Rai? Torniamo al passato e chiamiamola Eiar di Curzio Maltese
Rai? Torniamo al passato e chiamiamola Eiar Rai? Torniamo al passato e chiamiamola Eiar HISSA' che cosa daranno ora ai dodici milioni d'italiani orfani di Pippo Franco e del sosia di De Mita, in cambio della satira da casino di «Saluti e baci». Il Pippo Baudo samarcandizzato? Augias formato mercatone del libro? Il «diesseche»? La vita di Antonio Di Pietro a puntate? O Beautiful, sempre più mascelluto e ottimista? «Saluti e baci», per o in quanto squallido, rappresentava un pezzo di Paese reale. Infine, la televisione è diventata con l'Auditel uno strumento di democrazia diretta. Trasmette quello che la gente vuole. Da noi la maggioranza ha votato in massa per «Saluti e baci», già «Biberon» e «Crème Caramel». Specchi di un invincibile trasformismo, con la premiata ditta Castellacci & Pingitore abile nell'alternare sberleffi e riverenze, accarezzando il ventre molle del Paese prima e dopo la «rivoluzione». In ultimo, bastava sostituire la passerella dei politici con la gogna, il sosia-idolo di Andreotti con quello di Di Pietro, e lo show poteva andare avanti. Insomma, le cose che han detto e scritto tutti. Ma intanto questa è l'anima autentica e autarchica di questa Rai partorita dal regime, e perfino un raro esempio di made in Italy tv. Perché se si tolgono agli Anni Ottanta i «Biberon», Biscardi e la telepiazza di Santoro, i programmi popolari si riducono alle scopiazzature di varietà stranieri e all'invasione dei talk show nati con la radio. Certo, siamo qui a seppellire «Saluti e baci» e non a farne l'elogio. Anche se di fronte agli improvvisi pudori della Fininvest (perché Lionello no ed Emilio Fede sì?) e alle sbrodolate retoriche dei pedagoghi progressisti (e se domani Guglielmi recupera alla cultura Pippo Franco, come già Mosca e Funari?), la tentazione è forte. D'altra parte, in certi giorni verrebbe voglia di togliere il disturbo insieme a Craxi, dopo aver lasciato sul comò, ai posteri, le interviste di Lilli Gruber e Frajese contro la Rai matrigna e lottizzata. Cattivi pensieri a parte, che cosa ci attende dietro l'angolo della riforma Rai? Non si vive di solo Blob. Ci vorrebbe uno straccio d'idea, anzi molte idee, e invece si producono soltanto parole. Chiacchiere a uso e consumo dei giornali costretti a riempi re in qualche modo ì vuoti la CorradoMichelesciati dal pastoncino politico. Augias erra C'eravamo appena liberati dei dubbi di De Mita che già ci ritroviamo alle prese con i tormenti estivi di Santoro, paginate intere gravide di messaggi trasversali ai vertici. A fine settimana, L'Espresso riassume a modo suo e apre il dibattito a sinistra: è giusto o no che il compagno Santoro vada da quel bischero di Berlusconi? Intervengono i compagni Guglielmi e Serra. In barca, Santoro si pente, acchiappa la nuova poltrona e tutto finisce a tarallucci e vino. Proprio come De Mita. E la strombazzata riforma? Assomiglia a uno di questi congressi di partito da fine regime, con l'arredo dimesso e i professori chiamati in prima fila al posto di nani e ballerine. Ma la logica è sempre la stessa. C'era una volta alla Rai un presidente socialista e un direttore generale democristiano. Ora invece abbiamo un direttore democristiano e un socialista presidente. Secondo tradizione il socialista parla, il democristiano va e fa. Certo, siccome la baracca ormai va a rotoli, si cerca di lasciare almeno un buon ricordo. E' la ragione per cui la Rai (la de, l'Iri) viene affidata a una persona seria e capace come Gianni Locatelli (Mino Martinazzoli, Romano Prodi). Ma per decidere che cosa? Si possono salutare, senza baci, Pippo Franco e Aldo Biscardi. E va bene, ma poi? Non si possono, per esempio, liquidare gli oltre 600 dirigenti a libro paga e le moltitudini di collaboratori fantasma, non si tocca l'assurdo organico di 15 mila dipendenti e 1500 giornalisti di partito perché altrimenti i pasdaran del sindacato insorgono. Non si possono neppure richiamare a casa i tre gaudenti che da New York '.eggono tutti i giorni via satellite le agenzie per i tre tiggì lottizzati, e che diventano sei lettori quando Curzi o un altro sorteggiano in redazione un viaggio premio. Fino a un'intera brigata di trenta o quaranta vacanzieri, compresi i tecnici, m occasione dei grandi eventi: tutti appostati fuori dal quartier generale di Clinton o Bush a intervistare i cespugli perché «qui sono severissimi con le tv e non fanno entrare». Non si può perché la Rai (la de, l'Iri) è ormai quella Cosa. Al massimo, se si trova l'accordo, si può cambiare nome, tornando ai bei tempi andati. Eiar va bene? Curzio Maltese «el sato Corrado Augias Michele Serra
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