La vita segreta del geometra assassino

Vicini e coetanei: è un buono. Ma aggrediva i genitori e la sua camera nascondeva misteri Vicini e coetanei: è un buono. Ma aggrediva i genitori e la sua camera nascondeva misteri la vita segreta del geometra assassino Storia di Luigi, un solitario dagli occhi sfuggenti FOLIGNO DAL NOSTRO INVIATO C'è qualcosa che sfugge, nel suo volto. L'agente della polizia tiene un foglio in mano che sta leggendo ad alta voce, e lui chissà se ascolta mentre posa gli occhi a terra come se cercasse soltanto un posto dove mettersi, dove isolarsi. Luigi Chiatti è un bel ragazzo, di una bellezza mediterranea, un po' tenebrosa, quasi statuaria. Ha capelli neri, crespi, corti, zigomi larghi, una tuta bianca con il colletto blu aperta sul petto nudo, un fisico alto e forte. A vederlo così, potrebbe sembrare un giovanotto da palestra, uno sportivo. Eppure, se la mostruosità dei due delitti per cui è sospettato (quello di Lorenzo Paolucci, soprattutto, e di Simone Allegretti) gli ha davvero rubato la sua vita, ora potrà restituirgli nient'altro che la sua solitudine. Perché la prima cosa che colpisce nella sua immagine, è questa lontananza, questo isolamento, che rimandano i suoi occhi sempre bassi, i suoi gesti indifferenti a quello che gli accade intorno. Forse, Luigi Chiatti l'avremo già visto da qualche parte, in una spiaggia, in una piazza, in una scuola, eppure è come se quel ragazzo che resta immobile dietro la finestra del commissariato in mezzo ai tre poliziotti che lo scrutano incerti, avesse fatto di tutto per restarci sconosciuto. In paese, a Foligno, ricordano d'aver sentito solo due parole uscire dalla sua bocca da quando lo conoscono: buongiorno e buonasera, per 18 anni sempre le stesse, da quand'era bambino e papà e mamma lo accompagnavano a scuola a Santa Caterina, a pochi giorni fa, quando fermò la sua Y10 color amaranto davanti alla villetta di Ilide Mocca e sgusciò via di corsa nella sera. In casa, si barricava a chiave in camera sua, e chiudeva a più mandate anche quando usciva. Il padj^a.dpttiyo.^Ermanno Chiatti, una volta riuscì a entrare con uno stratagemma e si trovò di fronte a un santuario pieno di piccoli altari fatti con i fustini del Dash. Certo, a raccontarlo così, può sembrare strano e folle, ma il geometra Luigi, 23 anni, nato e abbandonato a Nanni sui gradini di una chiesa e allevato fino a sette anni in un orfanotrofio dalle grandi stanze con i finestroni quadrati che guardavano i campi vuoti, doveva aver imparato sin da piccolo che la sua vita aveva segreti da nascondere. Adesso, l'impiegato all'anagrafe sfoglia le carte e cerca di ricordare: «quella di Luigi era stata la prima adozione a Foligno e aveva fatto gran scalpore». Era il 1975. Luigi Chiatti era un bel bambino, come ricordano Ilide Mocca e Rossella, la vicina di casa, «bruno, magro, un po' imbronciato». Un bambino amato dai vicini, magari solo perché non distrubava mai. Gli altri giocavano a pallone nelle stradine deserte fra le villette a schiera, rompevano i vetri, rispondevano male, facevano gran baccano. Lui invece giocava da solo nel giardinetto di casa, mai un'imprecazione, mai una parola fuori posto, mai un gesto di insofferenza. «Beh, almeno è andata bene al dottor Er= marmo e alla signora Giacoma», pensava la Rossella: «se lo meritano». Ermanno Chiatti, mingherlino, occhiali, pochi capelli grigi, «mite e affabile» come lo descrivono tutti in paese, è medico della mutua a Foligno, e ha lo studio a fianco della casa, al numero 7 di via Mameli. Siepi, pini e una palma nel piccolo giardino affogato sotto al sole, con la macchina della polizia ferma accanto al muretto. Adesso è tutto sbarrato, sotto sequestro, lo studio e la casa, e papà e mamma sono tenuti lontano dagli occhi indiscreti dei giornalisti. Nella camera di Luigi, gli inquirenti avrebbero trovato un normografo come quello usato dal mostro di Foligno, dopo il delitto di Simone Allegretti, per lanciare un messaggio che irrideva alla polizia («non mi troverete mai», «saluti al prossimo omicidio»). Sarebbe questo nient'altro che l'ultimo di una lunga catena di indizi. Da quelli concreti a quelli più astratti. Luigi, si dice, era in cura da una psicologa a Roma, era nellaUsta di malati da tenere sotto controllo. Eppure, raccontano, ora Luigi si difende senza fare una piega. Come se quello che accade fosse soltanto l'ultimo complotto che gli ha riservato il destino, l'ultima condanna di una vita sciagurata. Per lui dev'essere normale che il mostro decida di venire proprio a casa sua, sotto il suo naso, a compiere il suo delitto orribile. Così, cerca di spiegare al giudice che la sua versione «è davvero credibile». E ripete che «può essere stato qualcuno che mi vuole male, che mi voleva fregare». Oppure, solo scalogna. In casa, negli ultimi tempi, da quando suo padre s'era arrabbiato per la camera chiusa a chiave, racconti così ne aveva fatti molti. Qualche volta finiva a urlate («era diventato aggressivo con i genitori, dava in escandescenza», racconta una vicina), ma quasi sempre riusciva a convincerli. Ed è pur vero che quello che trasmette questa sua cappa di solitudine è un senso di tenerezza, che contrasta con la sua faccia da duro, quasi da bullo. Anche adesso, mentre dietro alla finestra del commissariato ci sono due agenti che gli dicono qualcosa e c'è una poliziotta che lo invita a girarsi: e lui esegue lentamente, con indifferenza, tenendo gli occhi sempre bassi. Gli altri sguardi, quelli che lo circondano, sono impietosi, nella loro insistenza. Gli stanno addosso come catene, senza lasciarlo mai. Ma è come se tutta questa scena lasciasse sgomenti, come se riuscisse persino a farci smarrire il senso manicheo della vicenda, la divisione netta fra il bene e il male che il peccato del mostro porta in sè. Se gli indizi lo inchioderanno davvero, forse Luigi Chiatti conoscerà un'altra volta la pietà degli uomini. Dev'essere un sentimento che non ha mai cercato, che detesta addirittura. Raccontano al bar sotto casa che «non è che lui stesse da solo perché gli altri non lo cercavano: era proprio lui che li evitava». Sempre e soltanto insieme ai suoi genitori, un mondo a parte. «Guardi, io una sola volta ho visto entrare gente in quella casa», ricorda Rossella. «Fu quando lui compì 18 anni e invitarono i compagni di scuola. Loro tre se ne stavano sempre insieme, e ancora adesso facevano pure le vacanze insieme. Erano appena tornati dal Nord, dalla Norvegia». A scuola, poi, Luigi non aveva mai dato problemi. Un suo compagno, Andrea, dice che «andava bene in tutte le materie. Noi non sapevamo che fosse adottato. Lui non parlava mai, se ne stava per i fatti suoi, non dava confidenze. Ma non era antipatico. Era uno chiuso, e a noi sembrava buono. Ancora adesso, non mi rendo conto di quello che succede». E Andrea non è il solo che stenta a crederci. Dai vicini di casa agli amici del babbo è un piccolo esercito che pare pensarla come Gino Tacchi: «Ho una bambina di nove anni che conosce bene Luigi e non ho mai avuto paura. Mio cognato ha due bimbe di 4 e 12 anni che abitano vicino alla casa di Chiatti e non c'è mai stato nessun problèma, anche se rientravano tardi alla sera, magari da sole, dopò aver gioeato tutto il-giorno lì intorno». Eppure, alla fine, l'impressione è che questa non sia un'incredulità che assolve. E' fatta di pietà, proprio il sentimento che Luigi Chiatti rifiuta. La stessa pietà che fa ricordare a Rossella tutti i sabato che la signora Giacoma, insegnante in pensione, aspettava suo figlio che tornava in licenza dalla naja: «E io la vedevo che camminava per la strada, nel giardino, sfregandosi le mani, tutta agitata, e io le chiedevo che succede, signora, qualcosa che non va? E lei no, no, solo che deve arrivare Luigi, e gli ho preparato da mangiare, gli ho fatto quello che piace a lui. Povera donna». La stessa pietà che fa dire a tutti quelli che incontrano i cronisti «speriamo che non sia vero: per quel sant'uomo e per quella mamma». Ma adesso che dietro a quella finestra del commissariato non c'è più nessuno resta un'impressione strana, come se gli unici cuori a palpitare fossero quelli fuori, lontano da questa stanza. Magari sarà solo perché gli occhi di Luigi, quelli non siamo riusciti a vederli, a prenderli. Ci sono sfuggiti. Pierangelo Sa pegno ili fasce venne abbandonato sui gradini della chiesa Sette anni dopo, l'adozione A sinistra Lorenzo Paolucci Qui accanto il nonno Luigi Sebastiani che ha trovato il corpo Sopra il giudice Michele Renzo

Luoghi citati: Foligno, Norvegia, Roma