IL LUOGO. Gabicce: le strane vacanze di Maria e Giancarlo Brighenti, maghi dell'enigmistica

IL LUOGO. Gabicce: le strane vacanze di Maria e Giancarlo Brighenti, maghi dell'enigmistica IL LUOGO. Gabicce: le strane vacanze di Maria e Giancarlo Brighenti, maghi dell'enigmistica CRABBIA (Novara) HISSA' cosa ci fanno e se ci vanno, in spiaggia, gli enigmisti. Per l'italiano medio l'estate è il mare, il mare è la spiaggia, e in spiaggia si fa la Settimana Enigmistica. Ma è difficile immaginare come sia il proprio tempo libero per coloro che del tempo libero altrui hanno fatto una professione. Risolveranno i loro stessi enigmi? «Proprio no» rispondono Maria e Giancarlo Brighenti con divertita naturalezza, «ai rebus, al nostro lavoro di tutto l'anno, ci pensano lettori e solutori. Noi in spiaggia raccogliamo sassi». Ora sono entrambi in pensione, ma fino a poco fa Giancarlo (pseudonimo enigmistico: Briga) è stato il responsabile della sezione giochi illustrati della Settimana Enigmistica, sezione di cui sua moglie Maria (pseudonimo enigmistico: Brighella) era l'illustratrice principale, e insuperabile. Sono opera di Maria Brighenti quelle vignette che coniugano impassibilmente otto re, ile, piche, are, pie, chini, remi, reti, emù .... Eclettismo e nitida figuratività. Nel frattempo Giancarlo selezionava i rebus dei collaboratori, li classificava in base alla difficoltà, trovava il tempo per comporne di suoi. Poi, d'estate, i sassi. «Saran passati trent'anni dalla prima estate. Noi andiamo sempre alla ricerca di posti tranquilli. E avevamo scelto Gabicce Mare perché era un posto tranquillo». Gabicce Mare? «Naturalmente era molto diversa da adesso. Pochi anni dopo abbiamo trovato un posto ancora più isolato e tranquillo, in collina». Raccontano tutto come l'hanno vissuto: insieme. Uno completa la frase dell'altra e il loro interlocutore ha l'impressione che due persone così non abbiano mai avuto un dissidio in vita loro, neanche per un solo rebus. E' incominciata passeggiando su una spiaggia molto riparata. Con una cautela da cercatori di funghi, questa spiaggia non è che ora la descrivano proprio con precisione. Ne descrivono i sassi, notati fin dalla prima passeggiata: «Io non saprei dire di preciso perché i sassi, là, siano tanto particolari: dipenderà dalla montagna. So solo che altrove non abbiamo mai trovato sassi così». Così come? Lo si chiede a Maria, ma risponde Giancarlo: «I sassi di Gabicce dannò subito un'idea di cosa farne, e la voglia di lavorarli». Non è come il Mose, già contenuto nel marmo. Da un blocco squadrato puoi ottenere qualsiasi cosa: se sei Michelangelo. Con i sassi si tratta invece di seguire linee già accennate: «Anche i sassi hanno un'anima!» ride Giancarlo. La prima e tuttora principale tecnica di lavorazione è «aggiuntiva»: «Bisogna pulire il sasso dalla salsedine e dalla sabbia, e poi aggiungere materiali adatti, modellando come si fa con la creta, ma avendo un punto di partenza che è il sasso, quel sasso lì e non un altro. Alla fine, il più delle volte lo si imbianca, con una sorta di smalto». In anni recenti Maria ha inaugurato una tecnica alternativa, per sottrazione: «Il colore originale di certi sassi è stupendo. Se aggiungi materiali eterogenei poi devi imbiancare, ed è un delitto». Non resta che scavare, scolpire, sottrarre. Con l'arenaria, per esempio, non sono necessari strumenti da scul- tore, frese, diavolerie: bastano arnesi comuni, e l'abilità manuale. Qui Maria sorride del suo stesso orgoglio: «Ho avuto il piacere di scoprire che con un martellino in mano sono un maghetto: mi stupisco da sola, è come se avessi fatto sempre questo lavoro». Che si aggiunga o che si sottragga, «bisogna tirar fuori l'anima del sasso» insiste Giancarlo. All'improvviso viene il dubbio che, in fondo, stiamo parlando anche di rebus: «E' sempre fare qualcosa di diverso da quello che vedi: la natura ha fatto il sasso ma di lì puoi far nascere qualcos'altro, se il sasso ti regala una certa scintilla. E ora che ci penso è la stessa scintilla che ti può dare la parola su cui farai il rebus». Le ore buone per trovare i sassi erano le prime della mattina, per Giancarlo, o le prime della sera, per entrambi: «Quando il sole non è alto e non ti abbaglia. Anche perché la prima luce del giorno è differente da quella del tramonto - dice Giancarlo -, e sassi che al mattino hai lasciato lì, possono invece ispirarti alla sera». Quanti erano i prescelti? La risposta di Giancarlo è un sospiro: «E' come chiedermi quanti rebus faccio al giorno: non si può proprio dire, magari una mattina andando giù non ne trovavo nemmeno uno». Di rebus o di sassi? Devono essere i sassi, perché Giancarlo prosegue: «Con quelli che sceglievo, si lavorava tutto il giorno, nel terrazzo che dava sopra la piscina dell'albergo» (terrazzo a cui Maria dedica un a parte: «Avevamo un grosso tavolo, con tutti gli arnesi che ci servivano, e in un certo angolo si poteva scartavetrare il sasso perché il vento portava via tutta la polvere. Pareva fatto apposta»). Sul terrazzo, niente rebus? Come dice Maria, con allegra solennità: «Un rebussista non può prescindere». E Giancarlo ricorda quel suo collega che faceva rebus in tram, a mente: «Niente di strano. Delle volte si compone un rebus nel sonno, e il più non è sognarlo, ma svegliarsi e segnarlo, prima che voli via. Quindi rebus anche facendo i sassi, certo. Ma sono riuscito a staccarmi: stava quasi diventando una forma maniacale». Intenderà il rebus o i sassi? Questa volta deve essere il rebus, perché prosegue: «Andavo a letto con uno spunto in mente, e non riuscivo a prendere sonno finché non avevo finito il rebus. Adesso se non mi viene riesco ad addormentarmi tranquillo, non lo sogno». Si capisce che è contento di essere più rilassato, dopo tanti anni, tanti pensieri, tante passeggiate sulla spiaggia: «Negli Anni Cinquanta e Sessanta gli autori importanti erano pochi, e avevano tutto il terreno davanti, pronto per essere esplorato. Poi ci fu il boom e oggi come og¬ gi, con tutto quello che è stato fatto, è come andare a spigolare dopo che sono passate dieci persone». Terreno, spigolare: siamo sempre lì. Ma in un sasso o in un rebus, dov'è l'apporto dell'autore? Un intervistatore aveva protestato con Joan Mirò: «Se io raccolgo un sasso, quello è un sasso; se lo raccoglie lei, quello è un Mirò». A sentire Giancarlo è questione di lavoro: «L'artista vede i sassi, come tutti: ma è poi l'unico che vede anche la possibilità di trasformar¬ li. E il rebus va "limato" come una poesia, ma anche come un sasso: non basta captare le possibilità di una parola, che diventerà lo spunto originale, la "chiave" di un rebus. Ci vuole la tecnica, perché un bel rebus deve risolversi in una frase soddisfacente o almeno accettabile», «... e deve poter essere illustrato in modo armonioso» aggiunge subito Maria. E i rebus con il re che ara, l'ava col colino, il nano sullo sgabello? «Sì, a qualcuno piacciono questi aspetti surreali che, in fondo, divertono anche noi». Del resto la bizzarria, nel rebus, è assicurata, e il nonsense vive sempre di una sua sbieca, anomala armonia. E per i Brighenti l'armonia è tutto, e in tutto sembrano trovare armonia, forma, linea. E lavoro, perché la loro attività manuale è ininterrotta. Come ricorda Maria: «A un certo punto, sul terrazzo, ci dicevamo "basta con i sassi, an¬ diamo a fare una passeggiata". Ma la passeggiata veniva fatta con un legnetto in mano e un coltellino... chissà quanto saremo sembrati buffi... Per noi era inimmaginabile andare in giro a far niente, e allora intagliavamo il legno camminando per le colline». Quando vedete un sasso che avete fatto, diciamo, nel 1975... «Sicuramente da rifare!» Maria risponde prontamente, e aggiunte: «Sì, sappiamo dire se l'ha fatto Giancarlo o se l'ho fatto io: non sono datati, non sono firmati, ma lo vediamo o forse ce lo ricordiamo. Ma i sassi sono "nostri": lo stile è comune, anche perché è astratto, e ci viene suggerito dal sasso stesso. Neppure volendo ci sarebbe una gran possibilità di differenziarci. E il giudizio, nel vedere un sasso appena finito o un sasso di anni fa, è sempre unanime». Come è inusuale nel mondo dell'arte, i Brighenti tengono sott'occhio l'intera produzione: «Non ne abbiamo mai venduto uno. Pensare di vendere un sasso è come pensare di vendere un figlio. A lei ciò sembrerà esagerato, e allora scriva che vendere un sasso è una cosa che ci sta molto antipatica». C'è l'aneddoto del tedesco che insiste, vuole pagare, e loro si schermiscono e alla fine gliene regalano uno: «E proprio perché era simpatico». E il medico di Crabbia che vede un loro sasso e chiede da chi l'abbiano comperato («Era un medico bravo, molto premuroso e aveva gusto: cosa dovevamo fare? gli abbiamo regalato il sasso!»). Giancarlo taglia corto: «Perché venderli? Grazie al cielo, non ne abbiamo bisogno e quindi i sassi possiamo tranquillamente regalarli agli amici. Così, a ogni invito a cena, con i vecchi amici rivediamo anche i vecchi sassi...». Bisognerebbe capire cosa sia successo dopo, perché dei sassi e di Gabicce ne parlino al passato, e dal lago d'Orta. «Nell'ago- sto 1987 siamo tornati a Milano con l'auto stracarica. Il soggiorno a Gabicce era stato uno dei più lunghi di sempre: sei settimane di lavoro, una trentina di sassi maggiori, e una miriade di sassi minori». Dopo quell'annata gloriosa, questioni di salute consigliarono altitudini e attitudini da lago. E lago fu. Spiega Maria: «Eravamo venuti a Orta, a novembre: cielo, lago, boschi, prati, una situazione meteorologica spettacolare che non si è più verificata, colori che non si sono mai più visti» (Maria forse non se ne accorge, ma parla di tutto con linguaggio visivo. Dei suoi studi all'Accademia milanese di Brera, nel dopoguerra, ricorda la situazione «buia», i «cupi corridoi» e, «per contrasto» l'assoluta allegria: crocchi di ragazzi attorno allo studente Dario Fo, che improvvisava uno sketch o organizzava un coretto). «Per i primi due anni, sul lago d'Orta, di sassi non se n'è parlato proprio: eravamo talmente portati al giardino, all'orto... Ci sono costati un lavoro immane». Ma il giardinaggio non bastò. Dice Giancarlo: «Nel periodo della sospensione ci sentivamo di avere qualcosa da dire, ma nulla da fare. La vacanza del sasso era insostituibile». Maria conferma, attingendo al gergo: «Era il massimo della vita!». Negli anni successivi, quelli della nostalgia, un paio di congressi enigmistici portarono i Brighenti a Cattolica. Dà lì è un salto: «Siamo passati dalla spiaggia, qualche sasso buono lo abbiamo trovato, e ce lo siamo portati qui, al lago». E quest'anno, finalmente, si sono decisi a una rimpatriata di dieci giorni a Gabicce. Hanno ritrovato tutti i loro attrezzi di sei anni fa in un sacco, con sassi che non avevano finito. L'albergatore ha conservato tutto, accuratamente. La pallonata di un bambino ha mandato in frantumi un sasso, un nudo femminile che i Brighenti gli avevano regalato e che lui teneva esposto in giardino. Alibi: «Dobbiamo tornare anche l'anno prossimo, almeno per fargliene un altro...». Ma hanno già stabilito che da quest'anno, pallonate o no, almeno dieci giorni di «vacanza del sasso» saranno garantiti. Vacanza da cosa? Forse, infine, una vacanza del senso. Un rebus non riesce ad avere un senso solo. Da una parte è gratuito, dall'altra parte di sensi ne ha due, quello apparente e quello reale. E' un gioco, e ha i suoi vincoli. Un sasso, invece, non ha una soluzione: «Nelle forme astratte del nudo femminile, seguiamo quella strada. Per il resto, lavorando a un sasso, ci sentiamo slegati da tutto, ed è una sensazione di pienezza, che magari dura poco, ma indubbiamente c'è. Deve essere ciò che chiamiamo "momento creativo"». Un'ultima domanda. Vi ricordate qual è stato il primo rebus di Giancarlo disegnato da Maria? Lo ricordano, lo ricostruiscono insieme, con complicità. «La chiave era "in visibilio...", si vedeva un pubblico teatrale che acclamava gli attori. La soluzione era: "In visi biliosi è manifesta l'ira"». Anni Cinquanta o giù di lì. Si potrebbe controllare, ma non fa niente. Ora come allora è difficile associare «visi biliosi», «ira» e anche «visibilio» al binomio che nasceva allora: la coppia dei Brighenti. Stefano Bartezzaghi «Noi in spiaggia raccogliamo pietre: danno subito un'idea di cosa farne, voglia di lavorarle» A fianco Giancarlo Brighenti e ia moglie Maria, noti un tempo ai lettori della «Settimana Enigmistica» come Briga e Brighella. Qui sopra e nella foto in alto i loro sassi RACCONTI D'ESTATI

Luoghi citati: Cattolica, Gabicce Mare, Milano, Novara