Parlando di «mostri» tra orrore e pietà

1 PANE AL PANE 1 Parlando di «mostri» tra orrore e pietà OME vogliamo chiamarlo uno che commette azioni terrificanti e mostruose come la tortura e l'uccisione di due bambini? A definirne il profilo non bastano assassino o psicopatico, meno che mai malandrino. Tutto sommato, in presenza di deformità intellettuale o morale, il termine mostro non appare così stravagante, checché ne dicano molti illustri colleghi, se non fosse per l'inevitabile banalizzazione dell'uso. Non fa male al soggetto, travolto da ben altre tempeste, e rende bene rinorridito stupore di chi è passato vicino a uno specchio illusorio di equilibrio, di normalità, senza averne avvertito la carica ustionante e distruttiva. Per cui, il rumore che si fa sul mostro «sbattuto in prima pagina» mi sembra incongruo e sproporzionato, confonde la pelle con la sostanza delle cose, quando non si riferisca ovviamente a un giudizio avventato, a una verità non ancora accertata, a una lapidazione dell'innocente. Sono riflessioni che nascono intorno alle riflessioni provocate dai casi atroci di cui è stato protagonista Luigi Chiatti. E comunque lo si voglia chiamare, merita la nostra pietà, quanto più se si riuscirà a capire che non aveva la piena responsabilità delle proprie azioni, che sul piatto della bilancia la necessità (i condizionamenti biologici e patologici) pesava molto di più che la libertà (la capacità di scelte razionali e morali). Questo non può offuscare la pietà per le vittime che sembra accantonata quando si pretende che i famigliari, anziché piangere e protestare sul cadavere caldo, si comportino da eroi di cartapesta piegandosi prontamente alla rassegnazione e al perdono. Come non capire che apparirebbe un tradimento lacerante dei loro cari, dei ragazzi massacrati? Ma non c'è limite allo sragionare, che è in fondo mancanza di rispetto per questa tristissima vicenda. Si dice, da chi mitizza la società come dispensatrice astratta di bene e di male, che la vocazione al crimine di Luigi nasce dai traumi LI1 subiti nell'orfanotrofio. Può darsi, è difficile che le imperfezioni e le crudeltà del vivere trovino sublimazione nel luogo destinato all'orfanezza, e cioè alla privazione degli affetti più radicati nell'anima e nel corpo. Ma è anche vero che questi istituti, gestiti spesso in modo pulito e civile, sono l'alternativa alla ruota delle monache o al cassonetto deU'immondizia; che una famiglia lo ha adottato come figlio, gli ha voluto bene e continua a volergliene anche dopo l'atroce rivelazione. Del resto, esistono in Italia migliaia di persone tranquille, non afflitte da turbe, che denunciano nel loro cognome la discendenza da un lontano trovatello. Perché non sospendere in certi casi il giudizio, arrestarsi sgomenti - come per un terremoto o l'eruzione di un vulcano - davanti alle oscure maree del sangue? La società, più o meno imperfetta, non deve arrendersi su queste frontiere ma deve mettere sul conto anche la sconfitta. Liberandosi dai cascami di una cultura, che non ha coscienza del male se non immesso in una strategia che ha per oggetto la politica, la società, la conquista del potere. Non abbiamo letto in questi giorni che i veri mostri sono gli uomini di Tangentopoli (che esagerazione!) o quelli che mettono bombe in giro per l'Italia? Certo, anche questi, soprattutto questi, per la quantità e la gravità dei lutti provocati, per la lucida e colpevole determinazione. Sebbene, rileggendo «I demoni» di Dostoevskij, ripensando alle nostre cronache dagli «anni di piombo» in giù, quante manifestazioni di demenza e violenza gratuita, che catena di eventi inesplicabili, di passioni pervertite, di ragioni tarate... Lorenzo Mondo do j

Persone citate: Dostoevskij, Lorenzo Mondo, Luigi Chiatti

Luoghi citati: Italia, Ome