IL FANTASMA DELLA MARNA di Barbara Spinelli

« IL FANTASMA DELLA MARNA tempo: e non sulla Marna, bensì a Sarajevo, affinché la replica fosse davvero perfetta. Con estrema astuzia, i governanti serbi hanno combinato la propria aggressione con lo spirito dei tempi, la loro intelligenza dell'avversario è stata impeccabile, e vincente. Non sono scattati nell'86, quando già Milosevic teorizzava la Grande Serbia, e la necessità di correggere il '14-'18. Ma hanno atteso la caduta del Muro, la riunificazione tedesca, e il caos mentale in Occidente. Hanno atteso che gli europei si dividessero tra loro, davanti alle rovine del Muro, e che perdessero la vittoria appena ottenuta. Fin dall'inizio hanno scommesso su quella frase abissalmente stupida di Dumas - «Bisogna ritrovare lo spirito della Marna» - che suggella l'ostilità tra Francia e Germania, che sancisce l'isolamento dei tedeschi, e che permette a tutti - ex Jugoslavia per prima - di ricominciare il '14-'18. Da due anni noi europei viviamo senza saperlo sotto lo sguardo dei serbi, ci comportiamo e pensiamo come loro ci vedono, e ci desiderano. La loro vittoria è costruita sulle nostre regressioni, e la nostra debolezza di fronte alle loro vittorie è l'evento cruciale di questi anni. Qui andrebbe cercata l'origine delle sofferenze europee e non nella moneta, che rivela il male. Fossimo stati folgorati dalle nostre sviste invece che dalla nostra verbosa intelligenza, già due anni fa avremmo fermato il '14-18 iugoslavo. Si può ricominciare il ' 14-18 in vari modi, con le armi, alla maniera serba, ma anche col pensiero, e i gesti mancati. E' quanto hanno fatto inglesi e francesi, dopo la caduta del Muro. Finché esisteva il Patto di Varsavia, Parigi e Londra potevano ancora fingersi grandi potenze, non fosse altro perché tutelavano politicamente la Germania, forte solo del marco. Ma dopo l'89 il privilegio cadeva, la Germania tornava a essere sovrana. Sono iniziati allora i rancori, il panico. E la Francia soprattutto, che dell'Europa post-bellica è stata il motore politico - nella sua qualità di moderatrice, di temperatrice della Germania -, ha cominciato a barcollare. Il primo barcollamento è avvenuto quando Mitterrand ha cercato di bloccare l'unificazione tedesca, e di costruire con Gorbaciov una strategia delle coalizioni contro la Germania. Strategia che Kohl ha ignorato, mostrando grande fiuto politico ma intuendo anche, per la prima volta, che Parigi non era un alleato sicuro. Il secondo barcollamento è avvenuto in piena guerra jugoslava, quando i francesi hanno creduto che fossero sufficienti l'Europa di Maastricht e la moneta per ricucire alleanze che stavano strappandosi non solo economicamente. Affidato esclusivamente ai tecnici delle Banche Centrali, il piano monetario è stato identificato con l'unione politica d'Europa, incollando l'una all'altra, mortalmente, politica e economia. E' stato concepito prima della caduta del Muro, e non ne ha tenuto conto; prima che apparissero le immani difficoltà della riunificazione tedesca, e ha mancato di trasformare quest'ultima in una difficoltà di tutta l'Europa. Maastricht ha accentuato sproporzionatamente il lato economico degli interessi nazionali, senza mai controbilanciarli con altri interessi, senza preoccuparsi di creare dei contrappesi. Significativa è stata da questo punto di vista la spartizione dei compiti. Ai governatori delle Banche Centrali un mestiere che non era il loro: quello di curare il destino politico d'Europa. Intanto Mitterrand e Kohl si tenevano per mano sulle tombe di Verdun, o andavano insieme a rendere omaggio a Ernst Junger, il filosofo che ha costruito tutta una mistica dell'antipolitica e della fuga dall'Occidente, sul '14-'18. Il risultato non può stupire: una volta ridotto all'economia l'interesse delle nazioni, ovvio che in tempi di crisi tornino alla superficie antichi riflessi anticapitalistici, torbide fantasie attorno a anonime cospirazioni cosmopolite del capitale. Ieri erano le cospirazioni di ebrei e massoni, a minacciare il sano midollo delle nazioni. Oggi sono le banche tedesche, o il finanziere-speculatore Georges Soros. A Parigi il morbo è antico, ed è uno strano morbo perché sempre ha combattuto le minacce tedesche con un'ideologia tipicamente germanica (la sostanza vera della nazione, della terra). E' la malattia tedesca del pensiero francese, ma è anche la malattia tedesca del pensiero italiano, e perfino del pensiero americano. I suoi sintomi sono l'anticapitalismo, l'antioccidentalismo, in alcuni momenti storici l'antisemitismo. E' la febbre asiatica dell'Occidente, che ogni tanto lo sommerge. Il terzo barcollamento è quello avvenuto in ex Jugoslavia, dove lo spirito del '14-'18 regna incontrastato. Per impulso atavico, francesi e inglesi si sono schierati subito dalla parte serba, sospettando la Germania di mire espansive sui Balcani. Lo stesso Dumas che vuol oggi ritrovare lo spirito della Marna ha denunciato, in giugno, «le responsabilità schiaccianti della Germania e del Vaticano», colpevoli «d'aver riconosciuto Slovenia e Croazia» e d'aver scatenato la guerra. Un'accusa non solo falsa - il riconoscimento tedesco è avvenuto dopo la guerra in Slovenia e Croazia, dopo il bombardamento di Vukovar e Dubrovnik - e che lascia sola la Germania non solo sul piano diplomatico. La lascia sola più tragicamente: con se stessa. Nel lungo termine, la rende irresponsabile nei confronti del suo passato, la libera di tabù preziosi. Quel che accade in Bosnia non è infatti la replica del '14-'18 ma della seconda guerra; i serbi non stanno dalla parte dell'Occidente come nel ' 14 ma ripetono le gesta della Germania nazista. Guardando quel che accade in Bosnia, i tedeschi sono messi di fronte ai propri fantasmi, ai mostri della propria storia. Accusarli di non restare indifferenti è come dire: non c'è stato il nazismo né il comunismo, e non c'è stata la seconda guerra perché i massacri che vedete e Sarajevo che cade questa volta ci lasciano del tutto indifferenti. Difficile evitare a questo punto che la Germania, prima con la moneta e poi con lo spirito, vada alla deriva. E forse ha ragione Alberto Savinio: forse gli europei hanno bisogno di una terza guerra mondiale, per capire che dovrebbero stare insieme e uniti. Non è confortante il senso di li¬ berazione che manifestano i governi dopo la crisi di Maastricht. Ci sono delle liberazioni che fanno cadere tutte le immunità, dopo aver fatto cadere tutti i tabù. E' nel corso di queste liberazioni che l'Occidente, in genere, si perde. Barbara Spinelli