I crack vizi di famiglia? «No figli dell'incapacità»

I COMMENTI I crack, vizi di famiglia? «No, figli deinncapacità» I COMMENTI NONE' CAPORETTO ITORINO L capitalismo italiano non è affatto a Caporetto. Quel che è capitato al gruppo Ferruzzi non capita soltanto da noi. Qui abbiamo un solo, vero problema: che i personaggi contano troppo, più delle istituzioni. E invece le imprese, di pari passo con la loro crescita, devono divenire sempre più istituzioni e sempre mono appendici di famiglia». Così Vittorio Merloni, ex presidente della Confindustria e imprenditore leader nel settore degli elettrodomestici, sintetizza il suo punto di vista sul dibattito attorno all'etica del capitalismo in Italia. «Il caso Ferruzzi è gravissimo, ma è un caso specifico che nasce da una condizione di base e da due eventi imprevedibili. La condizione di base è la fragilità finanziaria della famiglia rispetto ai debiti che aveva accumulato. I due eventi sono le perdite del trading, 1000 miliardi, e le perdite dei cambi, altri mille. Se si guardano le presunte cifre intascate dai singoli membri della famiglia, sono briciole». «Ogni volta che da noi una società salta si grida alla bancarotta conclude Merloni -. In realtà possono anche ricorrerne gli estremi, ma il grosso nasce da perdite, perdite d'esercizio. Incapacità, sfortuna, sfiducia nel sistema finanziario. Sono questi gli ingredienti deicrack Ferruzzi. Non c'entra alcun "male oscuro" del capitalismo». Più severo Franco Tato, amministratore delegato della Mondadori. «Io credo che il caso Ferruzzi sia soltanto la manifestazione più vistosa di una crisi generale del capitalismo italiano com'è vissuto finora ed è stato sostenuto da Mediobanca. Il capitalismo familiare che siamo abituati a conoscere deve evolversi, tentare di mantenerlo in vita così com'è, è un errore. Per riuscirci, dovremmo chiudere i confini». I problemi da risolvere, dunque, secondo il «tedesco di Segrate», come viene chiamato Tato per la sua lunga esperienza manageriale in Germania, sono più d'uno. «Innanzitutto c'è un problema di regole: ne esistono fin troppe, ma non funzionano. Vanno snellite ma rese più incisive. Poi c'è un problema di controlli. Si ha un bel criticare la Consob, ma se al suo vertice sono stati pesti dei disonesti, nessuna norma sarebbe mai stata applicata a dovere. E c'è poi il problema del rapporto tra imprenditori e imprese: troppo spesso gli imprenditori tendono a immedesimarsi eccessivamente nelle proprie imprese, fino a considerarle cosa loro. Occorre superare questi schemi, ma riuscirci non sarà né facile né rapido: sarà una vera e propria rivoluzione». Da Castelvetro, capitale del suo impero, il «re della carne» Luigi Cremonini commenta: «Ci sono due tipi di imprenditori: gli industriali e i finanzieri, i commercianti di aziende. Noi industriali gestiamo le imprese e nel nostro lavoro la verità si vede tutte le mattine. Il punto è questo, non è il capitalismo di famiglia o no - continua Cremo¬ nini -, si tratta di serietà, nostra e dello Stato». «Cosa vuole - conclude il "re della carne" - io ho la testa da industriale e metto l'efficienza davanti a tutto. Comunque sono convinto che il marcio, il grosso del marcio del Paese sia stato tolto. Adesso è il momento di fare regole vere, che siano rispettate da tutti». Gianni Zonin, il maggior imprenditore vinicolo italiano, è convinto che questa sia l'ora delle piccole e medie imprese: «Per anni si è continuato ad incensare la grande industria, che ha fatto i soldi usando denaro pubblico per poi trovarsi in una situazione così poco lusinghiera. L'Italia non è un Paese da grandi concentramenti industriali, l'economia italiana non deve più essere nelle mani di 10 persone, ma di cento, mille. E soprattutto bisogna sgombrare il campo dall'industria di Stato, la peggiore sotto tutti gli aspetti». La più profonda amarezza, secondo Ernesto Sagna, titolare di una grande impresa di importazioni, è data da ciò che pensano di noi all'estero: «Basta guardare i giornali stranieri. A parte i momenti come l'attuale, di Italia se ne parla ben poco. In realtà non siamo considerati e il motivo è semplice: i Paesi che contano hanno strutture ben diverse dalle nostre». E Stefano Wallner, imprenditore e ex presidente della Confagricoltura, rincara la dose a sciabolate: «Un Paese serio non può basarsi su un capitalismo familiare la cui schiettezza e limpidità è tutta da dimostrare. La vicenda Ferruzzi fa impallidire persino il crack Fedit. Non si può andare in giro per il mondo a dar lezione di alta finanza a tutti e poi scoprire che le proprie vergogne sono inenarrabili». «Speriamo almeno - chiude Wallner con un ultimo affondo che da questo disastro parta la spinta per cambiare un sistema bancario che è sempre stato umile con i potenti e protervo con i galantuomini». Vanni Cornerò Da sinistra Vittorio Merloni e Franco Tato

Luoghi citati: Caporetto, Germania, Italia, Segrate