« Pacifisti attenti diventerete ostaggi» di Massimo Gramellini

«Per ora non c'è prova di un vero ritiro» « Pacifisti attenti diventerete ostaggi» LA MARCIA DELLE COLOMBE SPALATO SPALATO DAL NOSTRO INVIATO «Mia cara Myriam, ti scrivo da una zona di guerra e di morte. Sto partendo per Medjugorie e di lì andrò a Mostar e, speriamo, subito dopo a Sarajevo. Sono molto determinato a raggiungere l'obiettivo e confido pienamente nel potere dello Spirito. Mia cara, dai un bacio ai nostri figli e ai miei fratelli, e dì loro che non abbiano paura. Dio ci protegge». Il signor Pedro Fracchia, pacifista messicano, perdonerà l'intrusione, ma il fax che ieri pomeriggio gli abbiamo visto consegnare con mani tremanti a una distratta impiegata dell'uffico-comunicazioni è qualcosa di più di un semplice messaggio privato. E' la cronaca degli eventi e degli umori di «Mir Sada», la carovana della Pace che da una settimana vagabonda sulla linea del fronte, con il suo carico di speranze, progetti, illusioni. Dunque, come ha scritto Fracchia alla sua Myriam, oggi si parte per Mostar, nel cuore della Bosnia, dove ancora ieri sera croati, serbi e musulmani si sparavano per le strade e dai balconi. Stamattina duemila persone armate soltanto di borraccia e carne in scatola si presenteranno olle porte della città, davanti alla grande cattedrale cattolica. Nell'attesa di un'improbabile tregua, la testa pesante della Marcia si divide, come sempre. Alain Michel, la Ragione, si accontenterebbe di un corteo «simbolique» di fronte alla chiesa. Don Albino, la Fede, vuole andare oltre ed entrare in città, almeno per un paio d'ore. E la battaglia in corso? E i cecchini che sparano dai tetti? «Dios nos le cuevas», garantisce Fracchia, e ce n'è davvero bisogno. Un passo indietro, adesso. Don Albino, infatti, lo avevamo lasciato sulla strada per Sarajevo, ospite sgradito di una caserma inglese dell'Onu. Ieri mattina, dopo una notte insonne, la decisione di completare la ritirata fino a Spalato. «Non esistono le condizioni per proseguire», ha ammesso il prete padovano. Impossibile traghettare decine di pullman dentro quell'inferno. Qualcuno però si è ribellato. «Ci siamo preparati per mesi. Vogliamo rischiare». Cinquantotto ragazzi, in prevalenza francesi, hanno proseguito in macchina oltre le fiamme di Gornj Vakuf, prima tappa della via crucis per Sarajevo. Don Albino ha tremato: «Con dolore e coerenza, devo dirvi: noi torniamo indietro. Se andate avanti, sappiate che Mir Sada non è più con voi». Il manipolo di temerari comprende sei italiani: Patrizia Robustelli, Francesco Bider, David Strazioso, Fulvio Baldovin, Arturo Panetta e Roberto Buttazzoni. Ieri sera hanno telefonato da Vitek: finora tutto bene, ma il buons> n.so dovrebbe indurli a desistere, perché la guerra non' si ferma per far passare la Pace. Ne sa qualcosa don Tonino Dell'Oglio, segretario di Pax Christi, che l'altra notte, nel campo di Prozor, ha assistito al furto della sua Citroen rossa da parte di un miliziano di qualche banda irregolare, che gli ha puntato il mitra in faccia per farsi consegnare le chiavi. E se arrivare a Sarajevo è un'impresa, uscirne sarebbe ancora più difficile. Ieri Alain Michel, il leader operativo della spedizione, ha rivelato che i duemila marciatori di Mir Sada hanno corso il rischio reale di trasformarsi in «scudi umani». «Mi è arrivata una lettera del ministero dell'Informazione serbo. Ecco, leggete qua: "Se uscendo da Sarajevo non porterete via con voi i serbi che se ne vogliono andare, noi vi costringeremo a farlo". Io l'ho interpretata come la minaccia di un sequestro collettivo e nel dubbio, ho preferito passare per vigliacco che per assassino». Michel, capelli bianchi a caschetto da ex-giovane invecchiato controvoglia, è stanco e amareggiato: «Se fossimo cinquantamila sarebbe diverso. Perché quello era l'obiettivo. Invece venti nazioni hanno messo insieme meno di duemila persone. E allora rischiare non ha più senso...». Lo urta il fanatismo delle frange più estreme: «Ho sentito gente augurarsi di essere presa in ostaggio dai serbi, per impedire i bombardamenti di Clinton». E non gli piacciono neanche i metodi assembleari di don Albino: «Tutto il giorno riunioni su riunioni. Sono arrivato qui democratico e me ne andrò sognando la dittatura...». Don Albino, il capo spirituale di Mir Sada, replica con le sue armi migliori: occhi di ghiaccio e parole di fuoco: «Anche chi cerca la pace, talvolta, è della stessa pasta di chi fa la guerra». A Mostar, adesso. Dopo una notte trascorsa nel villaggio di Medjugorie. E domani, se tutto andrà bene, Mir Sada si scioglie e torna a casa. Anche se Pedro Fracchia, davanti alla macchina dei fax, continua a sognare Sarajevo. Massimo Gramellini Sessanta irriducibili proseguono «ad ogni costo» «Per ora non c'è prova di un vero ritiro» Soldati serbi In attesa in una postazione sul monte Igman [FOTO ANSA]

Luoghi citati: Mostar, Sarajevo, Spalato