MA NON E' UNA RIVOLTA

Parlando di «mostri» tra orrore e pietà DALLA MA NONE' UNA RIVOLTA centuale largamente maggioritaria (oltre il 60 per cento) è costituita da imputati in attesa di giudizio: dunque, fino a prova contraria, innocenti. Di questi ultimi, un terzo - seppure venisse condannato - in virtù dei benefici previsti dalla legge non sconterebbe un solo giorno di galera. Il secondo dato è altrettanto significativo: nelle duecento prigioni italiane c'è posto per 30 mila persone, ma attualmente i reclusi sono 50 mila. Alla pena del carcere come privazione della libertà, si somma automaticamente, pertanto, una pena aggiuntiva: quella delle condizioni di vita spesso intollerabili, talvolta barbare. E' questa la situazione da cui nasce lo sciopero della fame di tre giorni in corso. Uno sciopero della fame: ovvero la forma di lotta pacifica per eccellenza. Un mezzo di azione e di comunicazione che mette in gioco, in primo luogo, chi vi ricorre; e che si ripercuote, immediatamente, su chi se ne fa attore, sul suo corpo, sulle sue condizioni fisiche e psichiche, sulla sua tenuta emotiva e mentale. Una lotta in qualche modo «autolesionista», ma che prende il posto di quell'autolesionismo violento - fatto di mutilazioni, ferite, avvelenamenti, suicidi e tentati suicidi - che costituisce la sola «forma di protesta» cui può ricorrere (e vi ricorre quotidianamente) la popolazione detenuta. Questa popolazione, oggi, si affida allo sciopero della fame perché crede nella possibilità di trovare interlocutori, di affermare diritti, di ottenere tutela. Crede nella possibilità di un qualche cambiamento. Questo punto è importante: nelle carceri italiane, da molti anni, non si verificano rivolte violente. Il motivo è semplice: è diminuite il numero di detenuti che non hanno nulla da perdere; è diminuito il numero di coloro per i quali il carcere è il solo orizzonte e il solo destino. Il grande merito della «legge Gozzini» è stato, appunto, questo: aver offerto una opportunità diversa a chi aveva la cella, solo la cella, nella propria mente e nel proprio futuro; aver dislocato lontano, il più lontano possibile, il punto di non ritorno. Prima di quel punto di non ritorno, al recluso - qualunque sia la sua colpa e la sua pena - viene data, con la «legge Gozzini», una possibilità. Questa possibilità deve essere rinnovata, rafforzata, ampliata. Nelle condizioni attuali delle carceri non è così. Attenzione: non è questione di buoni sentimenti. E' questione di democrazia: la sua forza e la sua qualità, le si misurano anche nelle celle delle prigioni. Forse, soprattutto lì. Luigi Monconi

Persone citate: Gozzini