«Sono stato io ho ucciso anche Simone»

Dopo 7 ore d'interrogatorio nel carcere di Perugia, seconda confessione di Luigi Chiatti Dopo 7 ore d'interrogatorio nel carcere di Perugia, seconda confessione di Luigi Chiatti «Sono stato io, ho ucciso anche Simone» «Nel tombino davanti a casa troverete il coltello Ho rubato la foto del bimbo sulla lapide per sfida» FOLIGNO (Perugia) DAL NOSTRO INVIATO Alle 3,15 del mattino il giudice Michele Renzo esce dal carcere di Perugia, attraversa il cortile di corsa per dribblare giornalisti e telecamere, si infila in un portone della questura. Luigi Chiatti ha appena ammesso di aver ammazzato anche Simone Allegretti, di essere lui, insomma, il «mostro di Foligno», e dopo sette ore di confessione c'è un primo riscontro da cercare immediatamente. «Andate a guardare nel tombino davanti alla casa di Casale - ordina Renzo agli agenti di polizia giudiziaria -, dev'esserci un coltellino». Lo troveranno quasi subito, all'alba: è l'arma, secondo l'assassino, che ha seviziato e ucciso Simone, quattro anni e mezzo di vita spezzati senza motivo, nel modo più atroce. Quando torna fuori il magistrato è un po' meno agitato, ma tradisce l'emozione di chi - dopo dieci mesi di lavoro, tensioni, speranze ed errori - sente di avere finalmente risolto il caso. E' la notte in cui l'incubo finisce, eppure lui parla con prudenza. «Abbiamo raccolto dichiarazioni - spiega Renzo, quarant'anni tra quindici giorni, in magistratura dal '79 che rappresentano un punto di partenza di assoluto interesse. Per me Luigi Chiatti sarà l'assassino di Simone Allegretti solo quando avrò raccolto tutti gli elementi oggettivi necessari». Quelle 26 cartelle di verbale che ha nella borsa, però, sono molto più di un punto di partenza. La seconda confessione di Luigi Chiatti scorre lentamente ma decisa, quasi senza interruzioni, il magistrato ferma l'imputato e fa le sue domande solo in poche occasioni per specificare meglio questo o quel particolare. Un rac¬ conto agghiacciante quello del geometra assassino, che ricalca quello consegnato agli inquirenti ventiquattr'ore prima per ricostruire la fine della seconda vittima del «mostro», il tredicenne Lorenzo Paolucci. Domenica 4 ottobre 1992, una giornata buia e piovosa, Luigi è solo nella sua casa di Foligno. I genitori sono andati fuori città, per partecipare ad una gita organizzata dall' «Archeo-club». E' pomeriggio, e il ragazzo decide di uscire con la sua macchina, una Y 10 rosso amaranto. Percorre qualche chilometro della strada che porta a Bevagna e si infila a sinistra, verso la frazione di Maceratola. Qui, sulla via sterrata che costeggia il fiume Topino, si accorge di quel bambino che gio- ca, solo anche lui, sotto un noce. E' un incontro tanto casuale quanto fatale. «Mi sono avvicinato con l'auto - racconta Luigi -, e gli ho proposto di salire dicendogli che l'avrei fatto guidare un po'. E lui è salito». Per Simone Allegretti comincia la tragedia. Il geometra lo porta a Foligno, nella casa vuota, e comincia ad abusare del bambino: con assoluta lucidità descrive toccamenti e atti di libine. Ormai il gioco s'è fatto pesante, troppo pesante, e Luigi decide che di quella creatura bisogna di- sfarsi definitivamente. Lo colpisce più volte con lo strumento che ha a disposizione, un coltellino, e le sevizie vanno avanti finché il bambino non dà più segni di vita. Adesso si tratta di bberarsi del cadavere, Luigi carica in macchina il corpo sanguinante di Simone e sale verso Casale. Arrivata in paese la Y 10 svolta a destra, prende la strada per Scopoli, e dopo qualche centinaio di metri si ferma. L'assassino scende, scarica Simone, si accorge che respira ancora; con lo stesso coltello sferra il colpo di grazia e getta il cadavere in una specie di discarica che c'è lì sotto, fra gli alberi. L'omicidio è compiuto, ora si tratta di rimettere le cose a posto. Ma dell'arma del delitto Luigi non vuole disfarsi, decide di nasconderla nel tombino dove ieri è stata ritrovata. Nella villetta di Casale si riposa un po', poi torna a Foligno, e comincia a far sparire le tracce di quel gioco perverso sfociato in tragedia. Ma qualcosa resta: nella perquisizione fatta l'altro giorno nella casa di via Ciro Menotti la polizia ha trovato su una sedia delle macchie che potrebbero essere di sangue. Il resto è storia nota: due giorni di ricerche senza esito da parte della famiglia Allegretti, poi il messaggio del «mostro» che fa ritrovare il cadavere di Simone, le indagini che imboccano la falsa pista di Stefano Spilotros. Nella confessione dell'altra notte Luigi Chiatti ha parlato anche dei due biglietti, scritti col normografo e a mano Ubera, ma su questo punto bisognerà tornare in un prossimo interrogatorio. L'assassino s'è soffermato anche, sul furto della fotografia dal cimitero: è andato tra le lapidi di giorno, ha preso con sé quel «feticcio» per lanciare una nuova sfida agli investigatori che dopo sei mesi di indagini e la costituzione di una squadra speciale anti-mostro non riuscivano a venire a capo di quell'omicidio. Infine, sabato scorso, è tornato a colpire. Del resto l'aveva annunciato nei suoi messaggi: «Non mi fermerò qui... Saluti al prossimo omicidio». E' toccato al povero Lorenzo Paolucci. Ieri i medici legali hanno effettuato l'autopsia sul cadavere, che appare compatibile con la versione dei fatti fornita dall'assassino. I,orenzo è morto per dissanguamento, a causa di varie ferite al collo, al torace e agli arti, con il colpo finale che gli ha reciso la giugulare. Sul corpo segni di tagli profondi ed ecchimosi, a testimoniare i disperati tentativi di difesa del bambino prima di soccombere. Ma l'at¬ tività investigativa non si ferma, continua la ricerca dei riscontri alle confessioni di Chiatti, per l'omicidio di Lorenzo come per quello di Simone. La Y 10 rossa è già a Roma, negli uffici della polizia scienfica, dove gli agenti specializzati la stanno esaminando centimetro per centimetro alla ricerca di possibili tracce di sangue ed altro. Un lavoro che poteva essere fatto prima, s'è detto nei giorni scorsi, se si fossero puntati subito gli occhi su Luigi Chiatti, un ragazzo con dei problemi inserito nelle Uste dei «sospettabiU». Ieri il giudice Renzo ha cercato di far capire megho la frase con cui aveva espresso il rammarico di non essere arrivato all'assassino prima che colpisse di nuovo: «E' un rammarico solo personale, ma se tornassi indietro rifarei le stesse cose, come le rifarebbe la polizia». E il capo della Criminalpol Lazio-Umbria, Nicola CavaUere, spiega: «Quando ci si trova di fronte ad un assassino che ha agito in preda ad un raptus, è difficile riuscire ad incastrarlo. Se non viene colto sul fatto o non ha lasciato tracce evidenti del proprio deUtto, come è successo per l'omicidio Paolucci, si trasforma in poche ore in una persona al di sopra di ogni sospetto». A Foligno, risolto il caso del «mostro», la vita riprende con più rabbia ma anche con maggiore solUevo; gli avvocati difensori si apprestano a chiedere le perizie per dimostrare l'infermità di mente del geometra assassino; e Luigi Chiatti comincia ad abituarsi aUa vita di recluso che l'attende. «In carcere non mi trovo male - ha confidato ai suoi legali , del resto sono abituato a stare dà solo». Giovanni Bianconi L'assassino di Foligno racconta particolari atroci: «L'ho visto giocare e l'ho fatto salire in auto A casa sono successe troppe cose non volevo che le dicesse» Qui accanto Claudio Franceschini avvocato difensore di Luigi Chiatti Luigi Chiatti (a sinistra) ha ammesso gli omicidi di Lorenzo, sabato scorso, e di Simone, il 4 ottobre '92. Qui accanto il legale delle famiglie Paolucci e Allegretti, Ariodante Picuti