Il giovane popolo di Wojtyla di Furio Colombo

Il giovane popolo di Wojtyla Il giovane popolo di Wojtyla Seri, attenti, felici come a un concerto rock IL VERTICE DEL COLORADO SEGUE DALLA PRIMA ALCUNE cose sono accadute. La più interessante, almeno nelle prime ore, per me è stata questa. Il Papa appena arrivato era accanto al Presidente degli Stati Uniti. E quando ha cominciato a parlare ho notato una grande attenzione al linguaggio, all'uso di specifiche parole. E' quello che negli Usa si chiama il «politicamente corretto». Il Papa lo è stato, evitando tutte le espressioni (sono molte) che avrebbero potuto offendere un gruppo o l'altro. Per esempio non ha mai detto «uomini» quando poteva dire «genere umano» o ((persona», evitando attentamente di maschilizzare ogni passaggio del suo discorso. Allo stesso tempo ha messo bene in chiaro che parlerà, in questo viaggio, di tutti gli argomenti che motivano e uniscono «le persone di buona volontà» (tutti applaudivano, compreso il Presidente degli Stati Uniti). E che non pagherà alcun pedaggio alla popolarità trascurando o mettendo in ombra ciò che divide. Perciò ha fatto un omaggio alla grandezza dell'America, invitandola a intervenire dove si sparge sangue e c'è dolore, dall'Africa alla Bosnia. E ha detto: «So che è un peso per voi, ma assumere questo peso sarà la conferma della vostra grandezza». C'è stata una lunga ovazione, e il Presidente degli Stati Uniti ha applaudito forte, in pubblico, di fronte alle telecamere del mondo. Ma subito dopo ha usato l'espressione «right to life», diritto alla vita, che è la parola d'ordine dello schieramento anti-abortista in America. La folla ha capito il messaggio. Clinton, che sostiene il diritto di aborto, è rimasto immobile, un po' imbarazzato. Segno che il Papa si è preparato con cura a questo viaggio, e ha calcolato il favore, il trionfo, la freddezza, l'opposizione. E ha deciso di non tenerne conto. Ai suoi occhi ciò che ha da dire (che deve dire) conta più del successo, che pure è grande, fra la gente. Segno, anche, che U Presidente degli Stati Uniti non ha fatto il suo lavoro con la stessa cura. Si aspettava una festa di armonia e benevolenza. Non era pronto, con il suo sorriso radioso di quarantenne giovane, per un Papa che cerca, con chi non è della sua fede, un rapporto di testa, non di umore. Ma il modo drammatico in cui il Papa, appena arrivato, ha scelto di rivelarsi, dicendo subito - non tanto a quella folla amica che gli stava intorno ma a tutto un Paese - che cosa è venuto a predicare, potrà essere impopolare presso molti, ma è culturalmente e psicologicamente un gesto molto americano: niente convenevoli e molta chiarezza. Sul fondo si sentivano - come accadrà molte altre volte nelle 48 ore di Denver - le voci degli agenti del servizio segreto che, come in un film, si mandavano brevi messaggi: «Sei pronto? Sono pronto. Allora vai!». Qual è il popolo del Papa? E' un universo appassionato e festoso ma non coerente, unito da tante motivazioni diverse, che hanno fatto crescere sensibilmente la folla di Denver al di là delle previsioni. La parte bruna della folla, per esempio, immigrati legali e illegali da Paesi intensamente cattolici, sono venuti di fronte al Papa a celebrare un grande riscatto. Questa volta essi sono il centro, sono loro i più importanti. Perché questa parte della folla di Denver sente la religione come un motivo assoluto di identificazione. Che cosa è un peruviano, che cosa è un contadino fuggito dalla fame di Santo Domingo, dalla crudele povertà di Haiti, dal Salvador senza terra, dal Guatemala senza pace? Qui, nella valle di Denver sono il popolo del Papa e il Papa è il padre, il capo. Gli altri, gli americani, gli «yanquee», potranno festeggiarlo e applaudirlo finché vogliono. Ma i «latinos» giovani e meno giovani accorsi a Denver sentono di essere i veri protagonisti, il popolo del Papa. E quando il Presidente degli Stati Uniti presta attenzione al Papa, presta attenzione a loro, che di solito sono confinati ai limiti del sogno americano. Un'altra parte della folla, e anche in questa non tutti sono giovani o giovanissimi, è ordinata, bene organizzata, portata con aerei speciali e torpedoni direttamente da mille parrocchie, centinaia di diocesi. E' una folla disciplinata, fedele, che crede fermamente nel magistero del Papa, e viene senza alcun altro scopo che confermare affetto e obbedienza. Accanto a questa folla, in prevalenza bianca, in prevalenza di classe media se ne rispecchia un'altra, forse socialmente un poco più abbiente, che invece porta una propria agenda, un ordine del giorno di fatti e valori che vorrebbe discutere benché questa non sia certo l'occasione per discutere. Essi amano il Papa della Bosnia, dell'Africa, della «ingerenza umanitaria», dei «diritti umani universali» (una delle prime frasi dette da Giovanni Paolo II appena sceso dall'aereo). Ma vorrebbero difendere i diritti dei gay, permettere l'uso dei preservativi per proteggere i giovani dal rischio dell'Aids, confermare alle donne il diritto di decidere su una nuova vita, almeno se ci sono gravi ragioni per farlo. Dentro, o accanto, c'è un gruppo più piccolo. Vive dentro la Chiesa e cerca di cambiarne le regole. Sono coloro che si chiedono se si possano consacrare preti le donne, se i sacerdoti non si possano, e anzi non si debbano, sposare. Infine c'è una massa di giovani venuti in cerca di una voce, di un leader, gente che è venuta col sacco a pelo e con la tenda, gruppi che tutti insieme sono un mare, che non vengono qui a chiedere qualcosa per sé, ma solo per ascoltare. C'è così poco da ascoltare nel mondo, e non fa meraviglia che siano venuti qui in tanti, con una motivazione allo stesso tempo appassionata e generica. Il Papa ha subito dimostrato che ha una sua strada da seguire. Nonostante l'amore e il calore (e anche la famosa sapienza retorica) che mette e metterà nelle sue parole, non è qui per fare il pifferaio magico, per piacere a tutti, per sedurre la massa di gente giovane. E' qui per annunciare, e non cambia una sillaba di quello che ha deciso di dire. Non per compiacere una destra rigida, non per cattivarsi i «liberal» generosi ma incerti, non per rendere più facile l'ingresso nei cancelli della sua chiesa a chi lo ammira come leader, ma aspetta fuori e vorrebbe sentirsi dire parole più facili e più invitanti. Senza dubbio il Papa ha colto al volo il lato debole dell'America. Qui, nel Paese delle mille televisioni, dove tutti vogliono piacere a tutti e dove si cambia posizione una volta al giorno, per non risultare impopolari rispetto ai sondaggi di opinione. Giovanni Paolo II va per la sua strada mostrandosi (non credo che lo sia ma lo sembra) incurante di piacere o dispiacere con le sue parole. Lui le considera inevitabili. Ma poiché un simile comportamento è fuori dall'universo dei media, esso attrae attenzione. E per questa strana ragione - il coraggio di essere impopolare - il Papa diventa di ora in ora più popolare, almeno agli occhi del suo giovane popolo di Denver. La Chiesa di Giovanni Paolo H fa capire il Papa - non è un club guidato da regole aggiustabili. Ed è per questo che il Papa d'America in America dispiacerà a molti. Ma piace a moltissimi. E disorienta soprattutto i media, i giornalisti, i commentatori, che hanno provato a prepararsi (sono usciti ben tre libri, in America, negli ultimi giorni, sul papato di Giovanni Paolo II): hanno preparato scalette di argomenti, e si trovano perennemente spiazzati. Forse non c'è verso di armonizzare la lunghezza d'onda del «lieto fine» televisivo con quella di una predicazione netta, precisa, se necessario controversa. Controversa, almeno, rispetto ai riti televisivi americani, che considerano il rapporto fra piccolo schermo e «celebrity» una pura occasione di festeggiamento. Ho visto 1'«anchorman» della Cnn Barnard Shaw reso celebre dalla guerra del Golfo. Il primo giorno di Denver ascoltava dallo studio di Atlanta le frasi del discorso del Papa. E quando la telecamera è ritornata a lui, che aveva un piccolo pacco di appunti sul tavolo, lo si è visto in preda a un attimo di incertezza. Poi ha spinto via gli appunti, ha detto: «Okay, adesso passiamo alle notizie dal mondo». Altri non hanno rinunciato. Il commentatore della rete Abc ha cercato un percorso, anzi un progetto politico nel comportamento del Papa. Era munito di una cartina che mostrava le tappe del viaggio, Giamaica, Messico, Usa. «Questo Papa - ha detto - vuole stabilire un nesso, un collegamento fra il mare di disperazione e di sottosviluppo che circonda l'America e il benessere del nostro Paese. Vuole creare una striscia di rapporti e di interessi comuni fra ricchi e poveri che anticipa e precede l'accordo tariffario in discussione fra Messico, Stati Uniti e Canada». Altri commentatori hanno detto che il Papa farà breccia con le norme di morale laica introdotte dal nuovo catechismo, il dovere di pagare le tasse, di stare lontani dalla droga e dall'alcol, di non tollerare la discriminazione razziale. Ma anch'essi sono sulla strada del «che cosa c'è dietro». La gioventù «dell'era della distrazione», come è stato chiamato il popolo delle 48 ore di Denver, è meno distratta dei grandi commentatori. Forse perché non ha ricevuto finora da nessuno un'immagine umana e ragionevole del futuro, e si ostina a cercarla. Furio Colombo I Tra la folla spiccano i «latinos» e i tanti immigrati legali e illegali che sognano il riscatto Wojtyla con il Presidente A destra i giovani di Denver Sotto il Papa saluta la folla (FOTO ANSA]

Persone citate: Barnard, Clinton, Giovanni Paolo Ii, Shaw, Wojtyla, Wojtyla Seri