Ma il ruolo dei geni è incerto

Ma il ruolo dei geni è incerto Ma il ruolo dei geni è incerto Risultati identici con una semplice infusione di linfociti trasdotti dai ricercatori milanesi avevano finalità del tutto diverse. Dopo anni di ricerche in vitro e in animali da esperimento, la terapia genica sta forse aprendo una potenziale nuova era nel trattamento dei pazienti neoplastici. Per evitare superficiali illusioni, va però sottolineato come a tutt'oggi non sia stato curato un singolo paziente con questa terapia innovativa. I protocolli attualmente attivati sono intesi in primo luogo a valutare la fattibilità e la sicurezza in pazienti con malattia avanzata, che non risponde ad altre forme di terapia. Solo dopo questi necessari studi di fase I si potrà vagliarne il possibile impatto clinico. La paziente di Milano, analogamente ai casi trattati negli Stati Uniti e la cui storia è stata sottoposta per la pubblicazione in una delle più prestigiose riviste scientifiche, ha tratto beneficio da una terapia immunologica e non già da tecniche di manipolazione genica. DISORDINI linfoproliferativi associati al virus di Epstein-Barr sono una complicanza relativamente non rara in pazienti immunodepressi affetti da tumori soliti e in individui sottoposti a trapianto di midollo osseo. In questi ultimi, la patologia si manifesta generalmente come un linfoma maligno e ha un decorso clinico che risponde poco alla chemioterapia e alla radioterapia. La regressione del linfoma trattato al San Raffaele di Milano sembra essere stata messa in relazione con i geni trasdotti nei linfociti del fratello, che avrebbero permesso di rafforzare le difese dell'organismo della paziente. Alla luce di quanto si conosce su numerosi altri pazienti con un quadro clinico sovrapponibile trattati con successo al Memorial Sloan-Kettering Cancer di New York e al St Jude Hospital di Memphis, il ruolo svolto dai geni trasdotti è quanto meno incerto. Regressioni tumorali e guarigioni sono infatti state osservate nei pazienti statunitensi a seguito semplicemente dell'infusione di linfociti del donatore, non manipolati geneticamente in laboratorio. La favorevole risposta clinica è stata messa in relazione con la presenza nei linfociti infusi di cellule con attività killer (linfociti T citotossici) dirette contro il virus di Epstein-Barr, e quindi potenzialmente in grado di aggredire il linfoma EpsteinBarr associato. La possibilità, ipotizzata dai ricercatori milanesi, che la favorevole risposta clinica sia invece dovuta a un incremento delle difese immunitarie della paziente mediato dai geni trasdotti nelle cellule infuse rimane tutta da dimostrare. Una regressione di malattia osservata in pochissimi giorni mal si accorda con un protocollo di terapia genica mirato ad ampliare il sistema immunitario dell'ospite; questo richiede diversi inoculi e un periodo di osservazione ben più prolungato. Inoltre l'attivazione del comportamento immunitario può essere concettualmente tentata attraverso l'inserimento di geni che codificano per proteine capaci in vitro di svolgere tale funzione. I due geni Robin Foà Università di Torino

Persone citate: Barr, Epstein, Kettering, Robin Foà Università, Sloan

Luoghi citati: Memphis, Milano, New York, San Raffaele, Stati Uniti, Torino