LA MOSSA DEL DESTINO

LA MOSSA DEL DESTINO LA MOSSA DEL DESTINO «La variante di Lùneburg», due vite su una scacchiera Uombra dell'Olocausto, tra giallo e metafisica SEMBRA che i lettori, più ancora dei critici, stiano appassionandosi, per via di un tamtam che risulta ogni volta imprevedibile, alla Variante di Lùneburg, il libro d'esordio del cinquantenne Paolo Maurensig. Un libro non facile e, come dirò, non perfetto, ma certo tra quelli significativi dell'annata letteraria. Il fatto lascia bene sperare sulle correnti segrete di quell'entità sconosciuta - il pubblico dei lettori - che spesso sembra reagire soltanto ai richiami della presunzione e della futilità. Nella narrativa moderna la partita a scacchi assume il significato di una sfida ineluttabile e ultimativa, di forte valenza simbolica. Penso éSì'Alfier nero del nostro Arrigo Boito o alla Novella degli scacchi di Stefan Zweig, centrate a così lunga distanza di anni sul tema dell'opposizione e persecuzione razziale, là il negro e qui l'ebreo. Ed anche Maurensig, che ci ricorda come l'invenzione del gioco sia legata a un fatto di sangue, ubbidisce a certi stimoli, proseguendo idealmente il racconto di Zweig. Lùneburg parte con il suicidio di un industriale tedesco, certo Frisch, che avviene nel parco di una villa, su uno spiazzo a forma di scacchiera, dopo aver tentato nella notte, al tavolo da lavoro, un'ultima partita. Cos'è che ha portato al IL 25 dicembre 1951, Yukio Mishima si imbarca sulla President Wilson cane inviato speciale del giornale Asahi Shinbun, per il primo dei suoi viaggi intorno al mondo. In Giappone lo scrittore è un «isolato di successo»: ha già pubblicato la raccolta La foresta in fiore, i romanzi Confessioni di una maschera, Sete d'amore, L'età verde, Colori proibiti, numerosi racconti, drammi e saggi, ma ha la sensazione di trovarsi in un momento cruciale della vita. Sente «l'urgente necessità di andare all'estero» e confessa: «Ero nel pieno di una crisi emotiva, avevo bisogno di scoprire un uomo diverso in me» (da I miei vagabondaggi). Il viaggio a lungo desiderato durerà fino al maggio successivo e darà origine al libro La Coppa di Apollo, ora in traduzione italiana con altri due diari inediti e con il testo di una conferenza letta durante un congresso alla California University nel settembre del 1961. E' un Mishima insolito quello dei resoconti di viaggio, lucido, per niente morboso, a tratti felicemente ironico, in trepida attesa della scoperta, predisposto al nuovo e al diverso, al già conosciuto ma solo da lontano attraverso l'arte e la letteratura. Aspetta emozioni nuove e suggestioni insperate, pregusta le conferme, ma è anche pronto alle possibili rettifiche. Si dichiara malato di eccessivo sentimenta lismo e intende sperperare la sensibilità, consumarla tutta. Il primo impatto è alle Hawaii: Honolulu è la materializzazione delle immagini pubblicitarie delle riviste patinate. La vita frene tica di New York lo coinvolge fin quasi allo stordimento: visita musei, assiste a spettacoli (film, commedie musicali, opere liriche), frequenta i bar di Harlem. Impressioni di New York? «E' Tokyo fra cinquecento anni». In Sud America l'interesse si sposta sul terreno socioeconomico. A San Paolo le finestre delle case sono come palcoscenici aperti su interni sordidi, ma «i brasiliani non si vergognano della povertà». Il fantasmagorico Carnevale di Rio, vissuto senza inibizioni dai negri, non riesce e nascondere l'intimo desiderio di diventare bianchi, di essere diversi. Mishima è rapito dalla prodigiosa bellezza paesaggistica della natura brasiliana e dalla luminosità delle nuvole tropicali colpite dal sole. Alla straordinaria mm m scienza offesa del padre adottivo, delineando un percorso sghembo che è la visibile scommessa del libro. Apprendiamo che in una delle sue esibizioni intemazionali Tabori ha conosciuto a Baden Baden l'avversario predestinato, e subito il racconto lascia affiorare le sue accensioni metafisiche: «Credo che ciascuno di noi abbia, in qualche parte del mondo, il suo antagonista, l'alter ego negativo, come ciò che si oppone ai Santi Nomi dell'Albero della Vita: la Qlippah, di cui i saggi sconsigliano persino di pronunciare il parossismo, fino a bruciarla ed esaurirla, la sua passione dominante? Perché il gioco si è spezzato davanti a una combinazione di mosse che si intuisce dotata di un lancinante valore evocativo? L'avvio del romanzo, che ha la cadenza secca e fattuale di un «giallo», cede quasi subito al flusso del ricordo, dal momento in cui il signor Frisch, alla vigilia della morte, incontra in treno (pronuba l'immancabile scacchiera) un giovane sconosciuto. Questo Hans Mayer si rivela espertissimo del gioco e, solleci¬ tato, racconta la sua storia. Parla di sé e della precoce iniziazione agli scacchi, delle lezioni di un maestro che, oltre a introdurlo in quel mondo di assoluta e stremante tensione mentale attraverso una disciplina severa, lo adotta come figlio e, senza che egli lo sappia, come personale giustiziere. La «variante di Lùneburg», una spericolata strategia che gli ha insegnato, permetterà ad Hans di riconoscere il suo uomo. A questo punto il romanzo - il figlio - cede la parola alla co¬

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