MAURENSIG la variante contro KASPAROV

premio giffoni al film «marie» il viaggio. In Croazia con lo scrittore-rivelazione dell'anno per sfidare il grande scacchista MAURENSIG la variante contro KASPAROV ROVIONO CCroazIa) DAL NOSTRO INVIATO Clara Kasparova ha un'espressione tra l'allibito e l'indignato quando si accorge che Garry sta muovendo un pedone bianco, preme il pulsante dell'orologio e, con un cenno di cortesia, invita lo sconosciuto seduto dall'altra parte della scacchiera - un uomo alto, due occhi azzurro intenso, qualche goccia di sudore sulla fronte - a procedere nel gioco. Poi si aggiusta la spallina stretta nell'anello d'oro che chiude il vestito rosso e lancia uno sguardo carico d'odio alle due guardie del corpo. Ma Garry Kasparov le ferma mostrando fi palmo della mano. Anzi, è indispettito: gli stanno facendo perdere la concentrazione, come se la «variante di Lùneburg» lo stesse mettendo davvero in difficoltà. L'uomo dagli occhi azzurro intenso è Paolo Maurensig, commesso viaggiatore di Udine con la passione degli scacchi, autore del libro La variante di Lùneburg che da settimane domina la classifica dei best-seller. Se è emozionato, lo maschera bene, non fosse per quel rivolo che si ostina a scendergli dalla fronte e la camicia ormai madida di sudore. L'Isola Rossa, che ci ospita, è come un santuario. Tremila posti letto, la gente sale e scende dal traghetto che ogni mezz'ora parte e arriva da Rovigno. Ma in silenzio. Nessun rumore viola la stanza di questo castello abitato, nell'800, da un generale austriaco in pensione. Drappi pesanti alle finestre lasciano le stanze nella penombra. Lampade con luci rossastre riscaldano l'ambiente, creando un clima - forse è solo suggestione - da ultimi giorni dell'impero dei Romanov. La madre «granduchessa» Arrivare a questo incontro sembrava un'impresa disperata. Vladco, uno dei tre agenti di Kasparov, ci aveva tenuti alla larga dal campione. Clara Kasparova, la madre di Garry, si limitava a squadrarci con sospetto, ostentando vezzi da granduchessa russa o, semplicemente, la sua bellezza slava, tutt'altro che sfiorita, i capelli biondi, i lineamenti decisi. Ma ora Kasparov è seduto alla scacchiera. Ha lo sguardo fìsso su una torre, mentre tra pollice e indice sfrega un alfiere come volesse sbriciolarlo. Clara Kasparova dà ordini alle guardie del corpo. Garry finalmente sorride. Ci presentiamo. Lui è Paolo Maurensig, autore di una «gotic novel» sugli scacchi. Kasparov è incuriosito, vuole conoscere la trama. Bastano poche parole. Lo colpisce la catarsi del dramma ebreo attraverso quel gioco che è la sua vita. Lui ha sangue ebreo nelle vene. Per tutta la sera precedente e la mattinata l'avevamo inseguito. Non un attimo da solo, non un minuto di libertà per Garry; programmato anche lo sguardo che si perde nell'Adriatico. A noi è permesso fotografarlo. Clara sembra rubargli persino l'obiettivo, allentando entrambe le spalline. Sicuramente l'ha colta di sorpresa quella domanda un po' ruffiana a bruciapelo: Clara, un nome italiano? Abbozza una risposta in inglese: «Mio padre...». Poi si pente, ritorna granduchessa e con un cenno all'interprete vieta la traduzione. Dall'una alle tre, due ore di riposo per Garry. L'appuntamento è per le quattro, nella sala del castello. Clara ci fa cenno di seguirla nel dehors dell'albergo. Pretende una usta delle domande, naturai- mente tradotte in russo. La censura è rigorosa, la discussione inutile. Fischer? Niet. Politica? Niet. Niet anche per una domanda su Tolstoj e von Klausevitz. «Non è questione di immagine - spiega Vladco -, suo figlio è una macchina da miliardi e lo sarà fino a quando rimarrà campione mondiale degli scacchi, e rimarrà campione mondiale degli scacchi se riuscirà a raggiungere il massimo della concentrazione con il training che sta facendo qui. Vuoi sapere di Fischer? Te la posso dire io la verità. Non è prigioniero dei serbi, non esce da lì altrimenti gli americani lo arrestano: ha strappato davanti alle telecamere il telegramma con cui l'Amministrazione americana gli vietava di rompere l'embargo giocando a scacchi in Serbia. Era finito e voleva fare un gesto plateale per restare a galla. Ma ha scelto il momento sbagliato e il posto sbagliato». Mancano dieci minuti alle quattro, un traghetto attracca al molo dell'isola. Era stato annunciato da uno sguaiato '0 sole mio che si perdeva nell'aria tersa e un po' ventilata di questa giornata. Ma in prossimità dell'Isola Rossa i megafoni tacciono. Al castello ci accompagna Mirko, faccia da ginnasta russo, ma in realtà boxeur croato, anche lui parte del team di Kasparov, tre olimpiadi alle spalle, numero due al mondo di una qualche categoria che non comprendiamo, una fidanzata dai lineamenti turchi che non lo abbandona un attimo. Siamo diventati amici, parteggia per noi, ha una stretta di mano da far mancare il respiro. L'interesse di Kasparov per la trama del romanzo ci coglie quasi impreparati. Con Maurensig ci scambiamo uno sguardo complice e riinfiliamo in tasca l'elenco delle domande addomesticate. Kasparov vuole vedere all'opera la «variante di Lùneburg». Clara è inviperita, ma è troppo tardi. Dopo una decina di mosse, Maurensig - confesserà più tardi si fa prendere dal panico: «C'erano tutti gli elementi per mettere in crisi un mito». Cita il suo libro: «Avevo la possibilità di scegliere fra una continuazione brillante, di cui però non ero in grado di prevedere tutte le conseguenze, e una modesta spinta del pedone, che avrebbe consolidato la mia posizione». Emozionato, come se avesse avuto Tabori - il grande vecchio - alle spalle, «ho scelto incautamente il seguito che ritenevo più brillante». Ancora poche schei-maglie e, con un'aggressività che quasi si materializza, alla diciannovesima mossa la torre di Maurensig cade. Onore al campione, lo scrittore ammette la sconfitta prima che il suo re possa essere insidiato. Kasparov sorride. In questa scena «sanguinaria» si capisce perché Garry abbia detto che gli scacchi sono il gioco «più violento che esista». «E' il più spietato dei war-game - dice Kasparov dilatando le mani sulla scacchiera come un medium che assorbe energia -. E' il più spietato perché è anche il più lento, può trasformarsi in un'atroce agonia». Maurensig, giocatore di scacchi, non risparmia colpi a Clara Kasparova, ormai abbandonata su una poltrona di velluto rosso, e affonda un'altra domanda proibita nelle ferite della granduchessa: «Hai paura di Fischer?». «No, è stato un grande giocatore, ora è una grande vittima. Quando un giocatore è perdente si autodistrugge psicologicamente, il suo cervello va in tilt, diventa l'ultima vittima della sua scacchiera». A trent'anni, Kasparov parla come un vecchio che ha sezionato la morte. Si dice che di qui a qualche anno una ragazzina ungherese di sédici anni potrebbe farlo uscire di scena. Lei è ancora «nella fase più bella di tutte le cose che si intraprendono: quella del puro sogno». Lui sembra ormai consa¬ pevole di «quale prezzo l'arte debba pagare alla vita, quale esoso tributo l'ideale debba versare alla materia». Lo spiega Maurensig nella Variante di Lùneburg. Mirko, il boxeur, sorride, inarcando le mani. La sua fidanzata ha sempre la stessa espressione, quasi si trovasse lontano le mille miglia da dove vorrebbe essere. Uno sguardo ben diverso da quello di miss Bosnia, quel sorriso malinconico da reginetta in guerra che vorrebbe trasformarsi in un'esplosione di gioia. E' ritratta a fianco di Garry, nella foto che ci mostra Vladco, quasi di nascosto. «Capite? Questa è la Croazia: c'è Garry che si prepara, ci sono donne bellissime, c'è il mare, c'è la voglia di vivere. Lo scriva, che almeno i turisti non ci lascino marcire, abbiamo voglia di vivere». Garry Kasparov cerca il silenzio vicino a una polveriera. «Potevo ritirarmi a Los Angeles, o in Spagna, o in Italia. Ma qui ho vinto la mia prima partita importante, a Vukovar, città ora completamente rasa al suolo». Clara nel frattempo si è riavuta e con un colpo di mano cerca di riportare la conversazione sul binario che aveva accuratamente predisposto: «A sette anni, quando suo padre era già morto, ho capito che la sua professione sarebbe stata il giocatore di scacchi... Non aveva anco- ra cominciato a studiare la teoria che già la sua aggressività sulla scacchiera era indomabile». «Sono sempre stato un privilegiato anche nella vecchia Russia comunista - interviene Garry -. Ero una reclame del regime, uno spot pubblicitario che propagandava la superiorità mentale dei sovietici. Per me la vita è sempre stata facile». Se facile può dirsi la vita di un uomo di trent'anni che si massacra tutte le mattine sollevando pesi, facendo jogging, tirando di boxe; che mangia verdure e non può permettersi una fetta in più di anguria; che deve fare la pennichella dall'una alle tre del pomeriggio, non un minuto di più, non uno di meno; che deve studiare aperture e finali di partita fino alle sette di sera, lavarsi, cenare, respirare per un quarto d'ora la brezza di mare e poi coricarsi. E' un miliardario ma, probabilmente, sua figlia la deve aver fatta di nascosto. «Quando si dà scacco matto» «Non conosco un'altra vita». «Già, quindi è un "eroe", uno che vive solo per gli scacchi e che finirà con l'esplodere alla prima sconfitta? - chiede Maurensig -. Non 1' "antieroe" che nel suo mondo lascia spazio anche alla musica, alla politica, ad altro insomma». «Non sono né l'uno né l'altro, sono Garry Kasparov». Clara non si trattiene e cade nella trappola: «Mio figlio è editorialista del Wall Street Journal. Certo che fa politica, lui ha detto in faccia a Gorbaciov: "Sei nato comunista, vivi da comunista e morirai da comunista". E' un combattente nella vita come negli scacchi». Ci scappa un sorriso. Maurensig guarda la sua torre coricata ed è soddisfatto. Mirko accarezza l'avambraccio della, fidanzata. Vladco contempla la foto di Kasparov a fianco di miss Croazia. Le guardie del corpo servono un tè a Garry, poi lo prelevano e lo portano in un'altra stanza. Clara si è tolta un peso dallo stomaco. Sorride, ci stringe la roano. Clara, Clara Kasparova. Non è un perso¬ naggio di Guerra e pace, ma potrebbe esserlo. Sul traghetto che ci riporta a Rovigno c'è un giovane in bermuda, la moglie in prendisole con un bambino che succhia dal biberon. «Scusi, lei è quello che ha scritto La variante di Lùneburg?». Paolo Maurensig, professione commesso viaggiatore, già venditore di enciclopedie porta a porta, risponde con un «sì» imbarazzato. «L'ho vista in televisione, ho letto il libro e l'ho consigliato ai miei amici». La moglie: «Lo sto leggendo anch'io». «Siamo di Treviso... Ma volevo chiederle una cosa: il dottor Frisch è stato ucciso o si è suicidato?». Sembra che le parole stiano per scoppiare dentro il cervello di Maurensig. Doveva venire in Croazia per sentirsi fare l'unica domanda a cui voleva dare una risposta: «Quando si dà scacco matto al re chi può dire se questi venga ucciso o costretto al suicidio? E' semplicemente in trappola». Il giovane è soddisfatto, ma non ha il tempo di ringraziare. Maurensig ha la faccia rivolta all'unico scorcio di mare che si perde oltre le scogliere. Paolo Maurensig, 50 anni, una trentina passati a scrivere libri sempre rifiutati dagli editori, aveva giocato a scacchi con Garry Kasparov, 30 anni, per oltre una ventina osannato come «enfant prodige». Alcune pagine dell'Uomo senza qualità, Musil avrebbe potuto scriverle guardando Maurensig in questo momento: «Era un paese qualunque dell'Istria. Lui stesso lo sapeva appena. Aveva preso tanti treni da non sapere più come ritrovare il cammino... Sembrava che un frastuono si fosse staccato da lui e fosse volato via». Pier Luigi Vercesi «E' il più spietato dei wargame, può diventare un'atroce agonia» // campione del mondo Misceli fascino di Lùneburg. Ma allafine prevale Bobby Fischer, l'americano ex campione del mondo, e la sedicenne ungherese Judit Polgar Nella foto in basso un momento della sfida fra Kasparov (a sinistra) e Maurensig