Il Papa è solo? Sì per scelta

Il dibattito su Paolo VI Il dibattito su Paolo VI Il Papa è solo? Sì, per scelta ]L quindicesimo anniversario della morte di Paolo VI è stato ricordato con molta forza e commozione dall'attuale Papa, che si è augurato anche la rapida beatificazione del suo predecessore. Questo fatto ha dato l'impressione che si stia determinando nella Chiesa di Roma un ritorno di attenzione e rivalutazione del pontificato montiniano. Non so fino a che punto tale impressione corrisponda alla realtà, ma sarebbe sicuramente importante che lo «spirito montiniano», quello che si espresse ad esempio nella enciclica Ecclesiam suam sul dialogo, tornasse a circolare nella Chiesa di oggi. Quanto al progetto di canonizzazione di Paolo VI esso, specie dopo le procedure semplificate volute in materia da Giovanni Paolo II, rientra in quella politica delle canonizzazioni che Kennet Woodward ha chiamato la «fabbrica dei santi». Il numero delle canonizzazioni a cui ha posto mano l'attuale Pontefice supera infatti quello dei pontefici precedenti, da Pio IX a Paolo VI compreso, ed è considerato un elemento essenziale di quella «nuova evangelizzazione» proclamata dall'attuale Papa. La tragica responsabilità Una strategia complessa di cui non è facile definire contenuti e portata, ma in base alla quale, sicuramente a breva scadenza, si assisterà alla canonizzazione anche di Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI e forse anche di Pio IX. Quanto alla figura di papa Montini, partendo dagli inediti di cui si era occupato il vaticanista dell' Unità Alceste Santini {l'Unità, 6 agosto), Marco Neirotti e quelli che Neirotti ha interpellato (La Stampa, 7 agosto) hanno sottolineato, in accordo con Santini, la «solitudine» di Paolo VI e posto in rilievo quella sorta di responsabilità tragica, di decisione supremamente solitaria che sembra gravare sulle sole spalle del titolare del «vertice apostolico». Di fronte a questa presentazione del ruolo e dello statuto del romano Pontefice, che Paolo VI ha vissuto e interpretato come il suo specifico modo di esser fedele alla passione del Cristo crocifisso, ci si può onestamente domandare se questa rigorosissima solitudine debba per forza esser considerata costitutiva del ruolo del capo della Chiesa cattolica. Sergio Quinzio, riflettendo sugli scritti di Paolo VI da poco editi, notava che un tempo c'erano altri personaggi «seduti su alte guglie» del mondo, imperatori re potentati e non solo papi. Ora il «trono è solitario» e cresce l'angoscia, quella angoscia che può tradursi in amletica incertezza, quale fu imputata proprio a Paolo VI, al quale, «Papa straziato», uno storico come Emile Poulat contrapponeva un «vescovo tranquillo» come monsignor Marcel Lefebvre. Certamente l'evoluzione storica del ruolo papale ha contribuito ad aggravare, specie in certi soggetti, questo senso di incomunicabilità del vertice della Chiesa, aggiungendogli tratti che sembrano sempre più avvicinarlo a certi modi dell'autocrate orientale, isolato tormentato e lontano rispetto anche ai più vicini suoi consiglieri, mentre tende a gettarsi e quasi farsi divorare da masse e folle plaudenti. Si tratta di un singolare gioco, fra isolamento supremo e smisurata popolarità, il cui esercizio implica ricerca di equilibri assai difficili da governare. L'isolamento solitario è del resto in ultima istanza e dal punto di vista psicologico una ricaduta sulla vita quoti¬ diana del soggetto papale del principio di infallibilità, che in se stesso dogmaticamente ben circoscritto ha per altro generato un complesso indebito e in sostanza artificiale di sacralità. Il popolarismo d'altro canto, già annunciatosi, sia pure in forme contenute, con Pio XII, è cresciuto con Giovanni XXIII, si è costruito con i primi grandi viaggi di Paolo VI, è diventato addirittura frenetico con l'attuale Papa. Le due componenti, di popolarismo e di isolamento solitario, al di là delle teorizzazioni astratte a cui hanno dato e danno luogo, operano poi nel concreto in modo abbastanza diverso da quanto si potrebbe ipotizzare. Le decisioni solitarie e personalissime del Papa, su cui'tanto si insiste, dipendono in realtà non solo e non tanto da lui, quanto dall'influenza di un numero ristrettissimo di personaggi più che mai impegnati a presentare le cose nel modo che si suppone più gradito al vertice e, insieme, assecondando nel Papa quelle che sono sovente le personali preferenze e posizioni degli uomini di curia o di consiglieri privilegiati. Per fare un solo esempio, quello della Humanae vitae, ricorderò quanto mi disse e ripetè più volte il card. Pellegrino (che considerò sempre questa enciclica come «un incidente di percorso della Santa Sede»), che influenza decisiva su Paolo VI aveva avuto il suo teologo personale mons. Colombo, spingendolo a contrastare il parere della larghissima maggioranza della commissione che il Papa stesso aveva insediato per studiare il problema della pillola. Si sa che l'Humanae vitae aprì all'interno della Chiesa una serie di dilacerazioni i cui effetti sono tutt'altro che rientrati oltre ad un pratico disimpegno da parte della maggioranza degli stessi credenti. Si sa pure che se papa Luciani Giovanni Paolo I non fosse morto così presto molto sarebbe stato innovato in materia. Decisionismo e Concilio Il decisionismo solitario, che viene ufficialmente ribadito, è in realtà solo un aspetto del sempre più accentuato verticalismo che si è voluto nuovamente imporre alla Chiesa cattolica, con una netta presa di distanza dal principio essenziale della collegialità che il Concilio aveva fatto valere. Un decisionismo dall'alto che poi, ovviamente, tende a discendere ai livelli gerarchici inferiori, dove ormai i vescovi sono sempre meno disposti a sentire la gente, in particolar modo i laici credenti. Quanto agli orientamenti di vertice si dovrà ricordare che già la ed. «nota praevia» imposta da Paolo VI, sotto pressione dell'ala conservatrice del Concilio, alla costituzione sulla Chiesa, aveva reso vane molte delle possibilità di un'ampia conciliarità. Con l'attuale Pontefice, che pure guarda alle Chiese dell'ortodossia in modo privilegiato quasi restringendo ad esse il già tanto ristretto orizzonte ecumenico, questo indirizzo si è ancor più accentuato. Ma senza una forte nota di «conciliarità», sia pur interpretata con fedeltà allo spirito cattolico, ogni dialogo con le Chiese d'Oriente diventa aleatorio. E in questo senso il monolitismo solitario delle decisioni papali finisce di diventare una componente obbligata dell'esercizio del potere nella Chiesa cattolica, nonostante i correttivi di un popolarismo di massa e l'abbandono di certi formalismi tradizionali, sempre pronti per altro a risorgere e riaffermarsi. Franco Bolgiani