Piccoli azionisti in croce nel calvario di Ravenna di Francesco Bullo

Piccoli azionisti in croce nel calvario di Ravenna Piccoli azionisti in croce nel calvario di Ravenna INVESTITORI «SCIPPATI» SAN Lorenzo, 10 agosto, cadono le stelle e i piccoli azionisti della Ferruzzi-Montedison tornano sulla graticola. Una maledizione biblica che si ripete, ciclicamente, in questo periodo: una sorta di «piaghe d'Egitto» all'italiana. Ma questa volta il vaso è colmo e il popolo del «parco buoi», gli assidui dei «borsini» di provincia, i paria della finanza, si ribellano davvero, si coalizzano e scendono in campo. Il 31 agosto la prima mossa: i 49 mila piccoli risparmiatori che hanno nel loro giardinetto una manciata o un pacchetto di azioni della Ferfin saranno rappresentati all'asemblea della società. Un appuntamento che si annuncia di fuoco. In prima linea ci sarà Adamo Gentile, per conto dell'Assorisparmio, che può contare su un'armata alle sua spalle ancora più agguerrita ed «arrabbiata»; quella dei 170 mila azionisti di minoranza delle nove società quotate del gruppo di Ravenna. «Gli azionisti siamo noi, e non le banche - dicono - che vogliono spogliarsi degli abiti di creditori per indossare i nostri. Non ci stiamo. I vecchi padroni hanno dato forfait? Siamo pronti a prendere il loro posto». Utopia? Può darsi. Ma oramai ne hanno passate tante di esperienze (non solo tutte brutte), che vogliono provarci. E a questo punto hanno anche poco da rimetterci: «Di ogni mille lire che avevamo - diceva ieri pomeriggio l'ultimo ad andarsene dal recinto del pubblico, alla Borsa di Torino - ce ne restano in tasca cinque». Chi l'aveva preceduto nello scendere l'amara scalinata aveva continuato per mezz'ora a spiegare a un usciere della camera di Commercio: «Capisce, hanno abbattuto il "valore nominale", adesso non mi restano che le briciole. E pensare che anni fa avevo creduto in questa gente. Gli avevo dato i miei soldi. Mi fidavo perché me li avevano fatti rendere bene». Ma proviamo a ripercorre, con la voce di chi questi carboni ardenti li ha sentiti sulle sue carni, le tappe di una vicenda fatta di scalate, fidanzamenti e matrimoni falliti, risse, trono e polvere. Torniamo indietro nel tempo. Era l'agosto del 1985 e teneva banco l'operazione Bi-Invest, ricorda? «La data no, non la so proprio - dice un impegato quarantenne di Piazza Affari - ma la "cosa" la ricordo. Da poco avevo cominciato a interessarmi di Borsa e quelli erano stati i primi titoli che avevo acquistato. Poca roba. Ma tutti ne parlavano bene. Io, lo confesso, non capivo un granché, ma i vecchi, con esperienza alle spalle, furono entusiasti. Dicevano "finalmente si fa pulizia", "Carlo Bonomi non è nessuno, sua madre sì che contava, aveva carattere"». Dice un altro: «Anch'io c'ero e mi entusiasmava quella scalata all'americana, limpida, senza tracchi, tradimenti. Soprattutto non ci sentivamo scavalcati». E la roccaforte dei Bonomi cadde. «Ho ven- Per ile i pal'amodei p duto a 10 mila lire in Borsa - racconta sottovoce un pensionato, forse per paura delle lunghe orecchie del fisco - le mie azioni: più di quanto le pagava la Montedison». E quanto offrivano? Risponde si¬ curo: «7500 lire», neanche fosse un'operazione conclusa l'altro giorno. E lei? «Schimberni aveva i coglioni - risponde un vecchio habitué del recinto - e aveva già sistemato la Montedison. L'altro era uno smidollato». Nell'86 Bi-Invest fu incorporata dalla Meta. «Fu un valzer - spiega un'altra voce -, Meta era controllata da Montedison, poi ne diventò il controllante, poi ci fu la fusione con Ferfin, e Meta scomparve. Avevo venduto in tempo. Sa come si dice: vendi, guadagna e pentiti. Io non mi sono neppure pentito». Non tutti furono fortunati: ((Avevo un pacchetto di Iniziativa Meta, società ricca, solida - dice un risparmiatore di diversa scuola - e mi son trovato con un altro pacchetto ricco di debiti e bilanci oscuri». Concorda una signora: «Fu la prima vera fregatura del gruppo, e la Consob ci mise anche il suo sigillo». C'è chi ricorda Garofano: ((Allora era poco noto. Chi se ne intendeva lo considerava un "chimico'', non un finanziere». Qualcuno confonde le date, altri non dimenticano: «Ci hanno derubati, è stato uno scippo alla Mon¬ tedison». Tappa successiva: Enimont. Come l'ha vissuta un peones del listino? ((Adesso, ho pensato, cominceranno a usare i nostri soldi per coprire le perdite della chimica. E cambiai cavallo». Racconta un medico in pensione: «Enimont? Prima euforia, poi delusione. Le premesse e le promesse puzzavano di bruciato. Ma quel che mi fece arrabbiare fu uno "scandalo": quotarono il titolo senza avere i tre anni di bilancio prescritti. E giravano voci, malumori, sospetti». Oggi Fondiaria è nell'occhio del ciclone. Che cosa ne pensava nella metà d'agosto dell'86, quando Schimberni ci mise le mani sopra? «Un padrone che sa il fatto suo. Non avevo sbagliato a comprare, il titolo triplicò e io guadagnai». Parliamo delle risse. Lo scontro Gardini-Eni, quello Gardini-Ferruzzi. «Le lotte del capitalismo piacevano e piacciono. Non solo a me fanno sognare impennate del listino. Ma in quel caso no, c'era di mezzo lo Stato e non mi fidavo. Rimasi alla finestra». Ultima voce: «Ho creduto nel gruppo. Ho comprato i titoli. Ma nell'89 fecero operazioni sbagliate in America, forse in malafede. E l'amore finì: non è mai troppo tardi per aprire gli occhi». Francesco Bullo I GRANDI «SCIPPI» DELLA BORSA Per il gruppo e i padroni «contadini» l'amore e l'odio dei peones della finanza Il presidente della Consob Berlanda. Alla sua commissione spetta il controllo sulle società quotate

Persone citate: Adamo Gentile, Bonomi, Carlo Bonomi, Gardini, Meta, Schimberni

Luoghi citati: America, Egitto, Ravenna, Torino