i sogni, Moretti continua nel suo orgoglioso modo di essere outsider, sempre inattuale e sempre generazionale, attento anche ai nuovi talenti di registi e attori. E forse anche per questo pare più in là dei quarant'anni che compirà a Roma, lavorando al montaggio del suo prossimo film, il settimo, intitolato (per ora) «Caro diario», la cui uscita è prevista per l'autunno. Il regista, che vive con la figlia di Luigi Nono, si è fatto un po' più amaro, un po' più avaro di parole con i giornalisti accusati del reato di abuso del luogo comune, un po' più appartate E' stato seriamente ammalato, di un tumore al sistema linfatico. Ha vinto la sua battaglia e si è rimesso dietro - e davanti - la macchina da presa. Come sempre, ha messo la sua vita nel film che sta girando: e a quattro anni da «Palombella Rossa», «Caro diario» parlerà anche della malattia. Anche, ma non solo: secando le indiscrezioni che accompagnano anche i segreti più gelosamente custoditi, il nuovo capitolo della parabola esistenziale di MicheleNanni, girato fra le Eolie e la Capitale, racconta di un regista infastidito dalla volgarità di Roma e ammalato, che cerca il ritorno alla natura e la guarigione in compagnia di un amico semplice, impersonato da Renato Carpentieri («Puerto Escondido» di Salvatores), così semplice da ignorare le malìe della tv. Chi conosce che cosa sono diventate le Eolie può capire che il protagonista rientrerà a Roma, nella canicola ferragostana. Fra «Io sono un autarchico» e «Caro diario» passano sedici anni. Durante i quali Nanni Moretti ha rivolto prima l'attenzione agli amici («Ecce Bombo» del '78), poi al mondo dello spettacolo e della comunicazione («Sogni d'oro», dell'81), al rapporto di coppia («Bianca», del 1984), alla famiglia («La messa è finita», del 1985), al partito («Palombella rossa» dell'89). Per non contare «Il portaborse» di Daniele Luchetti, con Silvio Orlando, del quale il trentasettenne Moretti fu produttore e in- terprete, nella figura del ministro corrotto Cesare Boterò: un ritratto che era una fotografia della realtà. Sedici anni di quello che è stato chiamato, con intenti non sempre nobili, il «morettismo»: un'attitudine a metà fra la sfida orgogliosa e la consapevolezza della sconfitta inevitabile, un sogno di grandi valori e ideali, una volontà caparbia di metter in discussione tutte le certezze e possibilmente di ribaltarle. L'autarchismo dei Settanta è diventato una scelta pragmatica con la costituzione della casa produttrice Sacher; negli Ottanta, Moretti è stato violentemente antiedonista; con «Il portaborse» e «Palombella», infine, ha anticipato la cronaca e sempre nell'89, all'indomani della proposta di Occhetto sul cambio di nome del pei, ha girato il documentario «La Cosa» nelle sezioni del partito. Nel frattempo, la sua fama è cresciuta in Francia, dove lo considerano quasi un maestro, e al Festival di Toronto, dal 5 settembre, si terrà una retrospettiva sul suo cinema. on intenti non sempre orettismo»: un'attitufra la sfida orgogliosa e olezza della sconfitta un sogno di grandi va una volontà caparbia n discussione tutte le ossibilmente di ribalsmo dei Settanta è di scelta pragmatica con ne della casa produt negli Ottanta, Moretti entemente antiedoniportaborse» e «Palome, ha anticipato la cropre nell'89, all'indomaposta di Occhetto sul ome del pei, ha girato il rio «La Cosa» nelle sertito. Nel frattempo, la cresciuta in Francia, siderano quasi un maestival di Toronto, dal 5 i terrà una retrospettiinema.

Luoghi citati: Francia, Ischia, Roma