I marines: basto Somalia tutti a casa di Franco Pantarelli

Sfoghi di soldati al Washington Post: per trovare il generale Aidid basta rivolgersi alla Cnn Sfoghi di soldati al Washington Post: per trovare il generale Aidid basta rivolgersi alla Cnn I marines: basto Somalia, tutti a casa «Ci odiano, la missione è sbagliata» NEW YORK NOSTRO SERVIZIO «Ci hanno detto che la nostra era una missione umanitaria, ma che stiamo facendo? Non stiamo consegnando cibo ai somali. Non stiamo facendo niente, salvo cercare di schivare le loro pallottole», dice il sergente Major Phillips dell'Arkansas, e il caporale Michael Matthews del South Carolina gli fa eco: «Io in giro non ci vado. Me ne vado a letto alle otto di sera, perché so che se esco quelli mi attaccano. Quando faccio la doccia cerco sempre di sbrigarmi al massimo perché non voglio certo essere sorpreso da un attacco tutto nudo». A otto mesi dal loro spettacolare sbarco in Somalia e a tre mesi dal subentro delle Nazioni Unite nel comando delle operazioni, i soldati americani risultano arcistufi e per niente convinti di quello che stanno facendo, tanto che si sono sfogati senza nessuna reticenza con l'inviato del «Washington Post», il cui servizio ieri è stato pubblicato in prima pagina. I tempi dello «sbarco in caretta», quando gli unici «nemici» che i soldati americani si trovarono ad affrontare furono gli operatori della tv, sono lontanissimi. Oggi i Gì si sentono circondati da gente ostile, non capiscono bene quali sono gli obiettivi che devono perseguire e se la prendono con il comando, secondo il quale ufficialmente non esiste un problema di «morale della truppa». I compiti iniziali, dicono, sono cambiati radicalmente. Prima il problema era quello di assicurare che il cibo inviato alle migliaia di somali affamati giungesse davvero a destinazione e non venisse «intercettato» dalla bande armate. Ora il problema è semplicemente quello di difendersi dagli attacchi. Si sentivano benefattori, ora si sentono degli intrusi. «I somali - interviene un altro sergente intervistato dal "Washington Post", Roy Statts della Virginia - non ci vogliono. Ci prendono a sassate, ci sparano addosso. Ma perché non ce ne andiamo a casa?». Oltre tutto loro non possono neanche rispondere, o comunque non come riterrebbero necessario. L'autodifesa, infatti, è regolata da norme molto rigorose. Si può rispondere al fuoco solo dopo che si è visto chiaramente l'assalitore sparare. E in una situazione in cui non si capisce mai bene da dove vengono i colpi dei cecchini, i soldati americani finiscono per sentire del tutto inutili le armi di cui sono dotati. «Se non puoi sparare a chi ti spara, non sei un combattente, sei un bersaglio», dicono. Anche per quanto riguarda la fantomatica «cattura» del generale Mohamed Far ah Aidid que¬ sti soldati hanno qualcosa da dire. Come è possibile, si chiedono infatti, che sia così difficile prenderlo? «Per sapere dov'è dice il sergente Matthews - basta chiederlo alla Cnn», che trasmette spesso scene in cui si vede il generale tenere i suoi bravi discorsi, evidentemente in luoghi non precisamente segretissimi. E poi «basta andare là fuori, chiedere al primo somalo che si incontra dov'è il generale e quello lo dice». E il fatto che nessuno si prenda la briga di farlo è un altro motivo di arrabbiatura contro «i burocrati». Uno più «politicizzato» degli altri, il sergente Jay Carson del Colorado, dice: «Ci hanno detto che non possiamo farci coivolgere in Bosnia perché non avremmo una missione ben definita e non ci sarebbe una fine dell'intervento in vista. E qui allora? Dov'è la fine in vista? Staremo qui per sempre ad aspettare che i somali comincino a governarsi da soli». Già, i somali. Anche per loro, in questo sfogo contro tutto e tutti, c'è un'abbondante razione. «Non fanno niente», dice Deborah Wilkerson, anche lei sergente, dell'Ohio. «Non li ho mai visti costruire qualcosa. Onestamente, non credo che per aiutarli valga la pena di rischiare la pelle». Infine, la cosa che più fa arrabbiare tutti è la «discrimina¬ zione salariale». I soldati degli altri Paesi, in quanto Caschi blu, cioè dell'Onu, percepiscono una paga «extra». Loro no. Siccome sono formalmente soldati americani che «collaborano» con l'Orni, il loro stipendio è sempre 10 stesso. E poiché l'unico compito concreto che è loro rimasto è quello di fornire materiale alle truppe degli «altri», ai loro occhi 11 tutto diventa una specie di beffa. «In pratica - ritorna il sergente Matthews - l'unica cosa che facciamo è distribuire materiale a quelli degli altri Paesi, che si stanno facendo un sacco di soldi». Franco Pantarelli Soldati americani perquisiscono un gruppo di somali a Mogadiscio (foto epa]

Persone citate: Aidid, Deborah Wilkerson, Jay Carson, Major Phillips, Matthews, Michael Matthews, Mohamed Far, Roy Statts

Luoghi citati: Arkansas, Colorado, Mogadiscio, New York, Ohio, Somalia, South Carolina, Virginia