DANTE in crociera con Miss Florence

vittime e testimoni delpimpante dominio femminile sulle ferie F & L: BREVE STORIA DELLE VACANZE (6). Dai Vandali in coda alle smanie per la villeggiatura nel 700 DANTE in crociera con Miss Florence Capitolo XI I barbari EE vacanze di Unni, Vandali, Visigoti, Longobardi, eccetera? Non scherziamo. Si potrà semmai rilevare che l'apporto di quelle genti alle nostre vacanze è stato prezioso in termini lessicali. Di laggiù vengono i cliché applicati normalmente dai mass-media ai mass-spostamenti di noi civilizzati. «Invasione da Nord! Code di 18 chilometri ai passi alpini!». «Orde seminude sommergono Venezia!». «La stazione di Firenze sconvolta dal furore vandalico». «Capri dice no ai nuovi barbari». «Terra bruciata dopo 0 "ponte" di Pasqua: non si trova più una fetta di salame in Emilia-Romagna». Non possiamo in coscienza esser certi di non aver fatto in pochi decenni peggio di quanto quegli incontenibili bruti fecero in pochi secoli. Capitolo XII Bisanzio I bizantini non smisero praticamente mai di combattere per tutto il corso della loro lunghissima storia. Erano duri, spietati guerrieri per terra e per mare, inventarono il «fuoco greco», terrore delle flotte nemiche, difesero con le unghie e coi denti il loro precario Impero d'Oriente, di cui andavano fierissimi. Dopo il crollo di Roma se ne consideravano i soli eredi legittimi e trattavano con malcelato disprezzo i più nobili cavalieri nordici accorsi alle Crociate. Ci lasciarono opere d'arte di grande fascino e il ricordo dell'Ippodromo, dove fans sanguinari si scannavano per la vittoria o la sconfitta di una biga. Ciò malgrado Bisanzio è diventata per noi ima parola di valore lirico, sinonimo di un crepuscolo estenuato, inteinùnabile e non esente da colpevoli fatuità. Il detto «Discutere del sesso degli angeli mentre Bisanzio cade» liquida con eccessiva severità una strenua agonia. Ci fu ben altro che astratte e cavillose dispute, che inconcludenza, cecità, impotente chiacchiericcio prima che le bombarde turche sfondassero le mura di Costantinopoli nel 1453. Eppure il «sentimento» di Bisanzio, filtrato fino a noi anche ad opera di alcuni grandi poeti, resta in definitiva proprio quello, insieme lancinante e risibile: uno scivolamento appena percepito, un precipitare rallentatissimo, una fine intravista così a lungo che dà l'illusione di non arrivare mai e che dunque consente di voltare la testa dall'altra parte e crogiolarsi ancora per un'ora, un giorno, in una sorta di suicida noncuranza. Viene con tuoni e lampi il primo temporale di fine agosto, co me nei «Vitelloni» di Fellini. Ma l'indomani il sole torna a splendere, sia pure meno imperiosamente, e ci si avvia verso settembre (mese bizantino per eccellenza) notando appena che i giorni si sono accorciati, grati addirittura di quella punta di freddo che la sera costringe all'esibizione di maglioni e scialli. Le vacanze stanno per finire, domenica si ripartirà tutti, ma la conversazione attorno ai tavoli della gelateria ha sempre lo stesso andamento pigro e pugnacemente futile. «Non so, quasi quasi prenderei... ma sì, facciamo limone e fragola con una goccia, ma proprio una goccia, cu whisky». «Cosa c'entra il whisky, scusa. Non si armonizza assolutamente. E' la vodka che ci vuole». «La vodka, ma la vodka svede- se, sia chiaro, io l'ammetto solo col gelato di kiwi». «A me il kiwi sta bene esclusivamente insieme al cioccolato». «E' un sacrilegio! Il cioccolato non ha il minimo senso se non con la crema». «E a me piace anche col melone, per esempio». «Pura degenerazione». «E me lo vieni a dire tu, che hai preso mirtilli e mango?». «E tu allora, con la tua papaya al Grand Marnier?». «Sempre meno assurdo del tuo whisky con fragola e cioccolato!». «Tanto per la cronaca, io avevo detto fragola e albicocca, ma lasciamo stare. Comunque una di queste sere ti porto al Tripudio Artico, giù vicino al moiette. Quelli sì che fanno delle combinazioni di gusto veramente inedite: cocco e rosmarino, patata e menta, cipolla e...». «Per me sono stupidi bizantinismi». Capitolo XIII L'Umanesimo «Padre Dante» usavano chiamare Dante Alighieri i vecchi professori. Un'affettuosa e giustificata reverenza verso l'uomo cui in sostanza dobbiamo tutto ciò che si scrive oggi in questo Paese, nel bene e naturalmente molto di più nel male. Ma sappiamo che il genio si vede anche nelle piccole cose. Il plasmatore della lingua italiana, il dottissimo trattatista, il Grande Avventuriero dell'Inferno, del Purgatorio e del Paradiso (un trekking metafisico che contiene però tutte le carnali emozioni, i pericoli, le sorprese, i disagi, i trabocchetti di un viaggio in terra che più incognita non si può); ebbene, questo Altissimo Poeta che è per noi «il» Vate come Shakespeare è «il» Bardo per gl'inglesi, ci ha offerto con la mano sinistra, in dolcissima concentrazione, anche il sogno che fluttua in ciascuno di noi tra «memoria e desiderio», il metro d'oro su cui immaginare e misurare tutte le vacanze a partire dall'adolescenza. «Guido i' vorrei che tu e Lapo ed io / fossimo presi per incantamento / e messi in un vasel ch'ad ogni vento / per mare andasse al voler Vostro e mio...». «Mio dio che struggimento! Ho praticamente le lacrime agli occhi, sul serio». «Ma la cosa più tenera è che non ci crede nemmeno lui, è un realista, butta lì l'idea sapendo benissimo che una crocerina del genere, con gli amici più cari, può avverarsi solo per incantesimo». «E le ragazze? Ci sono anche loro nel dream-team». «Come no? Monna Vanna e Monna Lagia per gli altri due, e per lui una candidata al titolo di Miss Florence, ^ "Quella che sul numer GOede le trenta"». «Sempre un po' circonlocutorio, il Nostro». «Ma no, è delicatezza. La città era piccola, la gente mormorava». «E tu ci credi che una volta al largo, con la luna eccetera, si limitavano a ragionar d'amore?». «Beh, per ragionare ragionavano duro, era l'epoca. Però non è che lui, prima di Beatrice, non ci pensasse. Tutto poteva succedere su quel magico vascelletto». «A me sembra chiaro, soprattutto dove si augura che "ciascuna di lor fosse contenta"». «No, lì ti sbagli, è di nuovo il realista che parla. Parte sul fantastico ma poi, quando si rappresenta la situazione come veramente sarebbe, non può ignorare la coriflittualità insita nella navigazione con signore a bordo. "Allora, dirigiamo su Ponza? Veramente io preferirei il Giglio. Che ne direste di Portofino? Troppa gente, troppo traffico: io sono per le Eolie. Uffa, ma è così lontano, non ci si arriva mai! Piuttosto l'Elba, io voto l'Elba. Ah, no, tutto ma non l'Elba!". Battibecchi da subito. Tutte e tre col muso. Nessuna contenta». «Maschilista?». «Ma se le venerava! Tu hai mai per un momento immaginato di poter entrare in Paradiso per me- vittidelpfemm rito di una donna?». «Francamente no, io come mistico sono al livello dei celenterati». «Non sai quel che ti perdi, mio diletto Lapo». Degli altri due grandi fondatori della letteratura italiana Francesco Petrarca fa zampillare le «chiare, fresche, dolci acque» del Vaucluse, da cui sgorgano gli spot di tutte le minerali gassate e naturali, con le loro infinite varianti sul tema della sete estiva. Qualche Laura appena shampizzata saltella talvolta, bottiglia in pugno, tra le rocce o sulle distese smeraldine di un campo di golf. Quanto a Giovanni Boccaccio, è lui a stabilire una volta per tutte la struttura non ideale, non vagheggiata, ma pratica, e in piedi fino a ieri, delle vacanze. Una villa fuori città (riesumazione della villa romana dopo le orde di automobilisti Unni, Goti, Vandali, eccetera), dove una brigata di giovani d'ambo i sessi s'intrattiene spensieratamente coi mezzi al momento disponibili, dal racconto orale ai dischi, diciamo, dei Platters, dei Beatles. E' vero che si tratta di una fuga dalla peste, dalla Morte Nera che nel Trecento spazzò via circa metà della popolazione europea, ma tale angoscioso stimolo nulla toghe alla piacevolezza del Decani e rone, anzi: la minaccia del morbo ti solleva da ogni responsabilità corrente, ti rende legge¬ ro, euforico, golosamente atto ad assaporare la minima goccia di vita. Quei mucchi di cadaveri nelle vie di Firenze (sempre che tu non ne faccia parte) ti autorizzano a non esserci, a sentirti, appunto, lo dice la parola, «vacante». La vacanza coatta, per cause di forza maggiore, è dunque psicologicamente la più liberatoria e auspicabile, ma non sempre si ha a portata di mano una pestilenza, una guerra, un naufragio, una valanga, uno sciopero prolungato. Ci si contenta allora della fuga daU'mc^uinamento cittadino, mediocre ripiego. Capitolo XIV Il Rinascimento Col Rinascimento le ville cominciarono un'escalation che non è del tutto finita ancor oggi. Caprarola, Bomarzo, villa Lante, villa Borghese e poi Palladio con tutte le ville venete, quelle in Lucchesia, le «vigne» sulla collina torinese e i chàteaux (leggi ville) della Loira, le dacie e le palazzine di caccia, ie ville vesuviane, siciliane, lombarde, le ville sui laghi, sui fiumi, in vista di monti e mari, in Austria, in Baviera, in Inghilterra, con una profusione e varietà di eleganze, di splendori, di capricci che il solo Carlo Emilio Gadda avrebbe potuto affrontare con stiumenti espressivi adeguati. Fingiamo allora che esistano cinque impetuose pagine del Gaddus dedicate alle ville, dal Quattrocento al Liberty, fingiamo che la citazione sia troppo lunga per essjre riportata qui, e passiamo agli invitati. All'inizio si trattava di eruditi, poeti, dilettanti coltissimi (senza esclusione delle signore), che leggevano in cerchio, a voce alta, testi alquanto impegnativi, e li commentavano con spirito ed intelligenza. Talk-shows al massimo livello, che è lecito sospettare fossero un tantino manierati, compiaciuti. Si fingeva - crediamo - di manipolare per gioco argomenti da tutti (?) tenuti di superiore importanza, l'amore, l'etica, la virtù, il matrimonio e così via. Ma a temperare la pedanteria dovevano esserci occasionali scivolate nel malizioso, se non nel licenzioso, nonché un fiorire di pettegolezzi passeggiando tra le geometrie dei giardini all'italiana. Ai dotti si aggiunsero via via i brillanti, i simpatici, i famosi, ma solo perché furono le donne a prendere in mano la situazione. Vennero balli, banchetti, concerti, giochi sul prato e nel bosco, corteggiamenti, bighettini, finestre scavalcate alle tre di notte, visite incrociate con vicini «interessanti». La vacanza europea prosperò per secoli sotto il pimpante dominio femminile, come testimoniano innumerevoli opere letterarie, dalle Liaisons dangereuses a Jane Austen, dalle Affinità elettive di Goethe alle Memorie di Casanova. Erano le donne ad inventare e imporre nuovi passatempi, le donne a decidere chi fosse o non fosse degno di frequentazione, le donne a dirigere i ghirigori della «conversazione» e degli intrecci amorosi in villa. Altra citazione impossibile: La villa e la società europea nei secoli XVIII e XIX, due densi volumi che i fratelli Goncourt sfortunatamente non scrissero. Scrisse invece fortunatamente Carlo Goldoni «Le smanie per la villeggiatura», quando lasciare in estate la città per la campagna era già da un pezzo, e per un pezzo sarebbe rimasto, un obbligo sociale, una rovente, ansiogena questione di status, una costosa croce da portare anno dopo anno. Dalla scena V del secondo atto riportiamo questo dialogo tra Ferdinando {scrocco, ossia malalingua parassita delle vacanze altrui) e la giovane Vittoria, che il fratello, coperto di debiti, lascerà forse in città, a Livorno. Ferdinando: «Ho veduto l'abito della signora Giacinta». Vittoria: «E' bello?». Fer.: «Benissimo». Vitt.: «Più del mio?». Fer.: «Più del vostro non dico; ma è bello assai; e in campagna ha da fare una figura strepitosissima». Vitt.: «(E io ho da restare col mio bell'abito a spazzar le strade di Livorno?)». Fer.: «Quest'anno io credo che si farà a Montenero una bellissima villeggiatura». Vitt.: «Per quale ragione?». Fer.: «Vi hanno da essere delle signore di più, delle spose novelle, tutte magnifiche, tutte in gala, e le donne traggono seco gli uomini, e dove vi è della gioventù tutti corrono. Vi sarà gran giuoco, gran feste di ballo. Ci divertiremo infinitamente». Vitt.: («E io ho da restare in Livorno?»). Fer.: («Si rode, si macera. Ci ho un gusto pazzo»). Vitt.: («No, non ci voglio stare, se credessi cacciarmi per forza con qualche amica»). Fer.: «Signora Vittoria, a buon riverirla». Vitt.: «La riverisco». Fer.: «A Montenero comanda niente?». Vitt.: «Eh! Può essere che ci vediamo». Fer.: «Se verrà, ci vedremo. Se non verrà, le faremo un brindisi». Vitt.: «Non vi è bisogno ch'ella si incomodi». Fer.: «Viva il bel tempo! Viva l'allegria! Viva la villeggiatura! Servitore umilissimo». Vitt.: «La riverisco divotamente». Fer.: («Se non va in campagna, ella crepa prima che termini questo mese»). Carlo Frutterò Franco Lucentini Fine della sesta puntata (continua) Giochi sul prato, amori, bigliettini, finestre scavalcate alle tre di notte: e cominciò l'escalation delle ville ^ » GOeMe, CaSOtlOVa vittime e testimoni delpimpante dominio femminile sulle ferie :.\" mMy^mmw^v ^v In alto, la «Rotonda» celebre villa del Palladio. Adestra Carlo Goldoni, che scrisse «Le smanie per la ' villeggiatura» quando «lasciare in estate la città per la campagna era già una rovente questione di status» Carlo Frutterò e Franco Lucentini. A sinistra, Dante e Beatrice in una stampa antica. E' prima di conoscere Monna Lisa che il Grande Avventuriero dell'Inferno butta là l'idea di una crocerina con Guido e Lapo e tre ragazze. «La città era piccola, la gente mormorava. Tutto poteva succedere su quel magico vascelletto»