Quella notte d'estate che uccisero Bretton Woods

Quel giorno tutti i governi europei erano in vacanza Riunioni d'urgenza il caso. Il ferragosto di 22 anni fa Nixon eliminava la parità del dollaro con Toro Quella notte d'estate che uccisero Bretton Woods Mgrande calma o grandi tempeste: per le valute, l'agosto è sempre stato così. E le tempeste valutarie d'estate scoppiano nel cuor della notte, nel caldo di riunioni affannose. Il copione è stato rispettato il primo agosto scorso, quando a Bruxelles U Comitato monetario della Comunità Europea (Ecofin per semplicità) ha sanzionato la fine del Sistema monetario europeo, almeno come l'abbiamo conosciuto e con le caratteristiche che ne hanno fatto una struttura portante dell'unità del vecchio continente; è stato così anche la notte di un'altra domenica d'agosto di ventidue anni fa quando, nella pace di Camp David, la residenza di campagna dei presidenti americani, cinque uomini posero termine al sistema di Bretton Woods che aveva regolato le transazioni monetarie dalla fine della guerra ed era divenuto sinonimo di stabilità e di «pax americana». Il 15 agosto 1971, il presidente Nixon aveva con sé il suo ministro delle Finanze, George Schultz, e il suo ministro del Tesoro, il texano John Connally, noto per esser stato ferito nello stesso attentato che costò la vita al Presidente Kennedy. Democratico passato al campo repubblicano, Connally in realtà sapeva poco di questioni valutarie e negli ambienti finanziari veniva spesso chiamato, non certo in termini elogiativi, «il cowboy». Ben più esperti erano Paul McCracken, primo consigliere economico del Presidente, che arrivò curvo sotto il peso di grafici e tabelle, e Arthur Buras, capo del Federai reserve board, la banca centrale americana. Ufficialmente convocata per discutere sul bilancio della Difesa, la riunione avveniva sotto il peso dell'emergenza e aveva all'ordine del giorno una «cosmic review», un giro d'orizzonte a trecentosessanta gradi. Da mesi, il dollaro era debolissimo, passava da una crisi all'altra; le banche centrali che possedevano dollari si affrettavano a cambiarli in oro al prezzo convenuto di 35 dollari l'oncia; le riserve americane di Forte Knox si assottigliavano giorno dopo giorno ed erano del tutto insufficienti a garantire i dollari in circolazione al di fuori degli Stati Uniti. Cinquanta americani al giorno morivano nelle giungle del Vietnam e la guerra costava troppo non solo in termini di vite umane ma anche in termini finanziari; anche in conseguenza del conflitto, l'inflazione saliva, le merci americane non erano più competitive, le importazioni europee e (per la prima volta) giapponesi si presentavano in forze sul mercato americano, l'occupazione era a rischio. Ponendo fine all'obbligo americano di cambiare in oro i dollari posseduti dalle banche centrali degli altri Paesi, Nixon distruggeva un sistema molto delicato, in cui l'oro era considerato un po' come monarca costituzionale, privo di effettivi poteri, di fronte al dollaro, suo ministro tuttofare, ma pur sempre punto di riferimento. Si rendeva conto di quel che faceva? Riteneva così di imporre agli altri Paesi un uso del dollaro senza più obblighi di conversione, o agiva sotto l'assillo del momento? C'era un grande disegno di dominio oppure // ml'an«Cola n un'ansia di sopravvivenza? Non esiste, a tutt'oggi una risposta chiara, così come non è chiaro quale sia stata la strategia dei vari governi alla riunione di Bruxelles della prima domenica dell'agosto 1993, dove anche si è decisa la fine di un sistema monetario. Nell'incertezza fra strategia e emergenza, si può dire peraltro che la riunione di Camp David fu più ordinata, più efficiente, più conclusiva. E questo perche a Camp David c'era un capo, il Presidente appunto, a Bruxelles soltanto un moderatore. Il discorso televisivo pronunciato, al termine della riunione notturna, da un Nixon con la faccia tirata, e steso da William Safire, il responsabile delle allocuzioni pubbliche del Presidente, aborriva dai tecnicismi, era chiaramente rivolto all'americano medio e traboccava di decisionismo. Tutto in prima persona, con termini come «ho disposto», «ho ordinato», «ho deciso» per illustrare un programma vastissimo che, oltre al lato valutario, comprendeva il blocco dei prezzi dei generi di consumo per tre mesi. E Nixon giocò sul malessere economico e sull'ansia sociale degli americani. «So bene», disse «che, sganciato dall'oro, il dollaro perderà valore e vi sarà più difficile andare in vacanza all'estero o acquistare un'auto straniera; ma in questo modo stabilizzeremo l'economia e salveremo i posti di lavoro». Per accantonare lo Sme, è stato invece sufficiente un burocratico comunicato di una ventina di righe in cui si sottolinea che le monete sono lasciate - temporaneamente per carità - libere di osculare del 15 per cento in su e in giù attorno alla parità centrale. A quest'ipocrisia, va aggiunto che agb" europei che temono per il proprio posto di lavoro, i ministri di Ecofin non hanno saputo dire proprio nulla. Hanno litigato per cinque ore, con i francesi che reclamavano l'uscita del marco dallo Sme, i tedeschi che richiedevano la svalutazione di tutte le altre monete, gli inglesi che gongolavano per essere usciti dallo Sme nel settembre scorso; il presidente della Commissione, Delors, immobilizzato dalla sciatica cercava di intervenire dalla sua casa di campagna di Yonne, in Francia. Il tutto si svolgeva con l'affanno di concludere entro le due del mattino, momento di inizio degli scambi a Tokyo, quando l'ora della politica sarebbe terminata e la parola sarebbe passata ai mercati. Per conseguenza, nessuno è comparso ufficialmente in televisione a spiegare e commentare, alcuni ministri sudati, come il nostro Barucci, letteralmente braccati dai giornalisti, si sono limitati, nella confusione generale, a brevi dichiarazioni estemporanee. Per quanto generalmente attesa, la fine di Bretton Woods suscitò una grande impressione. Il mondo della finanza si aspettava una decisione solo a settembre all'assemblea annuale del Fondo monetario. Per conseguenza, nonostante le tensioni sui mercati valutari, nella calda estate del 1971, ministri finanziari, banchieri e operatori erano tutti in vacanza e Nixon colse tutti di sorpresa; il che gli diede una sorta di vantaggio tattico, addolcì l'impatto immediato sul dollaro. Anche il governo italiano era in vacanza; u presidente del Consiglio, Emilio Colombo, si trovava a Ischia. A Roma era rimasto soltanto, com'è tradizione, il ministro degli Interni, Restivo; alla Banca d'Italia, però, vista la gravità della situazione, si era fermato il direttore generale, Paolo Baffi, che bloccò subito la compravendita di dollari, consentendone il cambio, in quantità limitata, ai soli turisti. Solo nel pomeriggio fu possibile convocare una riunione straordinaria cui parteciparono appena cinque persone: il governatore della Banca d'Italia, Carli, il ministro del Tesoro, Ferrari-Aggradi, il direttore generale del Tesoro, Miconi, e lo stesso Colombo con il suo consigliere economico Ventriglia. Tutti i governi, del resto, erano ugualmente impreparati; un ministro tedesco fu recuperato in navigazione nell'Egeo, noti banchieri tornavano di gran carriera, abbronzati e preoccupati, dalla Spagna e dalla Grecia. Solo quattro giorni dopo fu possibile convocare la prima riunione europea. Le redazioni dei giornali e dei telegiornali furono colte alla sprovvista perché gran parte dei redattori era in ferie. Una crisi finanziaria è un fenomeno complesso, difficile, con pochi aspetti vendibili con facilita a un pubblico di vacanzieri. Si trovò però icato Sme xelles corso un elemento di colore su cui concentrare parte dell'attenzione: i turisti americani per la prima volta dal dopoguerra si scoprirono poveri. In molti alberghi e ristoranti i dollari non venivano addirittura accettati, in altri si applicava un cambio esorbitante; non si era mai visto nulla di simile dalla fine della guerra. Gli americani ridiventarono come tutti gli altri, anzi temporaneamente inferiori agli altri. Il predominio americano era proprio finito. O no? La polemica divampò a lungo fra quanti, non solo a sinistra, consideravano la mossa americana come un perfido disegno, in quanto non esisteva un sostituto al dollaro e gli altri Paesi sarebbero stati costretti a continuare a usarlo, senza poterlo più cambiare in oro e quanti lo considerarono una semplice confessione di impotenza, un gettare la spugna. Di certo, la mossa di quella notte non arrestò il declino industriale americano; l'uso del dollaro si è ristretto anche grazie all'istituzione dello Sme, oggi al tramonto, che può essere considerato la risposta europea alla mossa di Nixon, che mirava a sottrarre gli scambi interni europei dall'egemonia americana ma rimane ancora prevalente; la supremazia di Wall Street e delle banche americane appartiene al passato, in un mondo multipolare in cui il denaro si muove senza sosta tra New York, Londra, Tokyo, Francoforte, Hong Kong. Lo stesso interrogativo, con qualche variante si può porre per la più recente notte d'agosto. La Bundesbank ha un piano astutissimo per asservire l'Europa al marco? Oppure agisce sospinta dalla necessità di quadrare i conti, giorno dopo giorno? In realtà, le grandi battaglie valutarie ben difficilmente corrispondono a un disegno chiaro, di rado concludono con vincitori e vinti chiaramente discernibili. Le notti valutarie d'agosto sono esplosioni che denunciano l'esistenza di un malessere ma non bastano a porvi rimedio e talora non avviano neppure la cura. Mario Deaglio // mattino successivo l'annuncio all'America «Così salveremo la nostra economia» Solo un comunicato per sotterrare lo Sme a Bruxelles il 1° agosto scorso Quel giorno tutti i governi europei erano in vacanza Riunioni d'urgenza Il presidente Nixon annuncia la fina della parità con l'oro Sopra, Emilio Colombo, allora presidente del Consiglio e Paolo Baffi direttore generale della Banca d'Italia