ERODOTO GIRAMONDO di Carlo Carena

ERODOTO GIRAMONDO ERODOTO GIRAMONDO Alla scoperta di Sciti e Libi Scena di combattimento su un pettine degli antichi Sciti LETTO, riletto, lo squarcio di Erodoto sugli Sciti nella prima parte del libro quarto delle Storie rimane un esempio formidabile della curiosità del viaggiatore e della vena espositiva di uno scrittore meticoloso e fantastico, addentratosi in luoghi favolosi amati già da lontano; un capolavoro di etnografia e di letteratura, di geografia e di narrativa. Tutto è visto in sfumate lontananze, sulle steppe fra l'Europa e l'Asia attraversata da fiumi lentissimi senza sorgenti e senza foci, squarciata da mari interni che possono essere quello di Crimea o di Arai, abitata da popoli non meno strani dei loro nomi, Sciti Androfagi, Geloni, Budini, Alazoni... Ma è proprio lì, nelle «estreme regioni della terra», che sono contenute «le cose per noi più belle e più rare». Lì, come nota Aldo Corcella nell'introduzione al libro ora edito dalla Fondazione Valla e Mondadori (pp. 405, L. 45.000), Erodoto si muove a cavallo di una tradizione che vedeva nei popoli del Nord l'archetipo degli uomini giusti e che, risalente a Omero, persisterà a lungo nell'idea del «buon selvaggio»; e viceversa, dell'immagine degli Sciti come di un popolo barbaro e feroce. Perciò egli pure dà notizia degli Orgimpei che, alle pendici degli Urali o degli Aitai, praticano la non violenza, non possiedono armi da guerra, accolgono qualunque esule e dirimono le controversie altrui; parla degli Issedoni che, nelle steppe mongole, mangiano le carni dei padri defunti ma «quanto al resto sono giusti, e le donne hanno poteri uguali agli uomini». Però non risparmia loro, al caso, le notazioni più crude, i connotati negativi. E qui le sue descrizioni e le sue storie sono, come spesso in questo narratore sopraffino, di un'evidenza e coerenza uniche. La prima, subito sulla soglia del libro, è quella del modo come gli Sciti, nomadi e non agricoltori, centrifugano il latte: «Gli Sciti accecano tutti gli schiavi a causa del latte che bevono. Prendono canne d'osso molto simili a flauti, le mettono nei genitali delle cavalle e vi soffiano dentro con la bocca; mentre gli uni soffiano, gli altri mungono. Dicono di farlo per questo motivo: le vene della cavalla, quando sono gonfiate, si riempiono e la mammella scende. Munto il latte, lo versano in recipienti di legno profondamente cavi; i ciechi sono posti intorno ai recipienti e fanno girare il latte». Popolo di pianure desolate, cuoce la carne usando per paiuolo il ventre e per combustibile le ossa stesse dell'animale. Popolo di scorrerie e di Dal Nord pieal sole delle storie dpiù belle eper la cul no dì pilline l'Atlante: elle «cose più rare» ura greca guerre, beve il sangue dei nemici uccisi e ne scortica la testa; stacca la pelle e la usa come tovagliolo o cucendone insieme parecchie se ne fa mantelli; quanto al cranio, ne sega la parte inferiore e usa l'interno della superiore come coppa, anche se sono di parenti con cui c'è stata qualche lite, e la porge agli ospiti per i brindisi narrandone loro l'origine come una prodezza. Cosa stia a loro intorno non è dato di sapere. Se gli Sciti vivono in un inverno che dura per otto mesi all'anno, gela tutti i mari e impedisce che ai buoi crescano le coma, i paesi più a Nord sono addirittura resi oscuri e invisibili dal continuo mulinare di piume nell'aria. Forse vi si spinse Eracle in cerca delle sue cavalle scomparse mentre si era addormentato coprendosi a causa del freddo sotto la pelle di leone; e ancora oggi l'unica curiosità della terra degli Sciti è l'impronta di un piede lasciata da Eracle su una roccia, lunga 70 centimetri. Ma anche Eracle, dopo aver avuto un'avventura galante con una donna mezzo serpente, non vide molto altro. All'opposto, nella seconda parte dello stesso libro di Erodoto, i Libi abitano terre infuocate, le coste e i deserti dell'Africa dall'Egitto all'Algeria. Divisi in molte tribù, taluni si radono a cresta i capelli, le donne di altri portano bracciali di cuoio intorno alle caviglie in numero pari a quello degli uomini con cui si sono congiunte. Più a Sud, lungo il ciglio di una catena montuosa di sabbia e di sale che collega il Mar Rosso con l'Atlantico, abitano «i Libi delle fiere». Lì l'acqua è tiepida a mezzogiorno, per cui s'innaffiano allora i giardini, e bolle a mezzanotte; presso gli enormi Garamanti i buoi pascolano camminando all'indietro per non incespicare con le lunghissime corna; i loro vicini etiopi si nutrono di serpenti e di lucertole e per esprimersi emettono stridi simili ai pipistrelli. Gli Atlanti sono talmente bersagliati dal sole, che passano il loro tempo imprecando contro di lui; non si nutrono di alcun animale e non sognano mai. Il fascino di Erodoto non è solo, evidentemente, nelle storie qui appena campionate, né l'interesse del lettore nei collegamenti col burro, con Rosmunda e Alboino o con le statuarie negre dei Sahariani. C'è, alla base di tutto ciò che Erodoto scrive, una sete tutta greca ma anche semplicemente tutta umana, di sapere dove mai e perché mai siamo capitati qui a vivere, di curiosare nel diverso ma anche di capirne la cultura e di ammetterla nella distante cintura dell'Europa. Tutto ciò costituisce il messaggio più duraturo della sua intelligenza e della sua stirpe. Dal Nord pieno dì pilline al sole dell'Atlante: le storie delle «cose più belle e più rare» per la cultura greca Carlo Carena

Persone citate: Aldo Corcella, Mondadori

Luoghi citati: Africa, Algeria, Asia, Crimea, Egitto, Europa