Maroni: sì all'amnistia ma dopo le elezioni

Il capogruppo dei deputati leghisti, «solo noi possiamo chiederla però prima dobbiamo vincere» Il capogruppo dei deputati leghisti, «solo noi possiamo chiederla però prima dobbiamo vincere» Maroni: sì all'amnistiti, ma dopo le elezioni Ma nel Carroccio nonfutii sono d'accordo Speroni: noi non dar'erno nessun colpo di spugna ROMA. E alla fine anche la Le- i ga disse di sì all'amnistia. Con una mossa che ha sorpreso tutti, in un'intervista al settimanale «Il Sabato», Roberto Maroni, presidente dei deputati leghisti, ha indicato in un «pacifico lavacro democratico prima di una nuova notte dei cristalli», la strada che il Carroccio ha individuato per uscire da Tangentopoli. Immediatamente è polemica. All'interno con l'ala dura, contraria ad un «colpo di spugna» e, all'esterno, con i nemici di sempre, i pidiessini. Achille Occhietto su l'Unità del 27 luglio sosteneva la necessità di una «pacificazione storica» per aprire «la seconda fase della Repubblica». A favore di una soluzione politica parla anche Luciano Violante, presidente della commissione Antimafia, ex magistrato, anche lui del pds. Per la Lega la spiegazione dei movimenti di Botteghe Oscure è chiara: «Si sono accorti che si sta muovendo la Lega», commenta Maroni. A nulla serve ricordare che i pidiessini invocano il diritto di primogenitura: fu Palmiro Togliatti nel 1946 a definire «un atto di clemenza e pacificazione» il decreto di amnistia e indulto che segnò il passaggio dal fascismo alla Repubblica. No, per Maroni nel passaggio dalla prima alla seconda Repubblica a pensare alla «via togliattiana» è stata innanzitutto la Lega. E spiega anche come: «Dopo le elezioni, quando la Lega sarà uscita vittoriosa dalle urne e sarà comunque una forza determinante». Questa condizione, aggiunge, è determinante «perchè in questo Paese si deve creare un clima che consenta all'economia di ripartire e perché la gente possa riconciliarsi con la politica. Allora, solo allora, potrebbe essere possibile un atto di clemenza. Si fece dopo la guerra civile, figuriamoci se non lo possiamo fare noi, dopo il crollo del regime partitocratico». Maroni descrive poi anche che cosa intende per «atto di riconciliazione»: «un complesso di norme che vadano nel senso politico dell'operazione di Togliatti: creare le condizioni della chiusura di un capitolo per poter aprirne uno nuovo». Quella esposta da Maroni rappresenta il punto d'arrivo di una discussione che all'interno della Lega dura da mesi, da quando lo scorso marzo il ministro della Giustizia, Giovanni Conso, elaborò uno schema di decreto sulla chiusura di Tangentopoli. In realtà la discussione non è ancora terminata. Esistono ancora voci nettamente contrarie all'interno del Carroccio, come quella di Francesco Speroni, capogruppo al Senato. «Amnistia alla Togliatti? Alla volemose bene? Se qualcuno pensa che il colpo di spugna che voleva dare Conso lo daremo noi, sbaglia di grosso», avverte. O come quella del suo vice, Antonio Serena: «La soluzione politica è un nuovo tentativo di colpo di spugna in un momento in cui si profilano chiaramente le responsabilità del pci-pds sui finanziamenti di Tangentopoli e si ipotizza una riedizione del compromesso storico in funzione anti-Le ga». Sono i timori dell'ala dura della Lega, quella che fa capo a Gianfranco Miglio, che vengono fuori dai suoi interrogativi. Ma è proprio Maroni a ri spondere e a provare a chiari re il tentativo suo e di Bossi, dell'ala più morbida. «Di noi la gente si fida. Sa che siamo contro quella parti tocrazia che ha fatto di tutto per distruggerci. La gente non accetta la soluzione politica da questo Parlamento. Che non può darsi la clemenza da solo. Può accettarlo se lo di ciamo noi. E' anche vero che, con questi ritmi, ci vogliono dieci anni a celebrare i proces si. E lorsignori, pure se non sono rieletti, restano comun que nel circuito fino alla sen tenza definitiva. Allora, una strada è accelerare i processi dando ai giudici gli strumenti per far funzionare la giusti zia». Ma per Maroni l'obietti vo vero è un altro: dire «chiaro e tondo ai tangentocrati: sparite, fateci lavorare», [f. ama.] Qui a fianco: Roberto Maroni A destra: Francesco Speroni

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