Da via Poma «indili» per la inerte eli Laura di Giovanni Bianconi

A tre anni dal giallo di Roma, filtrano i verbali. Paola Cesaroni: anche mia sorella riceveva telefonate anonime A tre anni dal giallo di Roma, filtrano i verbali. Paola Cesaroni: anche mia sorella riceveva telefonate anonime Da via Poma «indili» per la inerte eli Laura ... Analogie tra i delitti, stesso cerimoniale nell'omicidio di Simonetta ANATOMIA DI UN DELITTO AROMA LLE ore 15 circa ho accompagnato mia sorella alla fermata Subaugusta della metropolitana poiché doveva recarsi in ufficio. Aveva con sé una cartellina con lembi beige, un ombrellino piccolo ripiegabile color rosa fucsia e il manico bianco, la borsetta bronzo e all'interno una bustina viola con una pizzetta per merenda che le aveva dato mia madre». Il «giallo di via Poma» comincia così, con le parole di Paola Cesarotti che racconta al pubblico ministero dell'ultima volta che vide sua sorella Simonetta, trovata morta nell'ufficio dove era andata a lavorare, uccisa da 29 coltellate. Era il 7 agosto 1990, tre anni fa. Il «giallo» è rimasto incompiuto, senza soluzione perché non s'è trovato l'assassino; oggi i giornali ne raccontano un altro, l'uccisione di Laura Bigoni a elusone, che sembra avere molti punti in comune con quello di via Poma. Le ferite nelle zone genitali, per esempio. Simonetta Cesaroni fu colpita, oltre che in altre parti del corpo, anche agli occhi e al pube. Coltellate che nel rapporto al giudice i medici legali hanno spiegato con la volontà di «escludere emblematicamente ogni possibilità identificativa testimoniale, ovvero castigare inesorabilmente l'eventuale diniego sessuale espresso dalla donna, attraverso un aberrante e rappresentativo cerimoniale punitivo». E ancora - ieri a via Poma come oggi a elusone -, la vita giudicata da tutti irreprensibile della vittima, che escluderebbe storie e conoscenze sotterranee sfociate nel sangue. Dice Paola Cesaroni al magistrato: «Mia sorella aveva piena fiducia in me, e raccontava di ogni problema sentimentale e di natura femminile. Sapevo dei suoi costumi sessuali e parlava con me di questioni ginecologiche. Posso così escludere che avesse relazioni clandestine perché mi parlava solo di Raniero, l'attuale fidanzato». Eppure qualcosa che aveva turbato Simonetta, negli ultimi tempi, c'era stato. Testimonianza del padre della ragazza, Claudio Cesaroni: «Invero Simonetta ha detto alla madre di alcune telefonate ricevute nello studio di via Casilina, ma il contenuto delle stesse non era minaccioso. Per quanto mi è stato riferito da mia moglie si trattava di un corteggiatore ignoto, né volgare né minaccioso». Polizia e giudici non sono riusciti a sapere di chi fosse quella voce. Anche Paola, la sera del delitto, accennò alle telefonate anonime ricevute da Simonetta per convincere il suo datore di lavoro, Salvatore Volponi, a dirle il nome della via in cui la sorella era andata a lavorare. Già, perché via Poma, prima della tragica scoperta, non la conosceva nessuno. Era un ufficio in cui Simonetta si recava solo saltuariamente, e nell'ultimo periodo. Il nome della via non lo sapevano in famiglia e - particolare strano, rivelarono subito a casa Cesaroni - non lo sapeva neppure Volponi, al quale Paola si rivolse verso le 9 di sera di quel 7 agosto, un po' preoccupata perché Simonetta non era ancora rientrata. Ecco il suo racconto al magistrato di quella drammatica serata: «Di fronte al mio allarme Volponi cominciò a fare delle telefonate... Ancora oggi ho l'impressione che egli fosse molto agitato, che agisse di fretta e che però mi facesse perdere tempo. Non era in grado di dare né l'indirizzo né il nome dell'ufficio, e ancora oggi la circostanza mi sembra inverosimile, Ricordo che erano stati Bizzocchi (l'altro datore di lavoro, ndr) e Volponi a mandare Si- mona a lavorare in via Poma. Ad un certo punto Volponi disse la parola ostelli, ed allora fui io che, tramite le pagine gialle, trovai l'indirizzo di via Poma... Ci mettemmo in macchina e, senza alcuna incertezza sulla strada da parte del Volponi che dava indicazioni al figlio posto alla guida, arrivammo in via Poma. Volponi in macchina continuava ad essere agitato... teneva le mani serra¬ te fra le gambe e poi gesticolava e si toccava i capelli. Mostrava un'agitazione che in quel momento non aveva alcuna ragione di essere, infatti io ero preoccupata ma non certo disperata...». Ormai sono le 11 di sera, in via Poma arrivano Volponi, il figlio Luca, Paola Cesaroni e il fidanzato Antonello. Suonano alla portineria e Giuseppa Vanacore, moglie di Pietrine, apre. Solo dopo le insistenze di Volponi e di Paola la custode si decìde a prendere le chiavi dell'ufficio degli ostelli della gioventù. Il gruppo sale al terzo piano del palazzo, guidato da Giuseppa Vanacore. Racconta Paola: «Era titubante, non voleva aprire, l'abbiamo pregata e così l'ha fatto. Infilando le chiavi diede più mandate, la porta era chiusa a chiave e ce lo fece notare dicendo "Vedete, è chiusa a chiave". Apre, e dentro è buio. Allora (la custode, ndr) dice "Io non entro, con quel che avete detto ho un po' paura", allunga il braccio alla sinistra della porta e spinge un interruttore. Si illuminano due stanze, quella di fronte alla porta e un'altra a sinistra. Volponi entra e va nell'ufficio di fronte alla porta, dà un'occhiata veloce e poi si reca in fondo al corridoio. Io ero sulla porta, mi affaccio e lo vedo tornare con le mani tra i capelli, si avvicina e chiama Antonello. A quel punto io scatto di corsa per vedere cosa c'era e trovo in penombra la figura di mia sorella a terra. Comincio a gridare, mi portano via a forza Volponi e il figlio. Antonello entra nella stanza, fa luce con un accendino e vede la tragedia. Telefona subito al 113 da un telefono sulla scrivania della stanza». Comincia l'indagine sul delitto di via Poma, i poliziotti interrogano subito Paola: «Mi hanno riportata al terzo piano per continuare le domande su mia sorella. Ormai sapevo che non c'era più, però non sapevo come, perché...». Dopo tre anni, un arresto, infinite analisi del sangue, comparsa e scomparsa di super-testimoni, avvisi di garanzia e richieste di rinvio a giudizio respinte, nessuno - tranne l'assassino - sa ancora come, perché. Giovanni Bianconi «Un corteggiatore misterioso e respinto la chiamava spesso» ^mmmm lllill 111 Simonetta Cesaroni e sotto Laura Bigoni, uccisa a Clusone

Luoghi citati: Clusone, Roma