Gli irriducibili della pace s'arrendono alle cannonate di Massimo Gramellini

Gli irriducibili della pace s'arrendono alle cannonate Gli irriducibili della pace s'arrendono alle cannonate DISARMATI CONTRO LA GUERRA SPALATO DAL NOSTRO INVIATO L'esercito di don Albino è in marcia sotto il sole, fra mucche che pascolano e cecchini che sparano. Una marcia all'incontrario, seppur di poco: dopo un'altra giornata di chiacchiere e paura, i pullman della Pace hanno girato le ruote verso Spalato, arrestandosi a dieci chilometri dal fronte, dove una caserma dell'Orni ha fatto finta di accoglierli volentieri. L'ultima notte sul lago di Prozor, avamposto di guerra sulla strada per Sarajevo, era stata indimenticabile. Prima i ragazzini che salivano dal paese a chiedere caramelle e a restituire sorrisi, conditi con qualche parola smozzicata in tedesco. Poi i loro fratelli più grandi con le chitarre e tanta voglia di ballare. Infine i soldati, con gli occhi rossi e i fucili spianati. Cercavano cose da bere, da mangiare, da rubare. Si sono presi due macchine - di una si sa che era targata Bologna - e chi li ha visti più: scomparsi nella boscaglia sovrastante, veri predoni senza bandiera. La sveglia, ieri mattina, l'hanno data le cannonate. «Cos'è, il temporale?», ha chiesto Simone Paccardi, un giovane fisico fiorentino, sporgendo fuori dalla tenda soltanto la barba. La colazione, invece, l'hanno servita gli elicotteri croati, scodellando sul piazzale del campo le barelle dei feriti della battaglia di Gornj Vakuf, che è appena lì, avvolta nel fumo dietro la collina. Poi è sorto il sole, il lago per un momento è ritornato bellissimo, e ha avuto inizio la grande assemblea. Eccoli qui, in cerchio, gli irriducibili di don Albino. Sono rimasti in 600, dopo che un altro gruppo ha dovuto arrendersi e ritornare fra i singhiozzi sui pullman, perché gli autisti italiani si rifiutavano di rimanere, ricordando che l'eroismo non era contemplato nel loro contratto. Intorno al prete di Padova resiste un'umanità sorprendente. C'è padre Fabrizio Forti da Trento, saio da cappuccino e occhi di brace. La barbetta giunge di Marco Baino, il ragazzo torinese che ha curato l'addestramento dei marciatori, cercando di insegnare la complicata arte del non aver paura. E Kelly Katleen, la Jane Fonda dei poveri: 40 anni di cortei e 40 chili di capelli neri che sventola in faccia a chiunque, mentre ripete con voce stentorea: «Dobbiamo andare a Sarajevo, perché la gente ci aspetta. Non possiamo deluderli». Il team americano è il più determinato: 50 pronti a tutto che si autodefiniscono «i Rambo della pace». Ogni tanto si prendono per mano e si danno la carica, osservati con distacco mai ironico da tre monaci buddisti in tunica gialla: due giapponesi e una svedese. Gli italiani superstiti hanno le collanine alle caviglie e i libri di Hermann Hesse nello zaino. Brandelli di un colloquio: «Andare avanti? Ma a tre chilometri di qui si spara!». «Il tuo è un modo scorretto di impostare il problema». Giovanni Bianchi, il presidente delle Acli, lo trova invece un modo corretto, correttissimo. E' nel triumvirato dei «decisori», con don Albino e padre Fabrizio e svolge ima discreta opera di moderazione. Le Arci rosse, invece, sono già in rotta: hanno abbandonato la missione non appena i francesi di «Equilibre», i profes¬ sionisti del pacifismo, hanno alzato bandiera bianca. E adesso tutti guardano verso don Albino. Che occhi! Occhi di prete scomodo, senza parrocchia e senza tregua. Albino Bizzotto vive nel centro di Padova, a piazza della Frutta, in una casa priva di serrature. Ha insegnato religione in una scuola media, ma il suo doveva essere un catechismo un po' particolare, perché da un gior- no all'altro lo hanno fatto fuori. Allora ha continuato a tenere le sue lezioni sulle radio private del Veneto rosso: «Gamma cinque» e «Cooperativa». Per mantenersi, ogni mattina va a fare le pulizie in un asilo notturno per senzatetto e sfrattati. Nel frattempo ha fondato i «Beati costruttori di pace» e da otto anni organizza meeting terzomondisti all'Arena di Verona. Quello di quest'anno si intito¬ la: «L'economia a partire dagli ultimi». Un film già visto, ma lui lo recita con passione sempre nuova. Il suo carisma sul gruppo è totale, forse perché don Albino dà l'impressione di esercitarlo sottovoce, quasi controvoglia. «Lui costruisce sempre, anche quando c'è da distruggere qualcosa», si allarga in un sorriso la giovane Laura Lauzzara. «Vi faccio un esempio. Mancano i pullman per andare avanti? Lui non dice che mancano i pullman. Dice che se ne stanno già cercando degli altri...». A Prozor lo attende una prova importante. Eccolo, faccia da impiegato e sguardo da condottiero, mentre prende la parola: «Propongo di continuare nella nostra politica dei piccoli passi. Oggi ne facciamo uno breve aU'indietro. Pochi chilometri, ma sia chiaro che non rinunciamo ad andare a Sarajevo. Ci aspettano...». E' una medicina amara, perché pur sempre di un arretramento si tratta. Ma nella prosa di don Albino sembrava quasi un'avanzata, e questo ha spento l'impazienza degli oltranzisti, anche se una notizia non confermata parla di una dozzina di disobbedienti - fra cui quattro italiani - che avrebbero continuato a marciare, a piedi, verso il fronte. Padre Fabrizio raccoglie il pensiero di Albino e lo traduce in un appello «all'opinione pubblica mondiale»: «Noi restiamo in silenzio, in digiuno e in preghiera». Aspettando il semaforo verde per l'irraggiungibile Sarajevo. Intanto il secondo troncone dell'esercito della Pace langue sulle colline di Spalato, in condizioni morali ed igieniche sempre più difficili. Provate ad immaginarvi 800 persone annoiate a morte e senza un gabinetto dove andare. Ce n'è abbastanza perché si scateni monsignor Bettazzi, vescovo di Ivrea, che ieri sera è giunto a Medjugorie per convincere i croati ad accogliere i pacifisti nel villaggio delle apparizioni della Madonna. Da qui, se i fucili lo consentiranno, si potrebbe deviare sulla martoriata Mostar: un'alternativa al progetto di Sarajevo che alla fine potrebbe convincere anche i fedelissimi di don Albino a tornare indietro e ricompattare la carovana. Massimo Gramellini Don Bizzotto: è solo un passo indietro A Sarajevo non rinunciamo Ma un gruppetto ha proseguito Belgrado: scontri tra manifestanti e polizia [foto reuter) I pacifisti di «Mir Sada» sfilano per le strade di Spalato [foto reuter]

Persone citate: Albino Bizzotto, Baino, Bettazzi, Giovanni Bianchi, Hermann Hesse, Jane Fonda, Kelly Katleen, Laura Lauzzara, Padre Fabrizio, Simone Paccardi