Banca d'Italia cent'anni di duelli con il Palazzo

L'anniversario. Nasceva il 10 agosto 1893: i suoi capitani da Stringher a Fazio L'anniversario. Nasceva il 10 agosto 1893: i suoi capitani da Stringher a Fazio Banca d'Italia, cent'anni di duelli con il Palazzo Dalfascismo alle trame occulte degli Anni 70 L~~ ROMA E celebrazioni ufficiali si apriranno il 1° dicembre, poiché la Banca d'Italia iniziò a operare il 10 gennaio 1894. Ma il centena 1 rio del nostro istituto d'emissione cade, in realtà, dopodomani, martedì 10 agosto, perché appunto il 10 agosto del 1893 venne promulgata la sua legge istitutiva. La ricorrenza coincide con un anno densissimo di avveramenti per la banca centrale italiana. Nella monumentale sede di via Nazionale, Palazzo Koch, ha avuto luogo, per la prima volta nella storia d'Italia, un avvicendamento «politico»: il governatore Carlo Azeglio Ciampi si è insediato a Palazzo Chigi. Al suo posto è asceso il vicedirettore generale Antonio Fazio. Ciampi prima e Fazio poi, coadiuvati dal «direttorio» che collegialmente guida l'istituto, si sono trovati a fronteggiare una crisi monetaria con pochi precedenti nella storia contemporanea. La stessa lira è uscita dal Sistema monetario europeo nel settembre del '92 e da allora è stata «pilotata» con mano salda sul mercato libero. L'economia del Paese attraversa una fase di estrema difficoltà. Il quadro politico è quanto mai incerto. Ma proprio queste traversie hanno confermato il ruolo guida d ila Banca per l'economia del Paese e per la sana sopravvivenza di tutte le altre istituzioni. E se questo è stato possibile, in una simile fase storica del Paese, la spiegazione va cercata anche nei cent'anni di tradizione che l'istituto ha all'attivo e che ne fanno un esempio raro di continuità e di coerenza culturale, prima ancora che tecnica, nelle vicende del Regno prima e della Repubblica poi. In questa pagina, accanto alla rievocazione storica di questi lunghi anni di gravosa ma salda autonomia, pubblichiamo anche l'anticipazione di uno scritto del governatore Fazio che uscirà nel prossimo novembre a prefazione di un volume sulla storia della moneta. [s. lue] 01CCORSERO più di sessantanni perché alla proclamazione dell'Italia unita seguisse la creazione di un I unico istituto di emissione della moneta. Non che l'opportunità di quel corollario del processo di unificazione politica non fosse avvertita; al contrario, ad un uomo come Cavour non poteva certo sfuggire che quello era uno dei passaggi essenziali per rendere coeso e, per quanto possibile, omogeneo quel Regno appena messo insieme. E infatti se ne interessò attivamente, col merito di escludere la facile soluzione di mutuare un qualche modello dall'esperienza di Stati già consolidati, per immaginare l'istituzione con l'originalità della visione liberale e liberista che gli derivava dalla sua formazione. Cavour non riuscì a realizzare questa componente del suo disegno unitario scontrandosi, come altri dopo di lui, con la difesa localistica dei ben sei istituti di emissione che nella neonata Italia continuavano ad emettere moneta. Fu necessario attendere trentanni perché si determinassero le condizioni per incominciare a dipanare quella intricata matassa. E, secondo una norma che l'Italia fin da allora precocemente manifestò, le condizioni vennero date da uno stato di emergenza, quello di una crisi economica e .bancaria acutissima che toccò il suo apice nello scandalo di uno di quei sei istituti, la Banca Romana. Solo allora, all'inizio degli Anni 90 dell'altro secolo, divenne «politicamente praticabile» avviare la concentrazione della responsabilità della moneta in un'unica istituzione con la nascita della Banca d'Italia nella quale, per disposizione della legge 449 promulgata da Umberto I il 10 agosto 1893, furono fusi la Banca Nazionale del Regno d'Italia, la Banca Nazionale Toscana e la Banca Toscana di Credito. La Banca Romana venne posta in liquidazione, mentre mantennero la prerogativa di emettere moneta i due istituti meridionali. Anche se il suo primo direttore generale (la carica di governatore fu istituita solo nel 1928) se ne andò ben presto sbattendo la porta, ritenendo lo statuto troppo vincolante, la Banca d'Italia nacque mantenendo nel suo codice genetico un'impronta cavouriana che le attribuì margini di autonomia sconosciuti alle omologhe istituzioni del tempo. Certo, i limiti operativi erano rigorosi, ma li volle Sonnino e con qualche ragione: in fin dei conti, un istituto di emissione era appena precipitato nel fango del malaffare. Non nacque, comunque, come altri istituti centrali, a cominciare da quello inglese due secoli prima, al servizio deUo Stato e per agevolarne l'indebitamento. Nacque nell'emblematica forma della società per azioni con l'assunto che un istituto di emissione è utile solo in quanto possa avvalersi di congrui margini di autonomia. Fu merito di Bonaldo Stringher quello di aver attribuito all'Istituto solidità e prestigio. Lo guidò per ben trentanni ottenendo, con la riforma bancaria del '26, un ampio riconoscimento dei poteri che di fatto si era conquistato. Con quella riforma la Banca d'Italia divenne finalmente l'unico Istituto di emissione del Paese e, nello stesso tempo, le venne attribuita la vigilanza sulle banche. Stringher fu il primo banchiere centrale che non si limitò a governare l'emissione di moneta, ma realizzò una vera e propria politica monetaria, ossia un governo della moneta attento alle condizioni dell'economia ed a correggerne gli andamenti indesiderati. La disgrazia di Stringher fu che, proprio neU'irnminenza della successione, venne a mancare D'Aroma, che lui aveva prescelto, formato e insediato come suo indiscusso delfino. Così lo scettro di governatore fu assegnato ad Azzolini: personaggio sul quale il giudizio rimane controverso tra chi lo accusa di aver ceduto al regime fascista e chi, invece, ritiene che abbia resistito come potè nel clima autoritario della seconda metà degli Anni 30. n dopoguerra comincia con Einaudi e l'autonomia della Banca trova nuove e più esplicite espressioni nei lavori della Costituente, nella stessa Costituzione repubblicana, nelle leggi emanate per riordinare la sua attività. Einaudi fu un esempio illuminante di un altro aspetto dell'autonomia della Banca. Persino lui, un caposcuola del liberismo, che per decenni criticò la Banca per le sue scelte illiberali, una volta governatore venne spesso meno ai suoi stessi precetti, come quando volle ed applicò un piano sportelli per proteggere le banche dai rischi e dai costi della concorrenza. Einaudi non è il solo esempio di queste apparenti contraddizioni nelle quali molti governatori sono incorsi. Esse si spiegano con la circostanza che, soprattutto sul piano del liberismo, la cultura della Banca d'Italia è stata sempre avanti a quella del Paese in genere e della classe politica in particolare. Ne è derivata la peculiarità di una banca centrale che, per un verso, svolge di fatto un'importante funzione pedagogica e, per l'altro, proprio perché particolarmente attenta ad ogni aspetto della rea'tà italiana, nella prassi si è dovuta operativamente piegare ai suoi squilibri, alle sue debolezze. Quando erano in corso le trattative per istituire lo Sme, a Giscard d'Estaing che gli andava magnificando le virtù dei cambi fissi Baffi replicò un po' stizzito com'era nel suo carattere: è vero, ma noi in Italia abbiamo disoccupazione, abbiamo un grosso partito comunista, abbiamo le Brigate rosse, ed io non posso non tenerne conto. Einaudi lasciò la Banca a Menichella, personaggio di grande statura che ebbe il buon senso di innovare il meno possibile in un periodo nel quale tutto sembrava andare per il verso giusto, con la lira forte e l'economia che cresceva al 5% l'anno. Digerì molto male, invece, il governatore successivo, Carli, che salutò come persona nota nel mondo per la sua preparazione giuridica e per la sua memoria. Ben altri, però, furono i motivi di quella negativa reazione. Discendevano dal fatto che alla scelta di Carli non furono estranee considerazioni di ordine politico. Lo stesso Menichella, che aveva conosciuto bene i De Gasperi, i Vanoni, i Campilli, i Pella, avvertì che la de stava cambiando. Nel partito si andava affermando la componente sindacal-solidarista dei Fanfara, dei Pastore, dei DonatCattin, gente ben meno sensibile alle ragioni del liberismo e del rigore finanziario con la quale un Carli avrebbe potuto intendersi assai meglio che un Ossola o un Baffi. E sostanzialmente politiche furono anche le dimissioni con le quali Carli pose termine ai suoi quindici anni di governatorato. Era la metà degli Anni 70, gli anni di piombo. «Confraternite» più o meno occulte sembravano prevalere su un sistema politico che, nel tentativo di raccogliere le sue residue forze, si stava avviando verso il consociativismo. La possibilità di adempiere i compiti istituzionali di una banca centrale stava venendo meno; o almeno così sembrava a lui. Decise, quindi, di lasciare la Banca, consigliando i più giovani e promettenti dei suoi collaboratori a fare altrettanto, ed indicando in Ventriglia il successore omologo ed emblematico di quella fase buia della storia patria. Fortunatamente le cose andarono in tutt'altro modo. Con un paradosso che solo un Paese come l'Italia può produrre, a bloccare quel disegno fu soprattutto il pei; il pei degli Amendola, dei Napolitano e dei Colajanni. Ma si spiega: la destra ha sempre visto nella Banca una cultura da avversare perché portatrice dei valori dell'internazionalizzazione e della concorrenza e, quindi, tesa a mettere continuamente in discussione gli assetti stabiliti e gli interessi consolidati; la sinistra, invece, da Togliatti in poi, sotto sotto l'ha sempre difesa vedendovi un riferimento imprescindibile in un Paese con un capitalismo debole e con uno Stato inefficiente, Fu il pei che favorì e forse impose la nomina di Baffi. Se questi poi, con il vergognoso attacco che dovette subire ad opera di una magistratura che non era certo quella dei Borrelli e dei Di Pietro, dovette pagare anche la genesi della sua nomina è cosa che la storia deve ancora acciaiare. Il rischio che l'autonomia della Banca corse in quegli anni fu grave, forse ancor più di quello che corse sotto il fascismo se non altro perché la Banca di Baffi aveva molto più da perdere di quella di Azzolini. Tuttavia fu superato, grazie all'equilibrio ed alla pacatezza di un «fondista» come Ciampi, e grazie anche al risl^ilimento nel Paese di quella concezione cavouriana secondo la quale una banca centrale serve al Paese solo se è autonoma. Con Ciampi governatore, infatti, la Banca ed U governo hanno ristabilito corrette distanze e ridefinito le rispettive responsabilità con norme, come quelle sul tasso di sconto o sul conto corrente di Tesoreria, che hanno grande rilevanza ai fini dell'assetto e della trasparenza del nostro ordinamento politico-istituzionale. arredo Recanatesi Nel secondo dopoguerra, con Einaudi al vertice, la piena autonomia dell'istituto di emissione Sempre in anticipo sulla classe politica Nel secondo dopoguerra, con Einaudi al vertice, la piena autonomia dell'istituto di emissione In alto Sonnino Accanto, la sede di Bankitalia in via Nazionale In alto Sonnino Accanto, la sede di Bankitalia in via Nazionale A lato Giscard d'Estaing, che si scontrò con Baffi A destra Amendola, che intervenne per garantire l'autonomia di Bankitalia