«Prego e poi le racconto le favole»
«Prego e poi le racconto le favole» «Prego e poi le racconto le favole» «Così quella granata ha stravolto la mia vita» IL PADRE DI IRMA MLONDRA EDINA e io raccontiamo a Irma le favole che le piaceva ascoltare a Sarajevo», dice Ramiz Hadzimuratovic, padre della bambina che ha commosso il mondo. «Prego affinché ce la faccia - prosegue -. Tutte le volte che vedo una lacrima, mi sembra un segno. La sorellina le parla, le accarezza la mano, le porta i messaggi dei parenti e le dice: quando starai meglio andremo a trovare la mamma. E' così piccola che non si rende conto di quello che è successo». La moglie di Ramiz, Elvira, è morta uccisa dallo stesso mortaio che ha straziato Irma. Aveva trent'anni. «Era il mio migliore amico e l'ho perduta - bisbiglia l'uomo -. Pochi giorni prima della tragedia aveva avuto una premonizione. Mi aveva detto: morirò presto. Io le avevo risposto ridendo: morditi la lingua, non dire queste cose». Il padre di Irma ha raccontato la propria storia al «Daily Mail». Dal giorno del suo arrivo in In- ghiltérra vive in una stanza al piano terra dell'ospedale. «Passo tutto il tempo accanto alla mia bambina - dice -. I medici dicono che dobbiamo parlarle molto. Dai movimenti dei suoi occhi sono sicuro che si accorge della nostra presenza. E' una combattente, ha resistito all'attacco del mortaio, al dolore, alle operazioni». Elvira è il pensiero dominante di Ramiz. E' morta facendo scudo col proprio corpo a Medina. «La ferita è ancora così fresca, ma so che non guarirà mai. Qui la gente è meravigliosa, ma la sua immagine mi sta sempre davanti». La mattina, il signor Hadzimuratovic si alza presto e annota il suo dolore in un diario. Poi tira fuori dal portafogli la fotografia di Elvira: «E' l'unica cosa che mi dà conforto». Rievoca quel 30 luglio dannato: «Ci siamo alzati alle sei della mattina. Abbiamo preso il caffè. Di solito ci davamo un bacio per salutarci, ma quel giorno mi ha detto: portami a casa un po' di legna per accendere la stufa stasera. Sono andato in fabbri- Con sforzo riprende: «All'una mi hanno avvertito. Mi hanno detto: corri, Irma è grave, sta per essere operata. Di mia moglie, neanche una parola. I chirurghi mi hanno assicurato che era fuori pericolo: una scheggia le era penetrata nella schiena. Mi sono precipitato fuori, dovevo andare a dire a Elvira che nostra figlia era viva». A casa lo attendeva il peggio. «Nel nostro appartamento non c'era nessuno. Allora sono andato dai vicini. C'era la mia famiglia, c'erano i miei amici. Piangevano tutti. Hanno tentato di consolarmi ma non sono riuscito a controllarmi. Medina è venuta immediatamente ad abbracciarmi: non piangeva, era confusa. Mi hanno dato un tranquillante». Poi gli hanno raccontato l'attacco. «Erano le 11 e mezzo di una bellissima giornata, non si era udito un solo sparo. Elvira ha vinto la paura ed è uscita con le bambine e una vicina serba, Vera, per andare a cercare dei vestitini alla Croce Rossa. Erano in un parco, quando sei o sette granate sono piovute a pochi metri da loro». Elvira e Vera sono morte sul colpo, insieme con altri quattro bambini. «L'abbiamo seppellita alle otto di sera, per timore delle granate». Del viaggio verso la salvezza di Irma, Ramiz ha pochi ricordi concitati. «Non ho saputo che saremmo partiti fino alle 11 di quel mattino». Era così confuso che si è dimenticato passaporto e vestiti. Oggi davanti alla sua bambina che soffre, gli martella in testa una domanda: «Perché non è successo a me? Non è giusto». Maria Chiara Bonazzi Mostra la foto di Elvira, la moglie uccisa: «E' l'unica cosa che mi dà un po' di conforto» i Il padre di Irma: una famiglia distrutta dalla guerra ifoto reuterj
Persone citate: Hadzimuratovic, Maria Chiara Bonazzi, Ramiz Hadzimuratovic
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