«In Rai taglierò la testa ai camaleonti»

QUALE Il neo-presidente: non mi piace il giornalismo al condizionale. Che cosa ho detto a Santoro «In Rai toglierò la testa ai camaleonti» Demattè: e ora basta alla tv della piazza e dello scontro QUALE TV PI STATO SROMA I', qualche uomo politico ha provato a ficcare il naso nella nomina del direttore generale della Rai. Ma io facevo rispondere dalla segretaria che non c'ero e il problema così era bell'e risolto. Naturalmente quando parlo di uomini politici non intendo i segretari di partito: nessuno di loro ha cercato di interferire». Claudio Demattè, il «bocconiano» presidente del ristrettissimo Consiglio d'amministrazione della Rai, ha idee chiare e programmi ben definiti nella mente. Presidente Demattè, come pensa di evitare il rischio che tutti si precipitino a saltare sul carro del vincitore, ovvero del nuovo, giurando per di più di essere sempre statili? «Nessun camaleontismo sarà tollerato. Non siamo affatto stupidi e non ci interessano i pentimenti. Non siamo alla ricerca di voltagabbana, ma di gente convinta nel lavoro che fa e negli obiettivi da raggiungere. Chi si dimostrerà capace e motivato, resterà. Gli altri saranno sostituiti, ma senza alcun criterio punitivo». Lei è a favore del giornalismo responsabile all'anglosassone, o è per quello che, con la scusa del pluralismo dell'informazione, interviene con i dosaggi della verità? «La risposta è ovvia. Anglosassone». Lei pensa che esista la verità giornalistica? «Sì, senza ombra di dubbio. Io sono contrario a tutto quel genere di giornalismo che si basa su un uso poco responsabile del condizionale, dei "sarebbe", "avrebbe detto", "sarebbe stato". Gradirei che tutto ciò scomparisse una volta e per tutte». • Dia un voto, una definizione dei tre telegiornali Rai. «Del passato o del futuro?». Del passato e del presente. «Per il passato direi che sono stati troppo colorati. In senso partitico. Mi rendo anche conto che queste deformazioni politiche erano poi anche frutto di necessità oggettive: un telegiornale si sentiva in dovere di controbilanciare gli sbilanciamenti di un altro. Io, come molti, mi costringevo a vederne tre in fila per tentare di farmi un'idea completa ed oggettiva su un singolo fatto...». Il direttore del Tg3, Sandro Curzi, ha dichiarato in modo piuttosto clamoroso di non volersi dimettere, a differenza degli altri. Che impressione le ha fatto questo gesto? «Lui ha motivato questo suo nongesto con argomenti che hanno una loro consistenza. Il che non vuol dire che debbano essere approvati per forza. Del resto c'è stato qualcun altro che come dir zi ha evitato di dimettersi, però lo ha fatto in maniera furbastra, senza alcun clamore. Resta il fatto che la stragrande maggioranza dei dirigenti della Rai invece ha messo a disposizione il proprio mandato. Per quello che riguarda Curzi posso dire che su un dato ha obiettivamente ragione. Il suo tg ha ottenuto risultati brillanti quanto meno dal punto di vista dei numeri. Questo non vuol dire nulla: i direttori resteranno o se ne andranno secondo un criterio che riguarda il loro possibile impiego nel futuro». E il problema Santoro? «Semplicissimo. Abbiamo parlato francamente e io gli ho detto: guardi Santoro, che noi non siamo più disposti a fare una televisione proiettata verso il negativo, il distruttivo, una televisione incardinata sulle divisioni e gli scontri. Abbiamo bisogno di guardare in faccia la realtà, puntando sui momenti ricostruttivi, di fiducia verso il futuro. Lei è d'accordo?». Immagino che abbia risposto disi. «E con entusiasmo. Fine del problema Santoro». Parliamo di denaro: è vero quello che dice il sindaco Carlo Dominici che parla di un buco di 330 miliardi? «Direi di sì. Questo è l'ordine di grandezza». Si tratta di più del quadruplo di quanto sosteneva Pasquarem? «E' evidente. Del resto i conti definitivi non sono ancora stati fatti, ma stiamo procedendo con un'attenzione implacabile. Il dato bruto di questa valutazione è che le perdite della Rai sono prossime al consumo sia del capitale che delle riserve». • Non sarà stata soltanto la guerra con Berlusconi... «Certo, non soltanto: ci sono stati anche sprechi, oneri faraonici di personale, contratti onerosi...». Appalti... «Sì, anche. Ma non tutti gli appalti sono illegittimi o impropri. Quello che non funziona è tutto il sistema di lavoro interno e dei contratti che regolano gli appalti. E' una materia ingarbugliata e dissennata che dev'essere ricondotta ad un ordine ben preciso». Lei è d'accordo sul fatto che la Rai e Fininvest debbano cedere una rete ciascuno per dar luogo ad un terzo polo? «Guardi, oggi un qualsiasi satellite può permettere l'utilizzazione di nuovi cinquanta canali. E il numero dei satelliti può essere infinito, come il numero dei canali. Altrettanto si può dire della televisione via cavo. Quindi l'idea di sottrarre una rete via etere per aggiungerla ad un'altra e creare un terzo polo è una questione politica che però cozza con la realtà dei fatti tecnologici. Il vero peccato è che la Rai oggi sia costretta a stare sul mercato internazionale ristretta su soli tre canali via etere, mentre tutte le altre televisioni si stanno lanciando verso un futuro via satellite che praticamente non avrà limiti. Ma finché non si modificheranno le leggi e non si prenderà atto della nuova realtà noi saremo costretti a lavorare nelle condizioni in cui ci troviamo oggi, senza il satellite e senza il cavo». Presidente Demattè, lei sta profilando una situazione disastrosa... «Un momento: la Rai non è affatto un disastro. Quali che siano i suoi difetti, le sue debolezze economiche e tecnologiche, resta il fatto che l'azienda ha un grandissimo e anzi incalcolabile valore strategico. Il giorno in cui saremo riusciti veramente a ristrutturarla si potrà ben dire che il valore della Rai non ha prezzo».- -* Tuttavia insisto perché lei faccia qualche numero: che cosa vuol dire che la Rai ha un valore altissimo e che cosa vuol dire che ha un valore strategico? «Intendo riferirmi a un valore nell'ordine delle centinaia di.miliardi, ma forse anche di migliaia. Oggi la Rai non è un'azienda interattiva, come i telefoni. Ma non appena lo diventerà, non appena cioè l'utente potrà chiamare, attraverso la tastiera telefonica i programmi che desidera, i film che desidera, ordinarsi i documentari che intende raccogliere in videocassette e trasformare in propri momenti di cultura o di divertimento, noi avremo tra le mani un patrimonio incalcolabile. E' il valore di quello che in inglese si chiama "library»: cioè il magazzino di tutta la memoria italiana nei campi dell'informazione e del divertimento. Tutto ciò può essere messo a disposizione degli utenti attraverso computer e telefoni, così come si sta facendo negli Stati Uniti d'America». Ci vorranno molti investimenti? «Certo, il problema è proprio quello di trovare i soldi. Oggi ricapitalizzare la Rai è veramente urgente: si tratta di trovare una somma fra i 5 e gli 800 miliardi per gli obiettivi strategici di fondo. Sa, io accarezzo una fantasia: quella di rivolgerci in qualche modo al mercato stesso degli utenti i quali, con sole 50 mila lire, potrebbero essere i soggetti di questa ricapitalizzazione e in qualche modo i nuovi veri proprietari dell'azienda pubblica». Rientriamo nella dura realtà: qual è la verità bruta dei rapporti di ascolto fra la Rai e le private e in particolare con il Gruppo Fininvest? «Dal 1987 al 1990 la Rai riuscì a guadagnare quote di mercato pari ai cinque-sei punti percentuali. Nel triennio successivo però ne ha ripersi quattro». Su che cosa ha vinto Fininvest? «Sulla diretta. Appena l'ha ottenuta, ha saputo usare i telegiornali per aumentare lo share, ma più nelle ore pomeridiane che nel prime time. Un avversario svelto, esatto e asciutto da far paura». La Fininvest ha combattuto con programmi che ottenevano alti numeri d'ascolto ma una qualità del tutto commerciale. La Rai che cos'altro ha fatto se non adeguarsi? «Quanto alla qualità dei programmi la Rai si è effettivamente lasciata trascinare verso il pozzo della alta audience...». Magari raggiungendo un alto livello di idiozia «Diciamo risultati troppo facili: appena quanto basta per mantenere gli ascoltatori davanti al teleschermo». In realtà non nascondiamoci che «Saluti e Baci» faceva 10 milioni di ascolto... «Sì, ma io credo che l'azienda pubblica debba avere il coraggio di lanciare una grande sfida alla televisione privata, anche perché ha il potere, come è già accaduto in Francia, in Germania e in Inghilterra di trascinare il privato verso l'alto». Con trasmissioni del livello di «Scommettiamo che»? «L'intervento va fatto, ma con intelligenza: si tratta di spostare dei pesi enormi nella stiva per modificare la rotta senza rovesciare la nave. Vede, io ho studiato a lungo quello che è successo negli altri Paesi...». Quale degli altri Paesi secondo lei somiglia più all'Italia, televisivamente parlando? «Il fatto tragico è che gli altri Paesi cercano in tutti i modi di rendersi diversi dall'Italia e di non cadere nell'errore italiano. Gli inglesi, per fare un esempio, sono semplicemente ossessionati dall'idea di poter scivolare verso il modello italiano: per loro noi siamo il mostro da evitare. E i francesi hanno decisamente voluto colare a picco la Cinq, proprio perché considerata "un cattivo esempio da non imitare". E tutto l'intervento del governo francese sulle televisioni sia pubbliche che private è volto ad imporre un alto tasso di qualità al di sotto del quale sia impossibile scendere». E' quello che finirete col fare anche voi? «Non precisamente. Noi non desideriamo avere come controparte, o come partner, un governo che tenti di imporre qualcosa all'Ente radiotelevisivo. Noi non vogliamo imposizioni, altrimenti prima o poi si finirebbe con l'assumere at¬ teggiamenti censori del cavolo». Tuttavia anche senza dirigismi dall'alto qualcosa bisognerà pur fare. «Intanto voghamo cambiare il sistema barbaro dei rilevamenti d'ascolto, le famose famiglie Auditel. Voghamo puntare verso un sistema che non dia dei biniti numeri di presenza davanti a un teleschermo, ma che dia un valore di gradimento e di attenzione ai programmi. Questo dovrà servire anche per indirizzare in maniera più consapevole e intelligente il mercato pubblicitario che oggi sembra muoversi alla cieca. A che diavolo mi serve fare una pubblicità della Mercedes su un target da 8 milioni l'anno? Non mi serve a un fico secco». La gente intanto s'interroga sul futuro dei personaggi televisivi che conosce. Ce n'è qualcuno fra loro a cui lei pensa seriamente per la televisione del futuro? «Penso a Pippo Baudo che è un grandissimo professionista. Nel momento in cui gli obiettivi della nuova azienda saranno ben definiti io conto sul fatto che un uomo come Baudo possa dare contributi enormi». Pippo Baudo è lo stesso che vi ha invitato a fare le pulci nel pacco dei contratti dei collaboratori Rai che prendono i soldi per fare poco o nulla... «Ci stiamo lavorando, mi creda». E avremo delle sorprese? «Credo di sì, qualche sviluppo serio». Che interesserà magari qualche procura della Repubblica? «Dio mio, speriamo di no. Per quanto... Intanto stiamo facendo un'analisi di quei contratti e in ogni caso chiederemo ai collaboratori una vera e propria autoriduzione dei compensi, dando l'esempio». Lei che esempio ha dato? «Io? Io e gli altri consiglieri nel nostro piccolo abbiamo rifiutato l'aumento di stipendio che ci era stato proposto per remunerare le nostre cariche, anche in conseguenza del maggior lavoro cui siamo sottoposti». Quanto guadagna oggi un consigliere della Rai? «80 milioni l'anno e ci era stato proposto un aumento fino a 100. E abbiamo detto di no». E i rapporti con il Palazzo? «Quando ho detto che volevo una Rai come la Banca d'Italia pensavo alla necessità di un rapporto corretto ma di assoluta indipendenza nei confronti sia del Parlamento che del governo. Rispetto e correttezza, mai sudditanza». Il che significa? «Significa che il Parlamento e il governo potrebbero, in teoria, esprimere anche dei desideri di censura nei confronti delle minoranze di questo Paese. Quando io dicevo che la Rai dovrebbe essere qualcosa di simile alla Banca d'Italia intendevo proprio un palazzo dalle finestre ampie ed aperte verso le istituzioni ma dalle solide mura che lo tenessero ben al riparo da qualsiasi tentazione di intervento improprio». Paolo frizzanti «I miei obiettivi: cambiare l'Auditel con i rilevamenti d'ascolto. E trasformare gli utenti in azionisti» A sinistra Claudio Demattè presidente della Rai Sopra, il presentatore Pippo Baudo e la soubrette Valeria Marini A destra il giornalista Michele Santoro Sotto, Silvio Berlusconi

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