«Il blitz in Bosnia può attendere»

Nuove condizioni ai serbi: non basta abbandonino i monti, vogliamo il ritiro totale da Sarajevo Nuove condizioni ai serbi: non basta abbandonino i monti, vogliamo il ritiro totale da Sarajevo «Il blitz in Bosnia può attendere» Christopher e Nato unanimi: aspettiamo ancora SARAJEVO. Un punto fermo nella crisi bosniaca: gli Stati Uniti e i loro alleati non hanno intenzione di intervenire nell'immediato. Lo ha detto ieri a chiare lettere il segretario di Stato americano Warren Christopher. Sollecitato dagli emissari dell'Organizzazione della conferenza islamica a passare all'azione, Christopher ha dichiarato che «non è ancora il momento di parlare dei tempi e dei modi» di eventuali raid aerei contro le postazioni dei serbo-bosniaci. Christopher ha aggiunto che prima dell'eventuale inizio delle operazioni ci dovrà comunque essere l'avallo dalle Nazioni Unite (posizione sottoscritta anche dalla Russia, il cui viceministro degli Esteri Boris Kolokolov ha detto ieri che «l'intervento militare richiede un'apposita risoluzione del Consiglio di sicurezza»). Il segretario di Stato ha detto tuttavia che «il ritiro definitivo dei serbi dai monti Igman e Bjeslanica sarà un passo molto importante, ma quello decisivo sarà togliere l'assedio a Sarajevo». Se ciò non avverrà, ha ammonito, «la Nato intraprenderà un'azione militare». Da Bruxelles il comitato polìtico della Nato ha fatto sapere di non aver chiesto la convocazione del Consiglio atlantico per discutere del blitz, ritenendo, come hanno fatto sapere fonti diplomatiche, che la situazione in Bosnia, pur grave, «non è ancora giunta al punto critico che richiede un intervento alleato». E ieri, secondo quanto ha annunciato in serata il comandante dei «Caschi blu» in Bosnia, generale Francis Briquemont, nel corso di una conferenza stampa, le forze serbo-bosniache hanno accettato di ritirarsi entro oggi pomeriggio oltre una linea, sul monte Igman, proposta dall'Onu e accettata dall'esercito bosniaco (musulmano). La linea sulla quale le forze serbe hanno accettato di ripiegare - ha precisato l'ufficiale belga - è un compromesso tra quella richiesta dall'esercito bosniaco e quella proposta dalle forze serbe. Briquemont ha aggiunto di confidare che l'accordo per il ritiro serbo, che ha definito «senza precedenti», consentirà una regolare ripresa dei negoziati di pace a Ginevra, lunedì prossimo. «Dopo uno o due giorni di controllo da parte delle nostre truppe sul terreno, spero che i negoziati riprenderanno lunedì», ha dichiarato. Il generale britannico Vere Hayes, capo di stato maggiore deU'Unprofor, ha passato tutta la giornata di ieri sul monte Igman per negoziare sul terreno la linea di ripiegamento. «C'è una differenza - ha spiegato Hayes - tra i bosniaci e i serbi nelle loro descrizioni del monte Igman: i bosniaci parlano di una piccola zona immediatamente a Sud dell'aeroporto, e avevano ragione nei giorni scorsi nel dire che i serbi non si erano ritirati di là. I serbi invece parlano di un settore assai più vasto, e avevano ragione anche loro quando affermavano di aver ritirato un numero considerevole di truppe da tale area: abbiamo risolto questa divergenza e parliamo ora della stessa zona. Mentre ero sul monte, ho visto partire un numero considerevole di truppe serbe». Su richiesta dei serbo-bosniaci, l'Unprofor ha accettato di prendere il controllo di alcuni punti di passaggio e di verificare che l'esercito bosniaco non approfitti del ritiro del nemico per recuperare terreno. Hayes ha precisato che 250 «Caschi blu» si dispiegheranno nel settore che viene abbandonato dai serbi, dove già occupano alcune posizioni. «Possiamo controllare le strade - ha peraltro aggiunto -, ma non le zone boschive». Hayes ha sottolineato che l'Unprofor userà la forza per resistere a eventuali incursioni, quale ne fosse la provenienza, tali da pregiudicare l'accordo. Nonostante l'ottimismo del generale Briquemont, non è detto che dopodomani a Ginevra si riprenda a trattare perché ieri il presidente bosniaco Izetbegovic, che prima chiedeva solo il ritiro dai due monti, ha posto ieri tre ulteriori condizioni al suo ritorno al tavolo del negoziato: la fine dell'assedio serbo-bosniaco di Sarajevo, la cessazione delle ostilità durante i colloqui ginevrini e il libero passaggio ai convogli umanitari. In una conferenza stampa Izetbegovic ha denunciato che la sua capitale è al collasso «mentre l'Occidente non ha fatto nulla». Quanto all'Onu, «è una fortuna per i serbi che ad avere il dito sul grilletto sia Boutros Ghali». L'ipotesi di bombardamenti anti-serbi attorno a Sarajevo lascia frattanto sempre più scettici i militari americani. A un cronista del «Wall Street Journal» che gli domandava perché, dopo una vigorosa opposizione, i generali si siano decisi a preparare i piani per i bombardamenti aerei sollecitati dal governo, un ufficiale dello stato maggiore ha risposto che «la Costituzione sancisce la superiorità del potere politico su quello militare». Come dire che le forze armate si adeguano a un ordine che non condividono. Tuttavia pochi, tra i collaboratori del capo di stato maggiore Colin Powell, pensano che alle parole seguiranno veramente i fatti. «Alla fine non succederà nulla», ha detto uno di loro che ha richiesto l'anonimato. [e. st.] Il segretario di Stato americano Warren Christopher ha ribadito ieri che senza il nulla-osta dell'Orni non si bombarda Sopra: un vecchio miliziano serbo si ritira dalle alture di Sarajevo con il suo cane portando armi e salmerie su un cavallo A fianco una scena di disperazione al funerale di una vittima della guerra in Bosnia