Sfilando a testa alta rispettati dal popolo di Lorenzo Mondo
r LA LEZBONE BELGA Sfilando a testa alta rispettati dalpopolo DEL Belgio, che ospita la capitale di un'Europa burocratica e litigiosa, eravamo abituati a dimenticarci. Poco appassionati all'eterna querelle tra fianinùnghi e valloni, quella che nelle barzellette passa per essere la periferia zotica della Francia si riscattava appena per avere dato i natali all'ombra grande e nevrotica di Simenon. C'era, a guardare con più attenzione, la figura tutt'altro che banale di re Baldovino, così fedele alla sua misura elegante e schiva da mettersi di lato, autosospendendosi da re, nel momento del suo più fermo pronunciamento pubblico, quello contro l'aborto. Con uguale sensibilità per le proprie convinzioni e per le decisioni del Parlamento. Ma poi è venuta la festa dell'incoronazione per Alberto, il successore, e abbiamo scoperto una dimensione diversa, che vale non soltanto per il Belgio. Parlo della festa in piazza, che abbiamo potuto seguire in televisione con sorpresa crescente. Si vedevano migliaia di persone che si accalcavano intorno alle transenne, gente alla buona in abiti borghesi e bluse popolane. I figli protesi in avanti perché non si perdessero lo spettacolo agitavano bandierine e sogguardavano gli ussari a cavallo, domestici come soldatini di piombo. Davanti a questo pubblico passavano Alberto, nella divisa da generale contrastata dal doppio mento, e Paola l'italiana, franca nella sua bellezza dimessa. Ma c'era anche Fabiola, che aveva al fianco il nipote Philippe e, mentre esibiva la sua predilezione per quell'eredità procrastinata, sembrava garantire con i grandi occhi patetici la legittimità del trapasso. Non mancavano gli altri nipoti, sicché era tutta la famiglia reale ad offrirsi in rassegna, come al 1 tempo dei sovrani della legI genda, i re taumaturghi, al buon popolo di Fiandra e ValIonia, quasi cercasse una investitura più forte di quella del sangue e del Parlamento. Stringevano le mani ad una ad una, scambiavano sorrisi e parole, accoglievano con imbarazzo i mazzi di fiori, si chinavano per dare retta ai più piccoli. Una lenta, interminabile sfilata che non aveva nulla dell'inquietante e facinoroso bagno di folla, ma ricordava semmai l'educata presentazione dei nuovi inquilini ai vicini e condomini. Certo, questi Sassonia-Coburgo sono avvantaggiati dal regno civile e umbratile di Baldovino che ha scontato le passività del padre, troppo pieghevole davanti agli occupanti tedeschi, e del nonno, il rapace imperatore del Congo. E la simpatia dei cittadini che si stringevano nel sole esprimeva anche un desiderio di non delusa continuità, una attesa esigente davanti ai tempi che sono difficili per tutti in questa Europa carica di cicatrici. Ma lo spettacolo prendeva significato dalla verticale caduta di consenso e di fiducia che colpisce dappertutto le istituzioni: in particolare dallo scetticismo che accompagna i governanti del nostro Paese, dalle maleparole e dalle aggressioni dei politici di ieri costretti a non farsi vedere per la strada. Fuori da ogni cedimento agiografico, che non mi appartiene e che le circostanze del resto non sollecitano, la festa di Bruxelles rafforza la convinzione che il potere, monarchico o repubblicano, o altro ancora, trova oggi il suo ultimo rifugio, un barlume dell'antica sacralità, nella dignità del comportamento, nella normalità del tratto, nel rispetto di sé e dei cittadini. Ieri, per un momento, il Belgio si è trovato nel cuore, non della Cee, ma dell'Europa. Lorenzo Mondo
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