ANVEDI CHE CRISI

ANVEDI CHE CRISI! ANVEDI CHE CRISI! Dopo la Coppia, la Sinistra, i Valori, ora tocca al Romanzo LA Crisi dei Trasporti e la Crisi della Coppia camminavano lentamente lungo la battigia, lasciando sulla sabbia scura e lucida orme subito cancellate dalla frastagliatura del mare. Entrambe sembravano assorte nei propri pensieri, attente solo a scavalcare bambini nudi e tavole da surf, ma di sotto la tesa dei cappelloni di paglia i loro occhi controllavano tutto, ombrellone per ombrellone. «Ma tu guarda che arie da gran dama!». «Beh, lo credo, si parla solo di lei, si è montata la testa». Risposero con un mezzo saluto alla Crisi dell'Auto che le aveva degnate di un vago cenno. Pochi metri più oltre, circondata da un crocchio di ammiratori, sedeva la Crisi della Sinistra. «Io non so come fa quella a non vergognarsi, con l'età che ha». «Eppure è sempre lì che tiene banco, con tutte le sue rughe». «Incredibile. Ma lo sai che è nata lo stesso anno di mia nonna?». «E' la terza giovinezza, se non la quarta». Una ragazza in topless, nel Alain Elkann NESSUNO SA NARRARE? RILEGGIAMO MORAVIA EENERALMENTE preferisco non aderire a polemiche o discussioni sui giornali, ritengo più interessante il silenzio e la tranquillità. Però, pur avendo avuto simpatia per Alessandro Baricco sia come collega sia come romanziere, e avendo appreso con piacere la sua vittoria al premio di Viareggio di quest'anno, devo pensare che in qualche modo il successo gli abbia dato un po' alla testa trasformandolo in un fastidioso grillo parlante. Questo atteggiamento professorale non si addice secondo il mio modesto parere a chi come lui mi auguro stia scrivendo altri romanzi. Non capisco inoltre perché un critico e un ottimo direttore di reti televisive come Angelo Guglielmi e un narratore intelligente e di vero talento quale Alberto Arbasino disperdano i loro talenti in battibecchi sulla maggiore o minore capacità degli italiani di saper scrivere dei romanzi e di dare voti e preferenze a diversi colleghi quasi si trattasse di classifiche sportive. Attendo invece con impazienza di lettore affezionato che Alberto Arbasino pubblichi la nuova edizione del romanzo «Fratelli d'Italia» e che Angelo Guglielmi dopo il suo fortunato libro sulla televisione scriva un romanzo che sia finalmente di suo totale gradimento. Scrivo questo per dire che in Italia come in altri Paesi vi sono molti giovani e meno giovani, uomini e donne, che lavorano e scrivono romanzi. Scrivono romanzi che talvolta non vincono premi letterari, hanno una piccola tiratura, non vengono tradotti all'estero ma che hanno il valore di una testimonianza e di un «work in progress». Io vorrei solo dire che a differenza della letteratura inglese ormai appalto di pakistani, indiani o comunque scrittori provenienti dalle ex colonie o della letteratura francese ormai appalto di scrittori magrebini o delle Antille, in Italia vi sono ancora scrittori italiani. Penso che in Italia vi siano molti scrittori creativi, alcuni più bravi novellieri, altri romanzieri e altri chissà? solo scrittori. Ma Bruce Chatwin era un grande romanziere o era uno scrittore? Non saranno comunque né Baricco né Guglielmi né Arbasino a decidere delle sorti definitive del romanzo italiano di questo secondo Novecento. Quando morì Alberto Moravia Umberto Eco disse in un discorso funebre in Campidoglio: «Adesso bisogna tacere e rileggere in silenzio l'opera di Moravia con molta calma e attenzione». Alain Elkann pieno fulgore della giovinezza, veniva verso di loro a passo di corsa, le lunghe gambe gettate avanti con noncurante agilità. Non le vide nemmeno. «Ha fatto finta, secondo te?». «No, no, la sua superbia è tale che non vede davvero nessuno. La Crisi dei Partiti è la star della spiaggia, ha vinto per due estati di seguito il titolo di Miss Castello di Sabbia». «Capirai». «Non è poi così poco, ha battu- Altri interventi sugli «scrittori avari» dopo Guglielmi e Arbasino Silvana Grasso ENFANT PRODIGE IMPARA DA MOZART LA STORIA SI FA MA NON SI DICE NO Scirocco malandrino, inquieto, agita, in questi primi soli d'agosto, la mia costa gelòa (di fronte all'Africa, per chi, citta- te ali NOinqprimialli Ite I Viali dino, non s'avventura in queste lande lardicàte di gramigna) e soffia via, col favore di Eolo, oltre che le brune sabbie - ove Eschilo lasciò le penne per virtù d'una testuggine - anche ogni mio buon proposito di prudenza (gene, peraltro, la prudenza, assente nella lacunosa perigliosa accidentata mappa dei miei talenti). Del resto - mi sono detta di buone intenzioni è lastricato l'Inferno e non solo! Buona anche l'intenzione di Baricco che con la dotta diatriba sul Romanzo (solo onciali si usino per il giovin Signore!) mirando, alla vetta più alta del Parnaso, sulla scia di Dante «o buono Appollo... infino a qui l'un giogo di Parnaso assai mi fu: ma or con amendue m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso» s'è trovato a sguazzare nella Stigia Palude tra ranocchi affamati più che piranha, straziato dal loro sciagurato ritornello proprio come il miserello servo di Dioniso, Xantia, nella felice (ma umida!) commèdia d'Aristofane. La nobile Diatriba avviata da Baricco sulla pregevole pagina di tuttolibri, (diatriba nel significato univoco del greco diatribein: passar tempo, perder tempo,) smarriti i nobili panni letterari, reietto l'alloro sacro ad Apollo, mi pare che più oggi offra gli intrugli culinari d'una Satura lanx, il ghiotto piatto dei Latini che ghiotti bocconi offriva all'abbrancaggio di gole voraci trapaignia triclinari e scurrili iocularia fescennini: Ricci di spine acconci, l'acciuga di Falera cara a Tritone, ostriche tutto succo, punte di porco, e, a coronar la cena, vulva di scrofa e tenero stuolo d'uccelletti arrosto. Baricco nella sua nobile addotrinata dissertazione (meglio Satura lanx) ha imbandito pietanze letterarie tuttosucco, degne della sua celeste gola, ma sospette al palato dei lettori, provvidenzialmente, di questi tempi, a dieta ferrea dalle colesteroliche pagine di certa narrativa, di certa superfetazione critica, di certa pericolosissima quanto avvenente poliposi semantica, di certa procefalia saggistica. Una Satura lanx, la Sua, dove pietanze letterarie, in sé buone, nella farragine della fattura, nell'accidente degli ingredienti, diventano micidiali come la botulina dei cibi avariati. Cellule latitanti d'un latitante ectoplasma letterario. Il lettore brancola nel labirintico struggimento letterario di Baricco, cerca disperatamente un to la Crisi della Fiducia, la Crisi della Credibilità, la Crisi Occupazionale e la Crisi della Rai». «E la Crisi delle Istituzioni?». «Non concorreva. Troppo snob». Una timida vecchina in costume da bagno nero molto accollato cominciò a sollevarsi dal suo candido telo di spugna con l'evidente intenzione di attaccare discorso. «Vieni via, vieni via, non ti fermare». Le sorrisero affabilmente ac- * * •M filo d'Arianna che soccorra lui, imprudente rampollo di Teseo, certo animato da sinistro cupio dissolvi, e si chiede perché mai il nobile scrittore non lo destini a sé il cilicio, risparmiando così le tenerelle e incaute carni dei lettori del prezioso inserto Libri. Non entro nell'augusto concerto di voci dotte che dottamente hanno inquisito archetipi tipologie patologie del Romanzo. All'autorevole saturnino (si spera) Angelo Guglielmi affido un verso di Rimbaud da Soleil et Chair «Je regrette les temps de l'antique jeunesse». Perché? Perché le sue note, dotte ed eleganti, tradivano un autunno critico pur nella lumèra d'una albagia semantico-lessicale di sempiterna giovinezza. Il resto lo affido a lui: intelligenti pauca! A Baricco, cui m'accomuna solo un mero accidenti d'età anagrafica, non certo la penna (la sua elegante forbita, la mia avventurata spinosa come l'agave che fiorisce sulle sciare del Vulcano) non certo il passato (quello suo di enfant prodige, il mio di enfant terrible) non il presente (il suo aureo e benedetto, il mio oscuro e sconsacrato di filologo di provincia, di grecista part-time come le operaie cassintegrate) voglio ricordare un distico che già fu d'un motivet.to: Un buon Romanzo, Baricco, si fa ma non si dice si fa ma poi si tace! il Silvana Grasso celerando l'andatura e lasciandola lì, semi inginocchiata. «E' la Crisi delle Vocazioni Religiose». «Oh per l'amor di Dio!». Quando videro la grande tenda quadrata laggiù in disparte, isolata dalla massa plebea degli ombrelloni a spicchi, si fermarono indecise. «Tu dici che facciamo bene a riverirla un momento?». «E' pur sempre lei la regina, r.o?». Sotto l'ombrelbne di Frutterò e Lucentini tra bikini e Grandi Problemi Due lettori CARO BARICCO NON CI CONVINCI E FAI PURE CONFUSIONE «D'accordo ma restiamo poco, un frizzantino e via». La Crisi dei Valori troneggiava in una vasta poltrona di vimini, con un'espressione a dire il vero più materna, benevola, che solenne. Una vecchissima, mitica signora che dominava la spiaggia da tempo immemorabile. Porse alle due nuove venute una mano grinzosa e inanellata e le presentò alle altre ospiti del momento: la Crisi Valutaria, la Continua la polemica anche su «Repubblica» «Manifesto», «Giornale» Sergio Pent IL NUOVO E' FARSI LEGGERE L'ANAGRAFE NON CONTA GARO Baricco, ben venga una ventata di novità nella nostra narrativa. Tutto sta nel definire esattamente i contorni del nuovo e se ancora sia possibile usare tale termine riferendosi agli attuali canoni narrativi. D'accordo, l'eclettismo, la stravaganza, le idee a valanga, il «diverso» - ma quali sono i confini della diversità? -, la sperimentazione portano talvolta frutti generosi come quelli che tu citi: Màrquez (ma non quello degli ultimi libri), Bermi, Hrabal, ma quanto di tutto ciò rappresenta veramente il risultato di idee «nuove»? Quello a cui forse ti riferisci è la secchezza inventiva di gran parte della nostra narrativa, ma questo fa parte del gioco di cui sopra: lo svecchiamento è ancora di là da venire. Il nuovo, secondo me, è ciò che sa farsi leggere sempre con piacere, da un punto di vista di godibilità puramente narrativa, e in questo l'anagrafe c'entra poco. E per me sono nuovi in tal senso John Irving come McEwan, Ishiguro come Coraghessan Boyle, Mo come Pennac, Vonnegut come Percy, Auster come il compianto Arpino, e sono altresì nuovi, perché è sempre identico il gusto di rileggerli, Bellow come Cechov, Hemingway e Celine, Fitzgerald, Nabokov e altri ancora. Ognuno di essi è stato nuovo nel suo discorso e nei suoi temi, nello stile come nelle storie. Ma sono le capacità innate di sfruttare l'ispirazione quelle che creano la novità, così come sono le suggestioni personali filtrate dalla fluidità del discorso a rendere più o meno godibili le intenzioni. Per questo non puoi incoraggiare - secondo me - i nostri narratori ad osare di più. Cosa significa «osare di più»? Non certo schifare il lettore con tui^itudini gratuite come quelle di Ellis (mi stupisce una tua predilezione in tal senso); a questo punto, anche narrativamente, ritengo assai più nuovo, leggibile e complesso uno Stephen King. Sono un fautore della diversità in letteratura, della ricerca tematica, del simbolismo dei personaggi, della complessità delle trame e dell'incrocio narrativo tra personaggi e situazioni diverse, magiche, paradossali, vive: questo perché, se ben calibrate, sono le caratteristiche in grado di generare romanzi perlomeno leggibili. In questo il narratore Baricco ha finora vinto le sue scommesse. Ma quando usi - certo con sincerità genuina - il termine «nuovo» anche riferendoti ai tuoi romanzi, permettimi di farti notare che Bioy Casares e Donoso, Cortàzar e Perec, Ballard e Pynchon, Mutis e Coetzee, Onetti e Wilcock e la Ortese forse avrebbero qualche obiezione da avanzare in tal senso. Il discorso, credimi, è di Capacità e di Creatività, più che di Novità. Sergio Pent Crisi dell'Editoria, la Crisi del Sesso, la Crisi dei Centri Storici e la Crisi dei Servizi Segreti, straripante nel suo esiguo costume multicolore che non nascondeva nulla. «Una pizzetta?». «Volentieri». L'offerta veniva da una donnetta coi capelli grigi raccolti in una crocchia, il volto tirato, un informe copricostume che faceva piuttosto grembiule. «E chi è, la sua cameriera?». «Non la riconosci? E' la Crisi del Romanzo». «No, non ci posso credere! Io ero rimasta che aveva avuto una paresi gravissima e muoveva solo il mignolo sinistro». «Già, ma si è un po' ripresa con la fisioterapia, si è fatta un lifting e ancora trotterella qua e là, s'intrufola dove può, trova sempre qualcuno disposto a rimetterla nel giro». «Ma non si regge in piedi, la povera! Francamente, mi fa venire il magone». «A chi lo dici. Ma cosa vuoi, è così minutina, così discreta... Basta battere forte le mani e lei scompare, si ritira nella sua provincia e non si fa più vedere per altri dieci anni. Come si può negarle un aperitivo?». Carlo Frutterò Franco Lucentini Gaetano Cappelli POVERO BELLOW CHE NON STA IN CALIFORNIA DUNQUE, dopo l'ultimo articolo di Guglielmi su Tutto libri sappiamo che in Italia è impossibile scrivere ro I manzi perché «non vi sono né i fatti né la lingua per alimentare una propria autorevole tradizione narrativa». Mettiamoci l'anima in pace: gli unici legittimati a scriverne, di romanzi, sono gli americani, «più marcatamente» quelli «della costa del Pacifico dove, secondo Braudel, la Storia si è spostata». Immaginate lo sconforto di Roth, Bellow, Updike e Wolfe, più tutti gli scrittori giovinastri che si ostinano a vivere dall'altra parte dell'America, quando lo sapranno. Mentre per gente come Kundera, Rushdie, Le Carré, McEwan, che prima di Guglielmi - e Braudel, certo - pretendevano di scrivere romanzi, mi pare evidente che il destino è segnato. Per noi italiani, che volete, va male dal «lontano Cinquecento». La nostra letteratura non conosce la tradizione del grande romanzo inglese, francese, russo; la nostra è una cultura provinciale. E' sempre Guglielmi a dirlo. Ma si può vilipendere così la patria? «Guglielmi, è troppo!» urla infatti il titolo su «Repubblica» e uno pensa: vedrai che adesso gliene cantano quattro, gli diranno che in America perfino Calvino, Eco, Calasso sanno chi sono. Macché l'articolo è di Arbasino: il solo torto di Guglielmi è spacciare per sue scoperte personali le stesse cose che lui, l'autore di Fratelli d'Italia, ripete da decenni. Come non accorgersene visto che oltre a riscrivere lo stesso libro, Arbasino sono trentanni che scrive sempre lo stesso pezzo? Mala fede, signora mia. Figuriamoci, Guglielmi non fa caso neanche ai suoi di pezzi. Sull'Espresso del 25 luglio, per esempio, aveva detto meraviglie di Oceano mare, un ((romanzo» denso di storie che celebrano «l'uomo e le sue avventure», di personaggi tutti «straordinari a ciascuno dei quali Baricco affida un impossibile segreto impegnandoli a custodirlo gelosamente. E uguale impegno lega (e conforta) noi lettori». Quale autore non sarebbe contento di un simile peana? Sennonché appena due settimane dopo, ancora nel pezzo su Tuttolibri, ecco che gli stessi «personaggi straordinari» creati dal povero giovane per il critico ((tendono a disfarsi sotto l'attacco di un lirismo non controllato, di una violenza espressiva (di una ricerca di effetti sonori) tanto ambiziosa quanto sventata», e che anzi, a dirla tutta, Oceano mare non è neanche un romanzo, o al più è «un romanzo mancato». Il Guglielmi è talmente disgustato da consigliare Baricco - che sarà pure ((vispo», ma a questo punto ci sarà rimasto di merda - di cambiar genere, di scrivere racconti invece? Gaetano Cappelli