Alleanza democratica vento di crisi di Fabio Martini
Un difficile rapporto con Occhetto Casini: Mariotto rischia l'isolamento Alleati di Segni in rivolta: il pri chiede più coraggio, nel pds si guarda a Orlando Alleanza democratica, vento di crisi Un difficile rapporto con Occhetto Casini: Mariotto rischia l'isolamento ROMA. E' appena salpata, ma rischia già di arenarsi e sfaldarsi la barca di Alleanza democratica. Mariotto il nocchiero da qualche giorno è in vacanza a Stimino e l'equipaggio che fa? Come un sol uomo, nel cuore di agosto, si ammutina. Giorgio La Malfa lo fa con un corsivo anonimo della Voce repubblicana: o Ad diventa politicamente più coraggiosa o «sarà destinata a fallire», con buona pace dell'altro Giorgio - Bogi il successore di La Malfa - che tanto si è speso a favore di Ad. Poi c'è la bella Giovanna Melandri, una pidiessina che piace ad Occhetto, ma che sembrava sedotta dal fascino sardo di Mariotto Segni. Ora la Melandri annuncia dalle colonne dell' Unità che «bisogna correggere gli errori» che hanno «compromesso» il progetto di Ad e aprire un'«offensiva di amicizia» verso quel Leoluca Orlando che Segni considera un voltagabbana dopo la battaglia referendaria a favore del No. E persino Giuseppe Ayala, uno dei padri fondatori di Alleanza, si è raffreddato con i suoi amici. Lui, così irresistibilmente loquace, da un mese tiene il punto: a tutte le conferenze stampa dei vertici di Ad, Ayala fa la mummia, non apre bocca. E così, proprio nel giorno del suo primo compleanno - il battesimo di Firenze risale al 10 luglio '92 - Alleanza democrati- ca entra in crisi. C'è maretta tra le cinque «anime» che si agitano a bordo: ci sono Segni e i suoi amici (Scoppola, Parisi, San Mauro); c'è il nucleo di «verso Ad» (Bordon, Adornato, Bianco, Rutelli); c'è l'ala sinistra (la Melandri, Veltri); i liberal-socialisti (Ruffolo, Spini, Zanone, Battistuzzi); e ci sono i repubblicani. C'è maretta soprattutto per un motivo: tutti immaginavano . di segare la Quercia di Occhetto e farla finire nel sacco di Ad («pds ti.devi sciogliere!») e invece, fatti i conti con la realtà, ora si ritrovano tutti a sgomitare, per trovare un posto sotto le fronde dell'albero pidiessino. Segni, pur così prudente e «programmato» (con i consigli dell'amico Arturo Parisi), era stato lapidario prima delle elezioni di giugno: «Tutte le sigle si devono sciogliere in Ad». Il suo amico Ferdinando Adornato, alla convention di Firenze: «Il pds vuole o no partecipare alle elezioni con il cartello di Alleanza?». Che Occhetto rispondesse con sprezzo era nei programmi; un po' meno prevedibile che il pds restasse monolitico (anche il referendario Barbera è restato sotto la Quercia), ma quel che ha guastato veramente i programmi di Mariotto e i suoi è stata la tenuta della de. «Chi, con una visione semplificatoria, puntava su una spaccatura del partito all'assemblea costituente è stato smentito», dice Vito Riggio, un de pur vicino a Segni. E Pierferdinando Casini è più netto: «A questo punto Segni si ritrova isolato». Uno scenario troppo pessimista e interessato? Certo, è assai curioso che, appena 48 ore dopo la conclusione unitaria della convention de, Mariotto Segni abbia bussato alla porta di Occhetto, chiedendo un incontro. E Segni ha preparato quel colloquio a quattr'occhi con una conferenza stampa tutto latte e miele: anziché dettare le condizioni («ammainate le vostre bandiere»), Mariotto ha proposto al pds un progetto molto più tranquillizzante: «andiamo alle urne con un programma comune». Ma al di là dei programmi, quel che conta saranno le liste da presentare alle elezioni, visto che col sistema maggioritario non c'è scampo: in ogni collegio vince chi prende più voti, tutti gli altri restano a casa. E lo zoccolo duro di voti del pds (1720%) fa gola a Segni e fa gola altra novità - anche a Leoluca Orlando, tre settimane fa ricevuto con tutti gli onori a Botteghe Oscure. Due galli nello stesso pollaio, uno sketch che non dispiace a Giovanna Melandri, del comitato promotore di Ad e della direzione pds. La Melandri invita Segni a dialogare con Orlando (che Mariotto non ama), sostiene che «occorre costruire un polo ampio di progressisti». Ma la Melandri pone un'altra condizione: «Ad non deve offrire alcuna sponda alla vecchia nomenclatura», non devono salire sul treno «vagoni indesiderati». E a questo punto deve aver sentito aria bruciata Giorgio La Malfa che sulla Voce di due giorni fa (ne è ancora direttore) fa scrivere in prima pagina: «Le responsabilità di chi ha preso tangenti miliardarie non sono le stesse di chi ha accettato, senza nulla in cambio, qualche decina di milioni per le campagne elettorali» e su questo tema «l'inziativa di Segni e Alleanza è troppo debole». Un La Malfa meno giacobino del solito che però chiude con una «maledizione»: attento Mariotto perché se non parli chiaro, prenderai «consensi di poco superiori a quelli del pri». Il guaio è che la barca di Ad fa acqua anche nel «porto» di Milano: Elio Veltri chiude la porta di Alleanza a Giampiero Borghini e Adriano Teso che vorrebbero entrare: «Quei due stanno bluffando - dice Veltri non possono essere i rappresentanti del polo progressista!». Fabio Martini Mano Segni, leader indiscusso di Alleanza Democratica
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