botero sulle Apuane porte del Paradiso

sulle Apuane porte IL LUOGO. L'artista colombiano è innamorato di Pietrasanta: ogni anno, tre mesi di vacanza e di lavoro sulle Apuane porte del Paradiso EPIETRASANTA ERNANDO Boterò arriva in vespa al bar Michelangelo, il suo preferito nella piazza di Pietrasanta, che è solo a pochi chilometri all'interno della Versilia, eppure sembra appartenere a un altro mondo. E' mezzogiorno e sono poche le persone sedute ai tavolini del bar: alcuni si girano a salutarlo, i più si limitano a registrare la sua presenza in bermuda e camicia ben stirata con qualche sguardo curioso. «Pietrasanta per me è una mescola de vacanza e de lavoro, molto piacevole», dice l'artista colombiano con il suo italiano gradevolmente cosmopolita che scivola nello spagnolo e nell'inglese. Di lui, sui cataloghi di tante mostre importanti nel mondo, c'è scritto che vive tra Parigi e New York, ma In realtà passa tre mesi l'anno anche a Pietrasanta, dove arriva la prima settimana di giugno e si ferma tutto «el verano», tutta l'estate, fin dal 1975. «Era l'anno che Lipchitz veniva da morire (cioè era appena morto), e il mio mercante di New York, Pierre Levai, mi ha chiesto di accompagnarlo qui a vedere la vedova. E così ho scoperto questa città che è fatta per gli scultori. Ho visto le fonderie prima, poi il marmo, e tutte le possibilità che aveva... E a parte questo ho visto che aveva uno charme incredibile». Boterò parla di un grande scultore come Jacques Lipchitz che qui è considerato una figura storica, insieme con Marino Marini e Henry Moore, per tanti anni ospiti di questo posto. Ma non erano certo i primi. Alziamo gli occhi alla targa sopra l'insegna del bar, dove si legge che quella casa ha ospitato Michelangelo, quando veniva a prendere il marmo delle Apuane per il monumento funebre a Giulio II. Ma anche se Boterò la chiama città, Pietrasanta è solo un piccolo, bellissimo paese toscano che ha la più sofisticata tradizione nella lavorazione del marmo e del bronzo. E che ogni anno, da ogni possibile punto sul mappamondo, attira scultori di tutti i generi, studenti di accademie e nomi affermati a lavorare nei suoi laboratori, soprattutto d'estate: quando di giorno si può fare anche una gita in spiaggia, e di sera si sta tutti insieme a spettegolare di mostre e di compensi favolosi, di beghe e di progetti, seduti ai tavolini dei due bar che occupano una parte della piazza principale e che quasi si toccano. Scegliere il bar Iris (che qui quasi tutti pronunciano Airis) fino a pochi anni fa era una specie di manifesto ideologico, significava schierarsi dalla parte degli americani e degli espressionisti astratti: gli artisti figurativi andavano al Michelangelo. Ora che c'è crisi non si va più tanto per il sottile. Ma i pettegolezzi restano, e l'ultimo, che in questi giorni tiene occupata tutta la variopinta comunità, riguarda proprio questo artista colombiano con il pizzo tenorile e l'aspetto levigato, elegante e sicuro di sé. Il pomo della discordia è un affresco che Boterò sogna di dipingere da qualche tempo. «Ho detto due anni fa che volevo fare un regalo a questa città, che amo moltissimo. Allora il dottor Mauro Gioii, presidente della Misericordia, mi ha detto che se volevo lavorare nella chiesa che hanno qui in via di Mezzo, sarei stato il benvenuto. E' una chiesa del '700 che non ha nessuna distinzione architettonica, è soltanto un po' vecchia. Ci sono dentro opere del '700, dell'800 e del '900, anche bruttissime, fatte male proprio perché tutte sciupate. Io non avrei mai proposto di lavorare in una chiesa antica che ha una coerenza stilistica perché credo che si debba rispettare l'integrità stilistica di un posto. Siccome questa chiesina non l'aveva, ho pensato che era una buona idea lavorare lì». Invece le cose hanno cominciato a complicarsi. «Ho avuto un problema con la Sovrintendenza perché si sono opposti all'idea che lavorassi in una chiesa antica. Non so, in questo caso penso che dovrebbero essere flessibili, visto che ci sono opere di questo secolo in chiesa... In tutte la maniere abbiamo trovato un compromesso che sarà un pannello mobile, che si può staccare dal muro. Ma tutti gli affreschi, anche se si fanno sul muro, si possono staccare». Gli attoniti ciccioni C'è stata una perizia, si è discusso, e si è deciso che Boterò avrebbe potuto dipingere due grandi scene popolate dai suoi attoniti ciccioni - la Porta dell'Inferno e la Porta del Paradiso - su un muro preparato in modo particolare, con un supporto in rete metallica e un telaio in acciaio... «E allora si farà così. Ma per me sarà più difficile. Perché il tempo che permette l'affresco quando si fa direttamente sul mattone è di sette ore di lavoro. Quello della rete metallica e del cemento è di due o tre ore di lavoro. Allora io devo lavorare en handicappé: non è lo stesso avere sei o sette ore per fare un pezzo che invece devi fare in due o tre ore. Ma poiché voglio farlo, lo farò. Mi prenderà un mese e mezzo, due mesi quest'estate. Ma voglio farlo: prima di tutto perché è un gesto verso Pietrasanta; secondo, perché dipingere a fresco è un'esperienza meravigliosa». Di quel gesto tanti a Pietrasanta farebbero volentieri a meno, in realtà, ma di questo non bisogna stupirsi perché il consenso non è mai stato la virtù di nessuna comunità aitistica variegata come questa. E poi un po' di mvidia deve pure accompagnare un artista che ha avuto tutto il successo che si possa sognare: qua¬ dri e sculture nei musei di tutto il mondo, mercanti a Roma, a New York, in.Giappone, in Svizzera, in Germania, in Francia e in Belgio pronti a vendere le sue opere a centinaia di migliaia di dollari, pezzi battuti in asta per cifre a nove zeri, e una moglie dalla bellezza esotica e fatale come la scultrice greca Sophia Vari. «Invidia... well, una cosa che vedo è che - e deve essere così ogni artista crede soltanto nel proprio lavoro. Perché se crede al lavoro di un altro, allora si fa come l'altro. Ogni artista deve avere un'idea molto esclusiva, molto radicale di quella che è l'importanza del proprio lavoro, che esclude quello degli altri. Deve essere molto egoista: è buono che sia così. Ed è per questo che è molto difficile avere una vera relazione con gli altri artisti... Si può avere soltanto se c'è qualcuno che ama tanto il tuo lavoro, ma allora diventa poco interessante. Per questo qui a Pietrasanta non ho tante amicizie tra gli scultori. Non mi metto con nessuno. Io faccio il mio lavoro molto tranquillamente, ho la mia attività, e sono molto contento. Quello che pensano gli altri mi lascia completamente indifferente». Ma qui a Pietrasanta, Boterò, c'è gente che ha preso carta e penna e ha firmato lettere contro di lei, sostenendo che il suo affresco avrebbe rovinato la chiesa della Misericordia, e che il bronzo del Guerriero che ha regalato alla città due anni fa è un'opera bruttissima. Non le è dispiaciuto? «No, no no: mi lascia indifferente. Mi sembra "pittoresco". Qui nessuno regala niente, e quando si vuole regalare qualcosa, come la statua del guerriero, tutti ti danno addosso. Io non l'ho fatto per pubblicità: che pubblicità si può avere a Pietrasanta, per trovare magari dei contratti? Niente! Eppure il mio lavoro costa, e anche la fusione del bronzo costa parecchio, e li ho regalati. Con tanti artisti che ci sono qui, sarebbe bello che tutti facessero qualcosa per Pietra- santa, ma nessuno fa niente. E appena qualcuno vuole fare qualcosa, si fa una gran confusione, come con questa storia dell'affresco. Anche se è una cosa che non costerà una lira a nessuno perché pagherò tutto io. Questo è il problema della pittura a fresco: che i muri non appartengono all'artista, non è come la tela, che uno se la compra e ci fa sopra quello che vuole. Ma io ho tanta voglia di farlo che niente mi fermerà: lo farò». Il più grande dei clienti Permetta allora una domanda impertinente: ce li ha degli amici in questo paese che ama così tanto? «Bueno, abbiamo della gente conosciuta, ma amici no perché ci piace molto stare tète-à-tète. Abbiamo qualche amico, sì, a Forte dei Marmi, oppure a Firenze e a Lucca, ma a Pietrasanta viviamo per conto nostro, perché siamo molto impegnati. Anche mia moglie lavora, uno non ha il tempo di fare amicizia». Tutte le estati, in realtà, Boterò riceve ospiti da Parigi e dagli Stati Uniti, e per un mese almeno anche i tre figli che ha avuto da un precedente matrimonio, con la loro tribù di bambini e bambinaie. Sono 14 persone per le quali non c'è posto nella casetta rosa che l'artista ha comprato 12 anni fa sulla collina sopra la piazza del paese da cui si vede il mare e tutta la grande piana sotto le Apuane. Allora Boterò affitta il pianterreno di una grande casa vicina, che ha collegato al giardino della sua con un ponte, e là mette tutti i bambini. Appena più sotto c'è un'altra casetta rosa che è il suo studio, dal cui giardino si può vedere il Duomo e la chiesa di Sant'Agostino godendosi il profumo dei gelsomini e la brezza salmastra che arriva fin quassù. E' un mondo perfettamente ordinato, organizzato attorno al lavoro. «Io mi levo verso le otto, le otto e mezzo, e alle nove sono pronto per cominciare a lavorare. D'abitudine prendo la vespa e faccio il giro di due, tre fonderie per vedere come vanno le cose, e alle dieci, dieci e mezzo, sono nel mio studio, a lavorare fino alle due. Poi, se il tempo è bello, prendiamo la vespa o andiamo in bicicletta al mare, al bagno Rosina. Sono quindici anni che si va lì, sempre la stessa tenda, la stessa cabina, anche la clientela è sempre la stessa. E' incredibile perché passano gli anni e vedi queste bambine che diventano delle belle ragazze... e tutti con un po' di capelli bianchi in più. Il proprietario Raffaelli è molto simpatico, e ci fermiamo di solito a pranzo lì al Rosina. Poi verso le quattro e mezzo torno a casa, lavoro fino alle nove, e la sera andiamo al ristorante. Noi andiamo sempre al ristorante, due volte al giorno, a Pietrasanta, a Parigi o a New York: non si fa mai da mangiare in casa, mai. Prima di tutto perché Sophia non sa cucinare, e poi anche se abbiamo la cameriera ci piace così». Non è difficile capire che Boterò deve essere il più grande cliente di Pietrasanta, e non solo dei suoi deliziosi ristoranti come «Sci», «Il gatto nero» o l'«Enoteca», ma soprattutto delle fonderie che lavorano a ritmo continuo per le sue opere. «Marmo ormai ne faccio pochissimo. Troppo pesante, troppo delicato, molti problemi, di trasporto e tutto questo. Se uno spedisce una scultura in America Latina o negli Stati Uniti - non a New York, perché lì tutto es posible - e si rovina, poi bisogna rispedirla in Italia per il restauro». Invece col bronzo è più semplice, l'artista fa un bozzetto di solito sotto il metro, con un'armatura flessibile. «Poi a partire da questo modello se ne fa uno più grande, di solito il doppio, più preciso, con più particolari. E dopo si fa la scultura monumentale della grandezza che si vuole con l'aiuto di assistenti: a questo momento tutta la creatività deve essere risolta». Anche perché sono gli assistenti, di regola, a portare a termine l'ultima e definitiva parte del lavoro. «E' sempre stato così: Canova aveva 50 persone nel suo studio, Bernini più di cento, Rodin ne aveva 20 o 30. Ma la pittura è diversa, per la pittura non ho mai avuto un assistente in vita mia. Anche per l'affresco: solo un muratore per preparare il muro». Il muratore, che si chiama Mario, in questi giorni si sta preparando alla grande impresa, facendo prove su prove sulle pareti dello studio di Boterò. Dove lui poi dipinge con la tecnica che ha imparato da studente a Firenze qualche abbozzo dell'affresco: una testa di donna incoronata, due mani grassocce, una che tiene una sigaretta. Ma non è proprio un vero muratore, Mario, è il giardiniere di casa che ha imparato a fargli da assistente. E che la prima settimana di giugno, quando si riaprono le finestre della casa dopo l'ultima potatura alle bougainvillee, è il primo ad accogliere la coppia di scultori, curiosi di conoscere le ultime novità del suo paese. Non che ci siano mai delle notizie sconvolgenti. «Ogni anno dopo nove mesi di assenza chiedo a Mario, che è molto simpatico: qualcuno è stato ammazzato? La moglie di qualcuno è andata via con qualcun altro? No, no... niente, mi risponde. E io penso, accidenti, ma qui a Pietrasanta non succede mai niente... all'infuori dell'opposizione al mio affresco che sta facendo più rumore di un terremoto...». Livia Manera «Voglio fare un regalo a questa città, un affresco in una vecchia chiesa E ci riuscirò anche se l'opposizione al mio progetto fa più rumore di un terremoto» Nella foto in alto, una veduta di Pietrasanta. Qui a fianco, un'opera di Boterò. Nell'immagine grande l'artista in Vespa per le strade della città toscana. Nella foto in basso una delle sue caratteristiche sculture