Grandi la volpe sul Tamigi di Sergio Romano

i diari di Ortona, ieri e oggi Bucanieri in scena al Museo di Greenwich: una mostra distrugge il mito i diari di Ortona, ieri e oggi Grandi, la volpesul Tamigi DI AIUTA' valutarie, stabilità dei cambi, fluttuazio'ne delle monete, libertà dei traffici, protezionismo, conferenze internazionali, una guerra civile nel cuore dell'Europa, serbi e croati in lotta sui confini della Dalmazia, truppe italiane in Albania, la morte di un regime che crolla su se stesso mentre gli inquilini del palazzo corrono di qua e di là alla ricerca dell'uscita di sicurezza. Parrebbe una sintesi della stampa d'oggi e è invece il sommario dei diari che un diplomatico italiano, Egidio Ortona, tenne fra il 1937 e il 1943. Dopo i tre volumi di Anni d'America, pubblicati dal 1984 al 1989, appaiono ora presso II Mulino sotto il titolo Diplomazia di guerra. I personaggi, le uniformi, i riti sociali, il linguaggio sono quelli di ieri. Ma i problemi sono in buona parte quelli di oggi. Anche se è corazzato contro le facili analogie e rifiuta di credere nell'immutabilità della storia il lettore non riesce a togliersi di dosso l'impressione che questo libro sia esattamente il contrario di certi drammi shakespeariani in cui Otello o Amleto vestono abiti moderni. Nei diari di Ortona è l'attualità che si recita «in costume». Quando sale il sipario siamo a Londra nel giugno '33- A quattro anni dalla grande crisi che ha sconvolto le economie dei maggiori Paesi industriali, e a pochi mesi dall'elezione di Roosevelt alla Casa Bianca, si riuniscono i ministri economici di 66 Paesi. Tutti predicano bene deplorando le tentazioni'protezioniste e l'instabilità dei cambi, ma quasi tutti razzolano male e preparano le armi economiche degli Anni 30: tariffe doganali, contingenti, accordi di clearing, corso forzoso, svalutazione. Cominciano gli anni in cui ogni Paese cercherà di mettere insieme il diavolo e l'acqua santa: esportare di più e importare di meno. La conferenza morì il giorno in cui Roosevelt disse bruscamente di no al gold standard e mandò tutti a casa con una mossa che precedette di qualche mese la grande svalutazione americana del gennaio '34. Il giorno del trionfo Ortona era troppo giovane per non prestare fede alle proclamazioni liberiste della conferenza di Londra, ma troppo intelligente per non accorgersi rapidamente che le parole, come diceva Talle yrand, sono state inventate per nascondere il pensiero. Quattro anni dopo, nel '37, tornò a Londra e vi rimase sino alla guerra nel giugno 1940. Aveva poco più di trent'anni, ma ebbe la buona fortuna di assistere da un angolo della scena a una delle più drammatiche rappresentazioni della storia europea. L'ambasciatore d'Italia era Dino Grandi, affascinante, intelligente, scaltro come una volpe, bonario e ironico co me un borghese emiliano. Aveva nel governo inglese molti amici, fra cui il primo ministro Cham berlain, e un grande avversario, Anthony Eden. Il trionfo della sua carriera si celebrò il giorno, nel '38, in cui ebbe un lungo incontro con i due maggiori uomi ni politici inglesi al numero 10 di Downing Stree: e riuscì a far sì che litigassero in sua presenza. Poche ore dopo Eden dette le dimissioni e all'ambasciata d'Italia festeggiarono ìk notizia nella speranza che la scomparsa di un ministro «italofobo» avrebbe spianato la strada all'amicizia italo-inglese. Ma Grandi fu richiamato a Roma e l'Italia cominciò a scivolare sempre più rapidamente sul la china che l'EVrebbe condotta alla guerra. Duj scene nella parte londinese de diari rappresen tgpfv a tano simbolicamente la pace e la guerra. In una di esse il corpo diplomatico e la buona società affollano i saloni di Buckingham Palace dove un centinaio di giovinette vengono presentate a corte. Con una sola eccezione (Joe Kennedy, ambasciatore degli Stati Uniti, padre di Jack) tutti sono «in polpe». Nella seconda scena duecento persone affollano con i bagagli l'atrio dell'ambasciata d'Italia e attendono di sapere se potranno abbandonare Londra dopo la dichiarazione di guerra. All'alba Ortona può finalmente leggere dall'alto delle scale il nome di quelli a cui le autorità britanniche hanno concesso di partire. Una quarantina dovrà restare in Inghilterra. Un anno dopo, il 7 giugno '41, Ortona è a Zara, capitale della Dalmazia italiana, come segretario del governatore, Giuseppe Bastianini. Mentre sugli altri fronti la guerra per le truppe italiane sta andando male, qui l'Italia fascista ha realizzato le maggiori ambizioni: tre province italiane sulla costa dalmata, uno Stato satellite a Zagabria, l'annessione all'Albania di terre serbe e montenegrine. L'epilogo del dramma Ma sui confini della regione infu ria tra serbi e croati una guerra in cui gli italiani sono inevitabilmente coinvolti. «Si rinnovano giornalmente atti di sabotaggio scrive Ortona -, moti, diserzioni, manifesti d'impronta comunista Oggi è la volta di Sebenico dove si sono trovate bombe, armi ecc.». Le cose vanno ancora peggio a Cettigne, nel Montenegro, dove il governatore, con un presidio di 500 uomini, ha vissuto per sei giorni in stato d'assedio. A Roma, dove tornò con Ba stianini nel febbraio 1943, Orto na visse giorno per giorno l'epilogo del dramma italiano. Come in un incubo continuò ad attraversare l'Europa al seguito di de legazioni che si ostinavano a celebrare, nonostante le disfatte militari, i riti dell'Asse e del Patto Tripartito. Partecipò a quasi tutti gli incontri con Hitler, fu alla cancelleria del Reich per la firma di patti solenni con gli Stati satelliti, fu alla Rocca delle Carni nate per l'incontro di Mussolini con il leader romeno Antonescu, fu a Treviso per l'ultimo «vertice» prima del colpo di Stato e ne tornò in tempo per assistere alla gente che fuggiva da Roma dopo il bombardamento del 19 luglio. Fu anche a Palazzo Venezia nella notte fra il 24 e il 25 luglio mentre era in corso la riunione del Gran Consiglio. Un ufficiale lo incrociò lungo le scale verso mezzanotte e gli gridò al volo: «Si vogliono calare tutti le brache!» Caduto il fascismo Ortona ri mase a Palazzo Chigi come segretario di Guariglia, ministro degli Esteri nel governo Bado glio. Fu così che toccò a lui intro durre nello studio del ministro, là sera dell'8 settembre, l'incaricato d'affari tedesco von Rahn Pochi minuti dopo il tedesco uscì sbattendo la porta «con passo concitato e rabbioso». Guariglia gli aveva appena comunicate che l'Italia aveva concluso un armistizio con gli alleati. Meno di un anno dopo, il 2 giugno 1944, Ortona ritornò nello stesso salone di Palazzo Chigi. Aveva visto e raccontato la fine dell'Europa tedesca; avrebbe visto e raccontato, da Roma, da Washington e da New York, la nascita dell'Europa americana. Dio non voglia disse von Bluecher dopo la battaglia di Waterloo - che la penna dei diplomatici rovini ciò che è accaduto. Nessuno potrà mai dirlo della penna di Ortona. Sergio Romano