I pacifisti conquistano Mostar di Foto Reuter

I pacifisti conquistano Mostar I pacifisti conquistano Mostar Pellegrinaggio in città sotto il tiro dei cecchini LA MARCIA PELLE COLOMBE MOSTAR DAL NOSTRO INVIATO E' finita bene, con i ragazzi di don Albino che scendevano al tramonto sulla strada di Mostar, tenendosi per mano. Ma per la carovana della Pace l'ultima giornata di manovre è stata tutt'altro che bucolica. Cominciamo dall'inizio, dalla sveglia all'alba, in un campo di Medjugorie appaltato a zanzare piccole, però feroci. Alle 9 i mille superstiti di «Mir Sada», il convoglio internazionale di pacifisti che da una settimana scorrazza su e giù per il fronte bosniaco, converge su Sirokj Brieg, un paesone dell'Erzegovina abbastanza risparmiato dalla guerra, benché sia a soli 20 chilometri da Mostar. Pessime notizie. La strada per la cattedrale, traguardo della marcia, è sotto il tiro dei cecchini musulmani. Dato che le disgrazie non vengono mai sole, ci si mettono anche i pacifisti spagnoli, convinti che le sparatorie siano un'invenzione degli orga- ruzzatoli, per rinunciare a Mostar e tornare più presto a casa ... Intanto il cielo di piombo non ne può più della guerra, del caldo e degli spagnoli, e si scioglie in un acquazzone memorabile: coi vestiti gocciolanti, monsignor Bettazzi e don Albino tengono consiglio in mezzo alla strada con Giovanni Bianchi del¬ le Adi: «Se non ci fanno entrare a Mostar - sta gridando don Albino - dovrò dire a tutti i ragazzi che l'operazione Mir Sada è fallita». All'improvviso arriva anche il sindaco del paese, un giovanotto magro e vestito di nero, in tutto simile ad un becchino. Stringe la mano di don Albino, gli dice «good luck», buona for¬ tuna, e se ne va. Intanto è tornata la delegazione che era stata mandata a trattare con i croati il passaggio della carovana. Il messaggio dei militari è assai prosaico: «Se volete passare, accomodatevi, ma sappiate che i cecchini musulmani sparano bene». Don Albino convoca l'assemblea generale. E' l'una. Si decide di partire. L'ultima offerta dei croati è di lasciar passare solo 10 pullman e un'autoambulanza, con l'impegno di fermarsi davanti alla cattedrale cattolica soltanto per mezz'ora. Poi basta, perché alle 5 del pomeriggio si ricomincerà a sparare. Nuovi problemi: gli autisti croati hanno paura e si rifiutano di muoversi. E intanto esplode la rabbia dei francesi. Alain Michel, il loro capo, non gradisce la scelta del tragitto: «Andando soltanto alla cattedrale, questa sta diventando un'operazione religiosa dei cattolici italiani. Ma Mir Sada doveva essere un'altra cosa». Anche il Verde Chicco Crippa, l'unico parlamentare italiano salito fin qui si fa da parte: «Mi dissocio unilateralmente» dichiara, prima di girare le ruote della sua macchina verso Spalato. Tutti gli altri, invece, avanzano verso il posto di blocco. Adesso sono le 3, e il sole è tornato a far male, quando i 10 pullman, scortati da una camionetta croata, entrano nella zona calda della guerra. Sorpresa: manca don Albino: «Non vengo. Preferisco lasciare il mio posto a qualcuno dei tanti che vogliono andare». La discesa verso Mostar è dolce, ma il sottofondo terribile: spari continui e un colpo di mortaio ogni minuto, fra le colline brulle. All'improvviso, dopo alcune catapecchie, appare lei, la cattedrale. Un tempo, forse, aveva la forma di una piramide, ma ormai è completamente deformata dalle bombe. Il pavimento della piazza è bucherellato dai colpi di pallottola, così come le facciate degli edifici circostanti, tutti rigorosamente senza vetri. I pacifisti scendono dai pullman, si siedono e si tengono per mano, ascoltando monsignor Bettazzi che in piedi, sui gradini, comincia a parlare della pace. Dietro una colonna della chiesa, l'unica rimasta in piedi, il vescovo di Mostar Rakko Peric, osserva la scena e sorride nervoso: «Queste cose non servono a niente. Le manifestazioni bisogna farle a Londra e a New York, nei posti cioè che hanno in mano le chiavi di questa guerra». In piazza, intanto, si canta «We shall overcome», un graffiti del Vietnam. Poi, su proposta di Bettazzi, comincia un quarto d'ora di silenzio. Lo scenario è spettrale. Seduti sui gradini della chiesa, si può vedere un paesaggio brullo, case affossate, per lo più distrutte, e un'ottantina di occhi, che guardano curiosi quell'assembramento insolito, gli occidentali colorati. Sono un gruppo di bambini in bicicletta, che, colpiti soprattutto dal silenzio, cominciano a girare intorno ai pacifisti, noncuranti dei colpi di fucile che dalle colline riecheggiano nella piazza. All'improvviso, un colpo più forte, di mortaio: mons. Bettazzi si raccoglie la testa nelle mani. E' ora di andarsene, ma all'improvviso, un nuovo colpo di scena. Un gruppo di pacifisti irriducibili si rifiuta di lasciare la cattedrale: «No, questa è una truffa», gridano. E si sdraiano per terra: «E' una violenza. Noi vogliamo rimanere qui». Bettazzi e Bianchi impiegano mezz'ora a persuaderli uno ad uno a risalire sui pullman. Finalmente la carovana abbandona Mostar. Ma dopo pochi chilometri, un'altra sorpresa: c'è don Albino, con tutti i ragazzi che non erano riusciti a salire sui pullman, che sta scendendo verso Mostar, a piedi. Nel frattempo, però, si è ripreso a sparare con maggiore violenza. Allora, chi è sui pullman scende e si mischia agli altri, in una catena umana continuata fino a tarda sera. Massimo Gramolimi Il comandante dell'esercito bosniaco, gen. Rasim Delie [FOTO REUTER]

Persone citate: Alain Michel, Bettazzi, Chicco Crippa, Giovanni Bianchi, Rasim Delie, Sada

Luoghi citati: Londra, New York, Spalato, Vietnam