Badoglio il «traditore» più fascista del Duce

Badoglio il «traditore» più fascista del Duce i retroscena dei quarantacinque giorni dopo la caduta di Mussolini Badoglio il «traditore» più fascista del Duce SI FUGGITO più volte e senza saperlo alla morte violenta (Ambrosio avrebbe voluto farlo «scomparire come I Matteotti», Acquarone era a conoscenza di un piano per toglierlo di mezzo con un po' di veleno, Badoglio aveva suggerito all'ispettore Polito di «dargli una spintarella» per affogarlo in mare), Mussolini compì i sessant'anni il 29 luglio '43 prigioniero all'isola di Ponza dove era stato portato in segreto due giorni dopo l'arresto. Alloggiato spartanamente nella stessa casetta in cui aveva fatto rinchiudere, nel '36, il ras abissino Immirù, per passare il tempo leggeva e annotava a matita rossa la Vita di Gesù di padre Ricciotti, ritraduceva dal tedesco le Odi barbare di Carducci per confrontarle con l'originale, faceva bagni di mare e cura del sole, giocava a carte con i carabinieri che lo sorvegliavano e attendeva che Hitler mandasse a liberarlo (anche se, quando gli prospettarono l'eventualità, si mostrò offeso: «E' una grande umiliazione. Si può davvero pensare che io possa andarmene in Germania a riprendere il governo con l'appoggio del tedesco? Ah, no, davvero!»). Il Fuhrer, che progettava quella liberazione, era sicuro che l'Italia avrebbe abbandonato l'alleanza e in quei quarantacinque giorni fra la defenestrazione di Mussolini e la resa dell'8 settembre mosse verso il Sud, attraverso il Brennero, Tarvisio, Cenisio, Piccolo San Bernardo e Ponte San Luigi, parecchie potenti unità - come la 44a divisione e la 136* brigata da montagna - che, in assetto di combattimento, gli elmetti con scritte inneggianti al duce, penetrarono in Italia, obbligarono i ferrovieri a far passare i loro convogli, si installarono in caserme e depositi e imposero i marchi di occupazione. Come annotò il conte Sforza nelle sue carte, quei quarantacinque giorni furono «il teatro della più dissennata politica della corona». Per prevenire qualsiasi protesta popolare, il governo Badoglio adottò misure draconiane: militarizzò il personale (delle poste, delle ferrovie e della radio), estese la legge marziale anche alle province del Nord non ancora dichiarate «zone di guerra», istituì il coprifuoco dal tramonto all'alba, vietò qualsiasi ti- po di riunione, anche in locali chiusi, proibì la circolazione delle auto private e fece obbligo a tutti i cittadini di essere muniti di documento di identità con foto. Notte e giorno le strade vennero pattugliate dall'esercito. Questa era la politica del re; e quando il 29 luglio si diffuse a Firenze la falsa notizia che era stata firmata la pace e un'immensa folla festante si riversò nelle vie, Badoglio, a stretto giro di telegramma con precedenza assoluta sulle precedenze assolute, ordinò alla pohzia di sparare a vista in caso di manifestazioni di massa. Ai pròwedimenti legislativi sullo scioglimento del partito fascista e delle sue organizzazioni e ad altri minori e di sola facciata (la soppressione del fascio littorio sulle banconote, l'abolizione dell'odiata tassa sul celibato e del saluto romano nelle forze armate, il mutamento delle denominazioni dei due ministeri più vituperati, quelli delle Corporazioni e della Cultura popolare) Badoglio ne fece seguire alcuni che, per il vero, avrebbero dovuto lasciare perplessi gli italiani: mandò a casa i consiglieri nazionali della Camera, ma non toccò il Senato dove i fascisti monarchici erano più deU'80 per cento; abolì il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, ma passò i suoi atti alla magistratura militare; col pretesto della carenza di carta vietò qualunque nuova pubblicazione; varò la censura preventiva; abolì il ruolo d'onore di caporale della Milizia (di cui erano stati insigniti Mussolini e Hitler), ma non sciolse la Milizia né le cambiò nome incorporandola invece nell'esercito; per non inimicarsi i tedeschi non abrogò le leggi razziali del '38 e, benché rimanessero «non operanti» - come disse ai dirigentidell'unione delle Comunità -, non fece distruggere gU elenchi comunali degli ebrei che, di lì a poco, diventeranno, nelle mani dei nazisti e dei fascisti di Salò, un tragico strumento per la deportazione a morte di oltre 7500 israeliti. Il fatto è che la corona e i militari volevano salvare innanzi tutto se stessi, arrivando a un armistizio all'insaputa di tutti (e in particolar modo di Hitler) senza che vi fossero interventi di estranei al potere. Ma erano partiti male. Intanto Vittorio Emanuele IH - regista occulto della complessa manovra per tenere celato a nemici e amici il tentativo di uscire dalla guerra - e i suoi fidi Acquarone, Ambrosio e Badoglio non avevano fissato un termine preciso per la resa né avevano cercato di aprire un canale serio e autorevole con gli anglo-americani: la decisione di contattarli direttamente fu presa dal re il 31 luglio (una settimana dopo l'arresto di Mussolini) e da quel momento diplomatici e generali vennero mandati allo sbara- glio nelle capitali neutrali - a Tangeri, a Lisbona, a Madrid - a mendicare un colloquio con qualche rappresentante inglese o americano (ma questi inviati erano privi di qualsiasi potere negoziale tanto che il generale Castellano, ritrovandosi di fronte ad Eisenhower, sarà costretto ad ammettere di non essere autorizzato a firmare l'armistizio). I rapporti con i tedeschi - che intuivano e talvolta prevenivano le mosse italiane - furono difficilissimi fin dal giorno dell'arresto di Mussolini («E' stato un tradimento di quel porco di Badoglio», spiegò il Fuhrer ai suoi generali) e vennero aggravati dalla crisi sul fronte della Sicilia, crollato completamente dopo 39 giorni di battaglia (l'ultima città importante, Messina, verrà conquistata da Patton il 17 agosto e diverrà subito evidente che il nuovo obiettivo alleato sarebbe stata la Calabria). Al convegno del 6 agosto a Tarvisio fra Guariglia e Ribbentrop, ministri degli Esteri, e fra Ambrosio e Keitel, capi di Stato Maggiore Generale - dopo che Hitler aveva sdegnosamente rifiutato di incontrarsi col re -, i tedeschi mostrarono apertamente di diffidare dell'Italia. Guariglia, messo alle strette con pressanti richieste di informazioni sul nostro futuro comportamento, fu reticente oltre misura e alla fine, su esplicita domanda di Ribbentrop, negò imbarazzato che fossero in corso «trattative ufficiali» per un armistizio. Malvisto dall'alleato, incapace di gettare le basi di un armistizio negoziato col nemico che pretendeva la resa incondizionata, il governo Badoglio fu ridotto a un organismo che copriva la dittatura personale del re, il quale non lo investiva delle questioni politiche essenziali, né gli concedeva di discutere e decidere. Badoglio era un esecutore di basso rango e del resto già quando il 26 luglio si era presentato con la Usta dei ministri, Vittorio Emanuele HI lo aveva liquidato dicendo: «Nessuno di questi signori. Ci vuole un governo di funzionari e tecnici». Il re, cui sarebbe piaciuto un fascismo senza Mussolini e un governo di fascisti «buoni», era soprattutto allarmato per l'affiorare nel popolo di critiche alla dinastia e del credito che riscuotevano i movimenti repubblicani. La richiesta insistente di pace e di libertà che saliva da tutti gli strati sociali del Paese era resa drammatica e impellente dall'offensiva aerea scatenata dagli anglo-americani sulle nostre città: l'8 agosto Milano fu bombardata quattro volte, ripetute incursioni avvennero su Torino e Genova, il 13 agosto i bombardieri si accanirono ancora su Milano con effetti devastanti e il giorno stesso toccò di nuovo a Roma che, l'indomani, unilateralmente, venne dichiarata «città aperta» (ma Radio Londra replicò che gli alleati non riconoscevano quello «status»). Per qualche giorno, dopo la caduta del regime, la stampa sembrò tornata Ubera, ma quando i giornali rivelarono gU illeciti arricchimenti dei gerarchi (col caso limite del patrimonio dei Ciano di oltre due mi!' "di e queUodeU'ex federale di Torino, Gazzotti, scoperto con 37 lingotti d'oro da un chilo e tre milioni in contanti) e gU amori clandestini del duce con Claretta Petacci, la Corte non gradì quelle notizie e se ne dolse col re. In un promemoria del 1° agosto il sovrano ammonì BadogUo che «questo governo deve conservare il proprio carattere di governo militare (...). L'eliminazione di tutti gU ex appartenenti al partito fascista da ogni attività pubblica deve cessare. A nessun partito deve essere consentito di organizzarsi palesemente e manifestarsi». Così il capo del governo, che si era già preso le sue vendette (l'arresto del maresciallo Cavaliere, che poi si toglierà la vita al comando tedesco; quello di Muti, ex segretario del partito, ucciso misteriosamente dai carabinieri durante la cattura a Fregene), usò particolari riguardi agU esponenti fascisti: scarcerò molti gerarchi, altri come Scorza, Albini, Alfieri U lasciò indisturbati in libertà, permise la fuga di Farinacci che riparò in Germania travestito da pilota tedesco, nominò addirittura Bastianini ambasciatore (ma tenne segreto il luogo dov'era prigioniero Mussolini e il duce venne poi spostato l'8 agosto alla base navale della Maddalena e il 27 agosto in un albergo di Campo Imperatore, sul Gran Sasso). Il pugno di ferro di BadogUo si abbatté soprattutto suUe manifestazioni popolari. Valendosi dei pieni poteri, il maresciallo non esitò a far sparare sulle foUe che invocavano pace, pane, libertà. Il bilancio di queste repressioni fu di 90 morti, 308 feriti e 1554 arresti (mise in prigione più gente BadogUo in 45 giorni che Mussolini in cinque anni): così ordinò l'arresto dell'avvocato Galimberti che il 25 luglio a Cuneo, arringando la gente dal balcone del suo studio, aveva gridato: «Sì, la guerra continua ma fino alla cacciata dell'ultimo tedesco dal nostro Paese», così come fece aprire il fuoco dalla truppa, il 28 luglio a Bari, su un corteo di studenti e insegnanti che chiedevano la scarcerazione di notissimi democratici trattenuti neUe prigioni fasciste - come Peppino Laterza, Tommaso Fiore, Guido De Ruggiero, Guido Calogero - e nella sparatoria cadde ucciso proprio il figlio diciottenne di Fiore, Graziano. Giustamente canterà la Badoglieide, canzone partigiana che nascerà nel Cuneese nei primi giorni del settembre della Resistenza: «... i fascisti U hai liberati / gU antifascisti U hai messi in galera / la camicia non era più nera / ma il fascismo restava il padron». Giuseppe Mayda Precedenza assoluta all'ordine di sparare sulla folla infesta L'8 agosto Mussolini era trasferito alla Maddalena. I bombardamenti colpivano Milano Vittorio Emanuele III A sinistra: l'ultimo incontro fra Hitler e Mussolini. A destra: Garetta Petacci. Sopra: il maresciallo Badoglio. Contro di lui gridò Hitler: «E' stato un tradimento di quel porco».