Da simbolo della gloria zarista a bandiera dell'arte sovietica di Sergio Trombetta

Due secoli di storia Due secoli di storia Da simbolo della gloria zarista a bandiera dell'arte sovietica a e UE incendi e due ricostruzioni, come ogni teatro che si rispetti, molti restauri, molta gloria. La storia di quello che viene oggi chiamato Bolshoi, cioè «grande» (sottinteso teatro) incomincia il 28 marzo 1776, quando il principe Urusov ottiene il «privilegio governativo» di gestore dei teatri di Mosca. Oggetto di piacere per l'imperatore e la nobiltà, il teatro in Russia era nato a imitazione delle abitudini diffuse nelle corti occidentali, sulla spinta delle riforme di Pietro il Grande, anche se già nel '600 con il secondo dei Romanov, Aleksej Michajlovic, si davano a corte spettacoli prevalentemente di ispirazione religiosa. E' soprattutto sotto il regno di Elisabetta, la figlia di Pietro (1741-1762), che si diffonde il gusto per gli spettacoli. Ter quasi tutto il '700 il repertorio sarà in gran parte un bene di importazione. Solo all'inizio deÙ'800 con Glinka si plaudirà al primo grande autore di melodrammi autenticamente russi. Bisogna aspettare la fine dell'800, per iniziativa di grandi mecenati, perché prendano vita scene'private. Sino ad allora, proprio perché nati per volontà dell'autocrate, i teatri resteranno pubblici e imperiali. Come quello che in base alla concessione il principe Urusov si appresta a far costruire a Mosca nel 1776. Il luogo scelto è la via Petrovskaja (da qui la denominazione di Petrovskij per l'edificio), esattamente dove oggi si trova il Bolshoi. Il Petrovskij viene inaugurato 1780 e nei successivi 25 anni vi si allestiscono spettacoli d'opera, balletto e di prosa. All'inizio attori, cantanti e danzatori sono nella stragrande maggioranza servi della gleba istruiti alla bisogna appartenenti a ricchi proprietari terrieri. Le scene del teatro Petrovskij si aprono soprattutto a musicisti stranieri: Pergolesi, Paisiello, Salieri, Cimarosa, Grétry, Cherubini, mentre gli spettacoli di danza vedono prevalere i soggetti mitologici. L'attività prosegue sino all'ottobre del 1805 quando il teatro va distrutto in un incendio. Sullo stesso luogo, venti anni dopo, apre le porte il Bolshoi Petrovskij. E per degnamente celebrarne la riapertura il poeta Dmitriev comporrà un Trionfo delle muse. Qualche anno dopo, il 7 settembre 1842, con Una vita per lo zar (Ivan Susanin) di Glinka, un'opera che celebra la nascita della dinastia Romanov, nasce la grande tradizione della musica russa. Il balletto romantico, di importazione francese, ha già fatto irruzione sulla scena con la Andrejanova e con la Sankovskaja, prima Oselle russa. Nel 1853 un nuovo incendio distrugge tutte le parti inteme del teatro. Anche se nel volgere di tre anni la sala è rifatta splendente come è oggi, sotto la direzione dell'architetto Cavos, di origine italiana, la decadenza s'era già iniziata. A partire dal 1842 la direzione dei teatri imperiali era stata trasferita a Pietroburgo e nel 1861 il teatro sulla via Petrovskaja viene dato in affitto all'Opera Italiana che vi allestisce spettacoli quattro-cinque giorni la settimana. Sono anni in cui Ciajkovskij insegnante al Conservatorio di Mosca lamenta la supremazia di Verdi e degli altri italiani; anni in cui la prima versione del Lago del cigni, che vede la luce proprio a Mot -,a nel 1877, va clamorosamente a picco per mancanza di danzatori e di un coreografo degni di questo nome. Ma a partire dal 23 gennaio 1881 il trend si inverte, quando sulle scene del Bolshoi debutta l'Eugenio Onegin, l'opera di Ciajkovskij ispirata al poema di Pushkin. Dopo 10negin sulle assi del Teatro Grande si avvicenda una ^terminabile serie di capolavori russi: Boris Godunov nel 1889; Snegurochka di Rimskij-Korsakov nel 1893; Il principe Igor di Borodin nel 1898. A questi fanno seguito, già nel '900, i grandi nomi della musica operistica occidentale. Negli stessi primi anni del secolo anche il balletto risorge, grazie all'attività del coreografo Alexandr Gorskij che con successo introduce nella danza i principi dell'interpretazione realistica alla Stanislavskij. Con la Rivoluzione del ' 17 tornano gli anni duri. La musica e la danza, con difficoltà, sembrano cercare nuove vie d'avanguardia. Ma il pugno di ferro del regime impone il «rappel à l'ordre». Mosca è tornata la capitale ai danni di Pietroburgo, il suo teatro deve splendere e fare risplendere la stella del socialismo. Ecco allora nel 1927, anniversario della rivoluzione, il primo balletto «classico» autenticamente «sovietico»: Il papavero rosso. Il Bolshoi toma un polo d'attrazione e i grandissimi danzatori lasciano Leningrado per Mosca: Galina Ulanova è u nome più noto. Vanno di moda i ballettoni drammatici ispirati a grandi fatti storici, per esempio la Rivoluzione francese nelle Fiamme di Parigi. Il resto è storia di ieri, l'arrivo di Jurij Grigorovic con i suoi balletti (Spartacus, Ivan il terribile), il successo di grandi come Plisetskaja, Maximova e Vassiliev, una fama intemazionale che mette di nuovo in gara il Balletto del Bolshoi con l'altra compagnia, quella che i puristi preferiscono perché più legata alla tradizione ottocentesca, il Kirov di Leningrado, oggi tornato a chiamarsi Marijnskij di Pietroburgo. Sergio Trombetta V. Sopra un ritratto della ballerina Andrejanova. Accanto una scena del «Papavero rosso»