«Così il boy scout è diventato un assassino» di Giovanni Bianconi

Foligno, compagni di scuola e di lavoro di Luigi Chiatti rievocano gli incontri con l'omicida dei due bambini Foligno, compagni di scuola e di lavoro di Luigi Chiatti rievocano gli incontri con l'omicida dei due bambini «Così il boy scout è diventato un assassino» sV* W - -1*1*' *r->-■■■■■■ Nel suo ufficio sipario della morte di Simone «Lui rimase zitto e non sembrò per nulla turbato» RICORDO E STUPORE FOLIGNO ON esce nemmeno per l'ora d'aria, Luigi Chiatti. Preferisce restare nella sua cella d'isolamento, quasi sempre disteso sulla branda. Ha chiesto carta e penna, per scrivere chissà che cosa. Mangia i pasti che preparano nel carcere, glieli portano gli agenti di custodia. Ieri ha incontrato la psicologa del carcere, Franca Dionigi, la quale, nel corso di un'intevista al Tg2, ha dichiarato che il giovane avrebbe commesso i due delitti per «rapportarsi all'esterno in maniera esasperata, estremamente esagerata, non controllata, non strutturata». A lui probabilmente non interessa, ma fuori dalla porta blindata del carcere di Perugia che separa Luigi dal resto del mondo, si intrecciano domande, analisi e ricordi. Soprattutto fra chi ha scoperto di aver vissuto fianco a fianco con 11 «mostro», senza intuire mai niente di strano o di sospetto. C'è chi lo ricorda bambino, all'età di 12 anni, più o meno la stessa di Lorenzo Paolucci, la seconda vittima del geometra assassino. Era il 1980, e i coniugi Chiatti iscrissero Luigi ai boy scout. Marco, un ragazzo che oggi ha 29 anni, era il suo capo-squadriglia; ora che i giornali pubblicano la foto del suo vecchio amico, gli tornano alla mente quei momenti in cui Luigi sembrava felice: «Era un ragazzino taciturno e solitario, ma dopo un po' s'era inserito, e a me sembrava contento». Dopo due anni e mezzo Luigi lasciò gli scouts e cominciò a frequentare l'istituto per geometri. Massimiliano, 25 anni, suo compagno di scuola parla della timidezza di Luigi che si abbassava come una saracinesca fra lui e gli altri quando spuntava qualcuno estraneo alla strettissima cerchia degli amici fidati: «Vorrei incontrarlo per dirgli: "A Luì, che hai fatto?"». Al primo piano di una palazzina del centro storico di Foligno lavora il geometra Alberto Chiariotti, titolare di uno studio frequentato da giovani diplomati da poco. Un paio d'anni fa Luigi Chiatti è passato da qui, ha lavorato per qualche mese come disegnatore. Alla parete, fino all'altro giorno, era appesa una sua foto al tavolo da disegno, l'im- magine di un sorriso fatto quasi controvoglia. «Sì - ricorda Chiariotti - che avesse qualche problema si poteva anche intuire. Ma alla lunga aveva legato con gli altri ragazzi dello studio, sembrava che si trovasse bene». Certo, adesso è facile ripensare a quella voce stridula da ragazzino e a qualche atteggiamento un po' effeminato, ma mai Luigi ha avuto un gesto che potesse far pensare a quello che poi è successo. «Io lo ricordo come un tipo scrupoloso - continua Chiariotti -, pignolo. Sapere che è lui l'assassino di Simone e Lorenzo è stato uno choc. Io non riesco ad avercela con questo ragazzo, si è trattato di un momento di squilibrio». Della sua famiglia adottiva Luigi non parlava, ma la presenza di quei genitori si faceva sentire, anche nell'ambiente di lavoro. Due anni fa fu la signora Chiatti ad organizzare in ufficio una festicciola con i colleghi di Luigi, per il suo compleanno. E sempre la madre adottiva si preoccupò di trovare a Luigi un altro impiego. Amica di vecchia data dell'ingegner Piero Pardi, ottenne un posto di apprendista senza stipendio per il suo Luigi nello studio dell'ingegnere. Primo Baldassarre che lavorava al tavolo di fronte a quello di Luigi, se lo ricorda come uno che pensava solo ai fatti suoi: «Era sempre gentile ed educato, ma non parlava mai di qualcosa di diverso dal lavoro». Quando in ufficio c'era qualche discussione, Luigi rima¬ neva in un angolo ad ascoltare, in silenzio. Successe anche ad ottobre, quando geometri ed impiegati dello studio Pardi commentarono la fine atroce di Simone Allegretti. Chissà che cosa passava nella mente di Luigi Chiatti, l'assassino confesso, a sentire le chiacchiere dei suoi colleghi. «Di certo non fece mai trasparire nulla, né preoccupazione né un'emozione», ricorda ancora Baldassarre Al giudice Michele Renzo le confessioni di Luigi Chiatti sulle sevizie e gli omicidi di Simone Allegretti e Lorenzo Paolucci non bastano. Il magistrato continua a cercare riscontri con perquisizioni, analisi del sangue, perizie e tutto quanto può servire a scrivere parole certe e definitive sulla storia del «mostro di Foligno». Che per Luciano Paolucci, padre di Lorenzo, sono queste: «Il destino di mio figlio era quello di fermare quel mostro, visto che gente che dovrebbe essere esperta in certe indagini non c'era riuscita. Mio figlio ha già vendicato se stesso facendo catturare quell'essere». Giovanni Bianconi Non esce neppure per l'ora d'aria Ieri ha avuto un primo colloquio con la psicologa del carcere Luigi Chiatti se ne sta tutto il giorno disteso sulla branda nella sua cella. Ha chiesto carta e penna .

Luoghi citati: Foligno, Luì, Perugia