Figlio adottivo non vuol dire mostro che risate con i servizi segreti

Malefatte Fininvest e della Rai LETTERE AL GIORNALE Figlio adottivo non vuol dire mostro; che risate con i servizi segreti L'abbandono si può superare Lo sforzo di integrare natura e cultura, tipico del processo evolutivo dell'umanità per dare un senso agli eventi, sembra venir .meno ogni volta che fatti di cronaca altamente drammatici colpiscono e sollecitano la sensibilità personale e l'immaginario collettivo. In questo modo si degrada e si connota come «mostro» una persona che compie efferati omicidi prima ancora di conoscere la natura e la condizione dei suoi impulsi, sottovalutando lo stato psichico di grave malattia di cui è probabilmente portatore. In questi giorni un rischio analogo sembra investire l'adozione con la vicenda di Foligno. Infatti, se generalmente la scelta adottiva viene valorizzata nei suoi aspetti affettivi ed educativi come modalità attraverso cui permettere l'evoluzione sufficientemente sana e positiva di un bambino, nella tragica storia di Luigi Chiatti si assiste al riemergere prepotente della frattura fra la sua nascita biologica e la crescita affettiva nella nuova famiglia, ponendo l'accento sull'evento dell'abbandono e dell'adozione più che sul processo globale di maturazione all'interno del contesto familiare di appartenenza. Perché fin da subito si parla di lui come di «figlio adottivo» e non semplicemente di figlio? In questo modo la risonanza emotiva dei mass media sembra amplificare e porre in primo piano la condizione originaria di Luigi a scapito del successivo rapporto psicologico con i genitori adottivi e l'ambiente circostante. Con ciò non si vuole negare la verità ma attribuirle una giusta collocazione. Crediamo che proprio in questi momenti ognuno di noi, massimamente i responsabili di una corretta informazione, debba sentire forte il richiamo al senso di responsabilità per non fare un uso distorto e stigmatizzante dell'essere adottato. Ciò potrebbe evocare una percezione negativamente generalizzata della condizione psichica e interpersonale di chi va in adozione in età già avanzata. Se è vero che il passato di abbandono costituisce un difficile bagaglio da elaborare sia per il bambino sia per la nuova famiglia, è anche vero che la maggior parte dei minori adottati già grandicelli non vivono il dramma del loro passato come ostacolo insormontabile all'affermazione di sé nel nuovo ambiente familiare che li ha accolti. Come esperte che da anni si interessano alle problematiche adottive esprimiamo la nostra preoccupazione per il rischio che una versione affrettata o superficiale dei fatti possa indurre alla troppo facile equazione tra lo status adottivo e l'atto omicida. M. Farri Monaco P. Peila Castellani, Torino psicologhe Quelle spie a caccia di amanti Alberto Staterà, sulla Stampa di venerdì 6 agosto 1993 ha riportato una intervista con il senatore Gennaro Acquaviva, presidente dei senatori socialisti e componente del Comitato parlamentare per il controllo dei servizi segreti, già capo della segreteria di Craxi a Palazzo Chigi dall'83 all'87. L'uomo politico racconta che si è fatto un sacco di risate, insieme con Craxi, all'epoca del governo dell'ex segretario socialista, leggendo le veline che detti servizi facevano pervenire al capo del governo. Informazioni da lupanare, chiacchiere da sottoscala raccolte dai circa cinquemila agenti segreti si accatastavano sul tavolo della segreteria che in cambio di centinaia di miliardi dei contribuenti otteneva anche notizie sulle amanti dei nemici del Palazzo. Inoltre apprendiamo che essi «sono costosissimi, ma i miliardi sono anche serviti a ristruttura- re le case dei politici più potenti». Il senatore Acquaviva non esita ad affermare che l'attico di De Mita a via Tritone è costato ai servizi segreti tra i 10 e i 15 miliardi. Fa un grande piacere a noi tutti, cittadini oppressi dalle tasse, apprendere che la «intelligence pastasciuttara» è riuscita a rendere più divertenti gli anni di permanenza di Craxi e Acquaviva a Palazzo Chigi. Per inciso, però, vien fatto di chiedere al senatore socialista il perché di un suo mancato intervento. Se i servizi segreti erano e sono risibili - a suo dire - cosa ha impedito al capo del governo di metterli a posto una volta per tutte? Inoltre, se è vero che l'on. De Mita ha fatto quello che il senatore gli attribuisce, come mai continua a fare il parlamentare mentre dovrebbe stare chiuso in carcere? Per eccessiva bonomia socialista ovvero perché in giro c'erano troppe collusioni per poter intervenire senza intaccare propri inconfessabili interessi? In en¬ trambi i casi: vergogna ed infamia per tutti voi che avete così vilmente giocato con la fiducia dei vostri elettori! Emilio Barbini, Torino Le scalate pericolose Stranamente, e la cosa ha del miracoloso, questa volta giornali e tv non hanno parlato di «montagna assassina». Intendo riferirmi alla valanga di ghiaccio che all'inizio del mese ha provocato 8 vittime nel gruppo del Monte Bianco. In merito all'episodio vorrei fare un paio di osservazioni, con la presunzione di possedere una discreta competenza meteorologica: gli esperti sono stati concordi nel dire che si è trattato soltanto di fatalità, e con mio grande stupore, fra questi, nomi del calibro di Messner, Desio, Metzeltin e Cosson. Nessuno però (forse perché pare ovvio) ha dato il giusto peso alle calde temperature, soprattutto notturne (quindi con assenza di gelo, o inutile gelo superficiale) dei giorni precedenti la disgrazia, e neppure ho sentito parlare della oggettiva pericolosità degli stretti «couloirs» che, necessariamente, concentrano il materiale in caduta. E in proposito ricordo che l'autorevole guida Touring-Cai di R. Chabod, riguardo alla via normale alle Jorasses, parla di «tratto esposto alla caduta di seracchi» sopra ai Rochers Whymper. L'ineguaghabile bollettino meteo della Svizzera, da me consultato per giorni, ha continuato a comunicare che il limite degli zero gradi era a quattromila metri, cioè una quota molto alta e che non è affatto la regola, seppure in piena estate: ad esempio e convincimento, il 13 luglio, e quindi altrettanta piena estate, alle ore 11 il termometro segnava meno nove al Plateau Rosa, a «soli» 3500 metri. Michele Arcangeli Viguzzolo (Alessandria) Poliziotti mascherati in tv Ogni volta che in Italia succedono fatti di estrema gravità riguardanti l'ordine pubblico, quali attentati, stragi con bombe o sequestri di persona, gli organi di mformazione ci mostrano le immagini di tempestivissimi poliziotti ripresi sulle scene dei citati crimini che svolgono le loro mansioni e indagini indossando un semplice giubbotto con su la scritta «polizia» e nessun altro segno distintivo della divisa che invece dovrebbero indossare. Si vedono pure con frequenza altri poliziotti con il volto mascherato da calzamaglia nera che compiono operazioni di polizia equipaggiati con armi da guerra (le cosiddette teste di cuoio). Le competenti autorità ci hanno informato che si ricorre alle operazioni di polizia «mascherate» (ma perché allora chiamano la tv a riprenderli?) per tutelare i poliziotti dalle eventuali probabili vendette della alta criminalità che gli stessi combattono. Secondo questo «metro» anche Di Pietro, e altri magistrati come lui impegnati nella lotta alla alta criminalità, se ne dovrebbero andare in giro a svolgere le loro funzioni pubbbche per l'appunto mascherati per evitare eventuali ritorsioni della criminalità che combattono. Nelle altre nazioni, coinvolte come la nostra nella lotta alla criminalità, gli «007» non si fanno di certo riconoscere, con una divisa che non è una divisa, sulle scene dei grandi crimini e non esibiscono pure con tanta facilità (adclirittura in tv) i «rambo mascherati». Questo succede nell'unico Paese al mondo che si vanta di avere ben otto corpi di polizia ufficiali, che, per chi non li ricordasse sono: polizia di Stato, carabinieri, guardia di finanza, guardie carcerarie, guardie forestali, guardie giurate, guardie delle province e polizia municipale. Stefano Bulzoni, Ferrara

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