I ribelli del rock irritano la Cina di Alessandra Levantesi

I ribelli del rock irritano lo Cina Locamo: la Repubblica Popolare si ritira contro «Bastardi pechinesi» I ribelli del rock irritano lo Cina Grande voglia di libertà nel film diZhang Yuan LOCAKNO. Si dice che per la presenza in competizione al festival di «Bastardi pechinesi», uno dei primi film prodotti privatamente con un contributo finanziario olandese, la Repubblica Popolare Cinese abbia ritirato la propria partecipazione dal concorso. Sarà perché i mandarini della censura non amano essere scavalcati? O perché l'ufficialità del suo Paese considera l'opera di Zhang Yuan un nuovo, ambiguo capitolo sull'inarrestabile americanizzazione del mondo? Sono arrivati laggiù e si fanno sentire i ribelli del rock'n roll, qui rappresentati dalla star Cui Jian co-autore del copione e produttore del film. Sullo schermo si susseguono le notti brave in cui i giovani emarginati si scambiano battute smozzicate, giocano, bevono, magari rubacchiano, fanno a pugni e all'amore con più o meno gusto; e via le immagini ben note, ugua¬ li dappertutto, degli antri fumosi in cui nel delirio collettivo dei fans si esibiscono i rockettari: bravi e capaci di inserire nello standard musicale cosmopolita strumenti e armonizzazioni della loro tradizione. C'è un ragazzo, Karzi, che ha messo incinta la sua bella; e ora Maomao è sparita, lui la cerca ovunque, si dispera, arriva a capire quanto contava. Sulla blanda ubriacatura di una sigaretta di marijuana, Karzi immagina Maomao mentre abortisce con dolore, poi andando avanti e acquistando sicurezza riuscirà a immaginarla madre felice. Tutto qui: ma l'affondo emotivo avviene verso la metà del film, quando nei suoi vagabondaggi per una Pechino fra il vecchio degradato e il nuovo squallido, la macchina da presa costeggia l'immenso fatidico slargo di Tien-An-Men. Subito dopo Cui Jian al microfono canta versi che potrebbero portare la firma di un nuovo Brecht: «Il male che ci hanno fatto ci fa riflettere... Non abbiamo che l'avvenire - questa sarà la nostra ultima protesta». Frutto dell'iniziativa di un cineasta pioniere dei videoclip, comprensibilmente inviso all'autorità retriva, «Bastardi pechinesi» (il termine originale è «zazhong», gentaglia, un modo orgoglioso di autodefinirsi) appartiene al cinema in presa diretta, dove con un minimo di affabulazione si esprimono i costumi, i linguaggi, le frustrazioni e le speranze di una generazione che non sembra disponibile a considerarsi perduta. Traspare dal film di Zhang Yuan, sull'onda di una straordinaria vitalità, una voglia di libertà (e addirittura di licenza) che nessuno riuscirà più a fermare neanche con le cannonate. Alessandra Levantesi

Persone citate: Brecht, Jian, Yuan Locakno, Zhang Yuan

Luoghi citati: Cina, Pechino