Napoli, un anno di liti al vetriolo di Fulvio Milone

Napoli, un anno di liti al vetriolo Sciolto il Consiglio comunale, martedì arriva il commissario Napoli, un anno di liti al vetriolo Sedute disertate, arresti, poi la bancarotta NAPOLI. E' una commedia tragicomica che narra di congiure, tradimenti, risse, arresti, finte dimissioni, promesse mai mantenute. Potrebbe essere intitolata «Tutti a casa», anche se non c'è alcuna analogia con il celebre film interpretato da Alberto Sordi. La scena si sposta continuamente fra la Sala dei Baroni del Maschio Angioino, l'antico castello dove si riunisce il Consiglio comunale, e il Palazzo San Giacomo, sede del municipio. Qui, nel centro dissestato di Napoli, si è consumata la vita breve e turbolenta delle giunte che nell'ultimo anno non sono riuscite a governare la città, guadagnandosi il primato poco invidiabile di amministrazioni più inefficienti e litigiose d'Italia. Tanto che il prefetto ha deciso di mandare, appunto, tutti a casa, dagli assessori ai consiglieri. Atto primo. La scena si svolge nella Sala dei Baroni, tarda estate '92. Sulla poltrona del sindaco siede il socialista Nello Polese: lo chiamano l'«uomo di Craxi», perché dicono che non prende una decisione che non sia concordata con via del Corso, a Roma. C'è un caldo soffocante a Napoli, dove l'estate è vissuta come una breve fuga da mille problemi, sempre gli stessi, da anni: il traffico, la disoccupazione, l'acqua sporca, i trasporti che non funzionano, le casse municipali vuote. In compenso, a Capri impazzano De Lorenzo e Pomicino. Tangentopoli ancora non ha sconvolto la sala dei Baroni, dove le riunioni del Consiglio comunale saltano in continuazione per mancanza del numero legale degli eletti. Eppure di lavoro ce n'è tanto: occorre approvare quattrocento nomine nei consigb" di amministrazione delle società municipalizzate e nelle commissioni consiliari. Azienda dei trasporti, acquedotto, centrale del latte, sono sull'orlo della bancarotta, eppure aspettano da mesi che qualcuno le diriga. Psi, de, pli e psdi, i partiti in giunta, non trovano un accordo e disertano le sedute. Non riescono nemme- no a scegliere il presidente della commissione che dovrebbe vagliare le candidature, n veleno scorre nei corridoi, con dichiarazioni al vetriolo sussurrate all'orecchio del cronista e prudentemente smentite il giorno dopo. Polese, alla fine, risolve le cose a modo suo: sceglie da solo i 400 fortunati con un blitz che scatena la bagarre in Consiglio. Il colpo di mano, però, non risolverà niente: gli autobus continueranno a rimanere nei depositi e l'acqua scorrerà sempre con il contagocce dai rubinetti. Atto secondo. Ancora nella sala dei Baroni. Questa volta, però, il clima è molto diverso. Siamo quasi in primavera, il ciclone delle tangenti è arrivato anche ai piedi del Vesuvio. La città è divisa: un po' spera nei giudici, un po' guarda con scetticismo alle inchieste aperte dalla procura, «tanto, non cambierà niente». Polese è ancora al suo posto, malgrado il siluro sparato dal capogruppo del msi Amedeo Laboccetta: una intercettazione telefonica, una conversazione rubata chissà come e recapitata in modo misterioso al consigliere. Da un capo del filo c'è il questore Vito Matterà, dall'altro il caporedattore del Mattino Giuseppe Calise. Il dialogo è stupefacente. Matterà parla di un'inchiesta in cui è coinvolta la moglie del sindaco, aggiunge che «so' tutti mariuoli, ma Polese è un amico anche se non capisce un cazzo». Calise raccoglie la raccomandazione, e dice che l'articolo lo scriverà nino fidato». Il sindaco ha rimesso il mandato nelle mani della giunta, eppure nulla è accaduto. Ma ora, negli ultimi giorni di febbraio, il Consiglio comunale è sconvolto. Gli imprenditori arrestati hanno fatto i nomi dei politici corrotti o presunti tali, e le voci su arresti imminenti sono insistenti. Si rivelano presto fondate. Polese viene ammanettato con decine di assessori e consiglieri. Tra i banchi è un continuo scambio di accuse, molti seggi sono vuoti. C'è anche chi, fra gli amministratori ancora in libertà, ha prudentemente deciso di partire per destinazione ignota. Ma è più che presente il «tormentone» Laboccetta, che scatena in Consiglio comunale una bagarre senza precedenti. Con un manipolo di camerati lancia buste piene d'acqua, monetine e qualche seggiola (volano anche i cazzotti) contro gli uomini della giunta, al grido di «ladri, ladri». Non sa ancora, il capogruppo missino, che finirà anche lui con le manette ai polsi. Atto terzo. Questa volta la scena si sposta nel Palazzo San Giacomo. Fuori la città è stremata e quasi non si accorge che ha un nuovo sindaco, il de Francesco Tagliamonte. La giunta formata da de, pli e psi è più che mai dilaniata al suo interno. I tre partiti che hanno l'appoggio esterno del psdi hanno dalla loro 51 consiglieri su 80: una maggioranza schiacciante, eppure il Consiglio comunale non riesce a riunirsi. Il 12 giugno il sindaco dichiara il dissesto finanziario. Poi si dimette, lanciando accuse gravi: «Su 80 consiglieri ne salvo al massimo 10». Atto quarto. E' trascorso un anno dall'inizio di questa storia. Napoli è terrorizzata dal latte messo in commercio nonostante sia pieno di streptococchi, e preoccupata per i cortei dei disoccupati e degli ormeggiatori abusivi ai quali sono stati sequestrati i pontili. Scoppia la grana dell'acqua: dai rubinetti scorre acqua marrone. Vicesindaco e assessore litigano sull'opportunità di vietarne l'uso. «Tutti a casa», ordina il prefetto. Fulvio Milone Dal «caso Polese» all'acqua marrone Non basta alle giunte avere 51 voti su 80 Il prefetto di Napoli Umberto Improta Nella foto grande una delle molte manifestazioni di protesta davanti al Municipio

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