Marlboro «made in Italy», esterofilia addio

Marlboro «made in Italy», esterofilia addio Il Monopolio di Stato produrrà nel nostro Paese sigarette su licenza dell'americana Philip Morris Marlboro «made in Italy», esterofilia addio Diventa sempre più difficile individuare le origini dei prodotti STRANIERO MA SOLO Pi ER gli irriducibili dell'esotico, per gli esterofili-ultrà un altro duro colpo. Presto saranno in vendita le Marlboro «made in Italy», grazie ad un accordo concluso ieri tra i Monopoli di Stato e la società americana Philip Morris. Panorami selvaggi, rudi bravate di cow-boy supermachi arcisicuri di sè, immagini di sfida e di successo: per i fumatori italiani, e anche - ahiloro per gli italiani non fumatori, le Marlboro sono tutto questo e anche di più. Si fa fatica, ma sarà così, ad immaginarle prodotte e inscatolate nei ben più grigi scenari industriali dei Monopoli di Stato: gli stessi, per intendersi, che sfornano le tristi «Nazionali». Perderanno un po' del loro fascino? Del loro richiamo alla wildAmerica? Ma forse gli stessi malati di esterofilia si sono lasciati sfuggire, lo scorso giugno, il rinnovo delle licenze per la produzione «made in Italy» anche per le siga¬ rette «straniere» «Muratti», «Diana» e «Mercedes». L'accordo tra la Philip Morris e l'azienda Tabacchi, significa una produzione, su licenza, fino ad un consistente volume di oltre 4 milioni di chilogrammi di «bionde». Chissà se gli inconsolabili afecionados della Marlboro si lasceranno almeno consolare dalla notizia che questi contratti porteranno benefici effetti all'occupazione e che si potrà contrastare l'italico fenomeno del contrabbando, come informa il ministero delle Finanze. Da anni il «made in Usa» fa proseliti tra i teen-agers (e non solo) italiani per tutta una serie di prodotti, anche dove l'Italian style ha avuto un ruolo leader, come nel campo della moda. Tutto ciò che suona americano, o comunque straniero affascina e quindi «tira», non importa se poi magari il mito del selvaggio boscaiolo è appagato solo dal richiamo del nome, nonostante l'italianissima produzione, come è suc¬ cesso per le rustiche calzature Docksteps, Tod's, o per i jeans Jesus. Hanno nomi anglofoni anche molti marchi di moda maschile, raffinata o casual: i capi d'abbigliamento firmati Brooksfield, ad esempio, hanno la luce non lungo il Tamigi ma sulle più nostranesponde del Po. Italiani poco sicuri di sé e quindi, di conseguenza, anche poco orgogliosi del loro «made in Italy»? Forse semplicemente una questione di tendenza, di moda, di status symbol, complice la capacità persuasiva della pubblicità. In tempi di mercati globali, d'intrecci senza frontiere tra i pacchetti azionari, non sembra aver più senso ostinarsi a riconoscere un prodotto in base alla sua nazionalità e non piuttosto alla sua qualità. Qual è l'appeal dei prodotti cosmetici Orlane? Il loro nome francese o il capitale italiano che ne permette la produzione? I furgoni che escono da uno stabilimento del Sud d'Italia sono marchiati Fiat, Peugeot, Alfa Romeo, ma nascono dallo stesso connubio: capitale misto italofrancese, tecnici italiani, ricerca italo-francese, e sono praticamente uguali. Eppure ci sarà chi esalterà la superiorità dell'uno o dell'altro in funzione di un'apparente, e inesistente, origine straniera. Non mancano i maghi abili nell'arte di mescolare le carte del «made in Italy». Uno di questi è senz'altro Luciano Benetton, bravissimo nell'intrecciare razze e colori, ma soprattutto le produzioni di ogni parte del mondo. Ultima sua conquista, la produzione in fabbriche cubane, di vestiario e calzature, rigorosamente marchiate «made in Italy». Stefanella Campana Non ha confini la produzione «made in Italy» di Benetton (a sinistra) Resisterà il mito del macho simbolo Marlboro?

Persone citate: Luciano Benetton, Muratti, Philip Morris, Philip Morris Marlboro, Stefanella Campana

Luoghi citati: Italia, Usa