La montagna fragile resiste agli assalti di Alberto Papuzzi

L'altopiano delle Pale ispirò Dino Buzzati «La signorina Elsa» muore su queste cime Oggi in quota arrivano torpedoni di turisti ma ci si può sempre rifugiare nel silenzio La montagna fragile resiste agli assalti QUELLE ROCCE DA ROMANZO ALLE otto del mattino, sulla cornicetta di neve ghiacciata alla base della parete Nord della Cima Grande, la più imponente delle Tre Lavaredo, fa un freddo cane e la roccia intirizzisce le dita. Tutto intorno un silenzio irreale, rotto soltanto dagli stridii dei gracchi. Salendo lungo la via tracciata da Emilio Comici, puoi pensare che sia come sessant'anni fa, 12-14 agosto del '33, quando il più geniale dei dolomitisti tentò l'impossibile. Con i fratelli Dimai attaccò la parete ancora vergine direttamente sotto i grandi strapiombi, lungo un itinerario a goccia d'acqua, come nessuno fino ad allora aveva osato. Ma bastano poche ore perché tutto cambi. La strada a pedaggio che da Misurina sale fino alle Lavaredo rigurgita automobili nei parcheggi sotto il Rifugio Auronzo. I ciclisti delle vacanze, che si cimentano su uno dei pendii dolomitici più impegnativi, ingoiano soffi di ossido di carbonio. Affollata di turisti in tutte le fogge - dagli scarponi da trekking alle scarpine con i tacchi - la strada che porta alla Forcella Lavaredo sembra il corso di Cortina davanti al vecchio Posta. Dal Rifugio Lavaredo salgono zaffate di salsiccia arrosto e patate fritte, come se fossimo tra gli stand delle vecchie Feste dell'Unità. Il turismo di massa ha imprigionato il fascino della montagna. Nelle Alpi occidentali, con i loro quattromila, gli uomini rimangono sempre piccoli, puntini neri che salgono in fila sui bianchi pendii dei grandi ghiacciai. Ma le rocce dolomitiche, nella stagione delle vacanze, si alzano ormai non più dai mughi bensì da una mare di automobili, fuoristrada, pullman, comitive, colonne di gitanti. Così la vita fra i gruppi calcarei più famosi e fotografati del mondo ha il senso di una fuga. Con le Mani dure - come diceva il titolo di un bel libro dolomitico di Rolly Marchi - di chi ar- rampica, con le gambe instancabili di chi preferisce salire per i sentieri, o anche soltanto con la fantasia di chi guarda dal di sotto e in quel mondo di guglie e strapiombi erra con l'immaginazione, si cerca sempre un passaggio nascosto, attraverso il quale poter penetrare, come il buzzatiano Barnaba delle montagne, il segreto di queste rocce attorno alle quali un tempo scorreva il mare. Una fuga. Una illusione. Le Dolomiti sono le quinte di un misterioso «trompe-l'oeil». Dino Buzzati lo sapeva benissimo, quando girava le Pale di San Martino, nei Cinquanta e Sessanta, dietro gli scarponi di Gabriele Franceschini, guida secca e introversa come certi personaggi del Deserto dei Tartari. D'altronde si dice che sia stato l'altopiano delle Pale a ispirargli il paesaggio in cui collocare la Fortezza Bastiani. E a destra della Cima Madonna, in un grande prato verde, bisogna cercare un masso dietro il quale si apre un nero buco: è l'inizio di un sentiero attrezzato con corde e scalette di ferro, che nel 1977 il Franceschini dedicò al cliente e amico scomparso. Essa scende nelle viscere della roccia, invece di risalirle, così come lui scendeva nel buio dell'inconscio. Sotto le ombre nebbiose che calano dalle Pale, fra gli odori di legno di un hotel Anni Venti, non muore forse, oppressa dagli incubi della sua psiche, la Signorina Elsa di Arthur Schnitzler? Grovigli romanzeschi da Bell'Epoque. Ma lo era anche la via aperta sul Croz dell'Altissimo, nel Gruppo del Brenta, agli inizi del secolo dalla più grande guida ampezzana, quel Di Bona che troneggia bronzeo nel centro di Cortina: il cuore della scalata è un viscido e oscuro antro nella roccia. Come dire che le pareti dolomiti¬ che, anche le più slanciate e sideree, non hanno senso senza l'interfaccia dei loro abissi, fisici o immaginari. Uno dei più forti arrampicatori dei nostri giorni, Maurizio Zanella detto Manolo, lo zingaro del calcare che vediamo nella pubblicità di un orologio sportivo e che si è costruito a spalle la sua baita sopì a i prati di Fiera di Primiero, mi diceva: «Io non vorrei mai fare la relazione delle mie salite. Io vorrei sempre che i luoghi delle mie arrampicate restassero segreti». Ciò che gli eccessi del turismo di massa rischiano di uccidere non riguarda le vette del paesaggio dolomitico, bensì le profondità: tra noi e le rocce c'è una zona grigia da salvare, che è il limite del reale, che ci separa dalla cartolina. Le Dolomiti, per ora, tengono duro, come resiste su al Brentei, sotto il Crozzon del Brenta, il loro patriarca: il vecchio Bru- no Detassis, la lunghissima barba ormai candida, gli occhi di ghiaccio, che a ottant'anni suonati può ancora vivere in rifugio e spaccare la legna. Ma non dimentichiamoci che la roccia inganna: sono montagne fragili. Nel senso di ciò che rappresentano nella nostra storia e memoria, nelle emozioni con cui ognuno al proprio passo sale dai sentieri ai colli, tra i cespi di rodendri e genziane. «Per me la roccia è come una donna. Bisogna farsi prendere da lei», mi confidò una volta Giovan Battista Vinatzer da Ortisei, il paese degli scultori valligiani del legno. Arrampicatore d'istinto, talento naturale, a detta di Messner il primo capace di superare addirittura sessantanni fa il settimo grado, venne scelto come compagno da Ettore Castiglioni, enfant gate dell'alpinismo milanese degli Anni Trenta, che andò a prenderlo con la motocicletta rombante, per fare insieme la prima via diretta alla punta Rocca sul paretene Sud della Marmolada, dove adesso arriva la funivia. E il Vinatzer, che non aveva i soldi e voleva risparmiare le suole degli scarpo ni, fece i mille metri di salita, tutt'oggi assai dura, a piedi nudi. Sì, faceva un freddo cane sugli strapiombi della Comici alla Grande. Ma sulle Dolomiti bisognerebbe un po' tutti, meta foricamente, arrampicare. Far si prendere, lasciare che siano le rocce ad avvolgerci, come di ceva il Giobatta Vinatzer. E se sali, anche con la funivia, oltre il nevaio del Cristallo o tra i muri rossi delle Tofane, cercare il silenzio in cui si sentono parlare le rocce. Romanticherie? Forse. Che cosa sono le Dolomi ti senza il loro alone remanti co? Alberto Papuzzi L'altopiano delle Pale ispirò Dino Buzzati «La signorina Elsa» muore su queste cime Oggi in quota arrivano torpedoni di turisti ma ci si può sempre rifugiare nel silenzio Qui accanto e sotto due immagini delle Dolomiti

Luoghi citati: Cortina, Fiera Di Primiero, Ortisei