JEAN COCTEAU sulle rotte di VERNE di Gabriella Bosco

OCTEAU OCTEAU sulle rotte di O el a a a el e rmno o n u e l e ò , à n e o si piquesto suolo ida cui il marmtili, grossi fiorre, e in cui sradici. - «Ecco», d«come procedno». Non si trgreco. Quel busto,di notte, che terminabile dcui è fatta la sduceva nelle fnei bre, e strangcollo mentQuzione la come un mulino sotto una cascata. Mi rivedo con Picasso, quando di notte tornavamo dall'hotel Minerva dove abitavano i ballerini russi al nostro hotel in piazza del Popolo. Preferivamo la Roma del chiaro di luna perché è di notte che si vede come una città è fatta. E' vuota, gli uomini non ne disturbano la scenografia in scala. Rimpicciolisce, ti si fa più vicina, e le facciate più nobili non esitano a venirti a parlare all'orecchio. Di notte, è chiaro: Roma la città pesante, la matrona, sprofonda poco alla volta, sotto il peso dei suoi monumenti e delle sue statue. La vedi lì a mezzo busto, mentre si issa sui gomiti con tutte le sue forze, e gonfia i nodi della sua muscolatura da schiavo di Michelangelo. Venezia, metà donna metà pesce, è una sirena che si scioglie in una palude dell'Adriatico. Roma, lei, tante volte sepolta e dissepolta, continua il suo sprofondamento solenne. Non vi è nulla che non penda, nulla che non ceda, che non si assesti e non si scavi la propria fossa. Roma non mi commuove. Mi confonde. Il canto delle fontane smaschera la città vera, necropoli che si sottrae alla zappa dell'ex manovale Mussolini. Strati e strati di scheletri, larve, carestie, febbri, pesti, Veneri catalettiche che dormono ad occhi aperti, gioielli che portano male, e iettature funeste. Roma di notte! Non riesco a stancarmi di percorrerla. Forse è lei che ci trascina per la giacca. Vuole seppellirci. Lmpedirci di prendere il treno per Brindisi. Ci sentiamo inghiottiti da una piovra. Qui tutto sembra ubbidire al pollice verso dell'Imperatore il cui gesto finisce il vinto come si carica una pipa o come si pianta un seme. si pianta un seme in questo suolo imbevuto di sangue da cui il marmo slancia steli sottili, grossi fiori pallidi senza odore, e in cui sprofonda tortuose radici. - «Ecco», dico in una poesia, «come procedeva il busto romano». Non si trattava di un busto greco. Quel busto, io lo immaginavo, di notte, che srotolava il filo interminabile di tutte le linee di cui è fatta la sua massa, lo introduceva nelle fessure delle porte e nei buchi delle serrature, e lo annodava, per strangolarlo, intomo al collo dell'uomo addormentato. Questa corsa tra due treni e due sonni non cambia il mio modo di vedere. Il fascismo ha fatto pulizia con il vuoto. Ne risulta, a New York e a Chicago, una riproduzione abbietta dei costumi del Rinascimento italiano. I gangsters, i loro prìncipi, le loro donne, i loro sicari, i loro uccisori fragni alla Lorenzaccio, le loro cotte di maglia, i loro veleni, le loro false cortesie, i loro scambi di corone mortuarie, e le loro tregue quando Caruso canta la Tosca, in tutto questo io riconosco Roma e Firenze che si trasferiscono. L'anima di un Paese non cambia. E' lei che ci osserva da dietro i palazzi blindati, da dietro quella calma, da dietro quella disciplina, da dietro quelle uniformi romanzesche, da dietro la maschera tragica e comica del Duce E' lei che ascolto stanotte, soffocare, balbettare, confessare, rivendicare, nell'acqua di luna delle fontane. Altoparlanti annunciano l'a vanzata delle truppe e la presa di Addis Abeba. Ma un altoparlante altro nun è, dopo tutto, che un uomo nascosto che parla sotto minaccia. Le fontane libere sgor gano da più lontano. Zampillano al di sopra delle censure, e il loro vapore leggero scolla i manifesti. Vi ho capite bene, fontane di Roma. Stanotte, niente vi disturba. Il padrone è fiero delle vostre bocche scolpite; non pensa a soffocarvi in gola quello che confessate. Jean Cocteau ©: Cocteau, Tourdu monde en 80jours, Gallimard, 1936 (trad. Gabriella Bosco)

Persone citate: Cocteau, Duce, Jean Cocteau, Mussolini, Picasso, Strati