Il Samurai chiede scusa alle vittime di Domenico Quirico

Mezzo secolo di reticenze cancellato dal neopremier Hosokawa in un discorso a settemila veterani Mezzo secolo di reticenze cancellato dal neopremier Hosokawa in un discorso a settemila veterani Il Samurai chiede scusa alle vittime Choc in Giappone dopo l'autocritica sulla guerra LA CADUTA m UN TABU' IL 4 novembre 1948, in un edificio del centro di Tokyo, i venticinque imputati della Norimberga giapponese ascoltavano la lettura delle sentenza. In prima fila, circondato da politici, diplomatici, alti ufficiali, impassibile dietro gli occhialini da intellettuale, c'era Hidekj Tojo, ex premier e ministro della guerra dal '41 al '44, teorizzatore del dominio del Giappone sull'Asia. Aveva tentato, invano, il suicidio per non essere sottoposto all'onta di essere giudicato per crimini contro la pace e l'umanità «da una Corte di invasori»; undici giudici delle nazioni che avevano subito l'aggressione nipponica, che dopo due anni di liti pronunciarono il verdetto: 7 condanne a morte, 16 ergastoli, due pesanti condanne a pene detentive. Per il diritto internazionale anche questo capitolo della seconda guerra mondiale era chiuso. La coscienza di milioni di giapponesi, invece, ha impiegato 45 anni per scalfire la micidiale polvere della rimozione. Quarantacinque anni perché qualcuno trovasse il coraggio di guardarsi allo spec- chio, correre il rischio della verità e pronunciare finalmente una parola: scusate, siamo colpevoli, noi come i tedeschi, di un guerra spietata e intrisa di veleni razzisti. Morihiro Hosokawa è discendente di una antica famiglia di samurai e il 15 agosto 1945, quando l'imperatore-dio Hiroito scese sulla terra e esercizzò la parola resa con la formula «tregua senza condizioni», aveva sette anni. Domenica, nell'anniversario, è andato al palasport della capitale e, davanti a settemila veterani e parenti dei caduti esterefatti, ha osato chiedere perdono alle famiglie delle vittime dei giapponesi nella seconda guerra mondiale. Non è un caso: il premier Hosokawa è figlio di una rivoluzione politica, incruenta ma radicale, perché ha spazzato via i dinosuari di una quarantennale tangentopoli, il regime del partito liberaldemocratico. Lo stesso partito che, non più tardi di otto anni fa, sempre il 15 agosto, spedì un altro primo ministro, Nakasone, all'altare della patria, il mausoleo Yasukuni; dove, a fianco di due milioni di soldati morti nella seconda guerra mondiale gridando «banzai», riposa, senza imbarazzi, anche Tojo. E non bisogna dimenticare che a palazzo imperiale non c'è più il piccolo ex dio, silenzioso studioso di biologia, di nome Hiroito; McArtuhr, nel '46, in nome della realpolitik, non potè farlo processare a fianco di Tojo; e lui, per quarant'anni ha fatto acrobazie per non pronunciare una frase su quello spiacevole «incidente» di Pearl Harbor. Adesso che la parola tabù è stata pronunciata, un intero popolo è alle prese con la nevrosi del ricordo. Ci sono nomi e parole che una barriera impermeabile e opaca ha censurato: Lipa, per esempio, la città delle Filipine dove le truppe del Tenno trucidarono ventimila persone; Haing-KuoChung, in Cina, dove quattrocento famiglie furono passate per le armi; o l'unità 731 del generale Shiro, uno squadrone della morte specializzato nelle torture ai prigionieri e negli esperimenti con armi batteriologiche che neppure i nazisti osarono immaginare. Generazioni hanno letto a scuola libri dove la seconda guerra mondiale scivola via edulcorata come le leggende del medioevo nipponico. E venivano bollati come «traditori» i pochi che si ostinavano a raccontare episodi come il bombardamento, nel novembre del '41, della provincia cinese dello Hunan con contenitori pieni di pulci infetatte da bacilli letali; o le 20 mila donne, soprattutto coreane, che per 4 anni furono usate come schiave nei bordelli dell'armata imperiale in quella che doveva diventare «la grande area di coprosperità asiatica». Il vuoto di memoria non è soltanto condito di silenzi. Ci sono storici autorevoli, come Shintaro Ishihara, che hanno costruito attorno alla guerra di aggressione un ambiguo mito terzomondista. Sostenendo che, in fondo, il Giappone, assediato dalle potenze coloniali vecchie e nuove, fu il pioniere di una guerra di liberazione asiatica che ha dato i suoi frutti con anni di ritardo. Forse soltanto adesso Kuroshawa potrà girare una nuova «Rapsodia d'agosto» meno ambigua e reticente, in cui l'apocalisse atomica abbia un tempo e soprattutto una Storia. Domenico Quirico «Ci siamo macchiati di un'aggressione Perdonateci» Hosokawa e una cerimonia a ricordo dei caduti giapponesi

Persone citate: Haing, Hosokawa, Morihiro Hosokawa, Nakasone, Shintaro Ishihara, Tojo

Luoghi citati: Asia, Cina, Giappone, Norimberga, Tokyo