«lo il Grosso lui Gandhi» Storia di una vita per due

Poi ha un gesto di stizza verso i «suoi» paparazzi «lo il Grosso, lui Gandhi» Storia di una vita per due L'AMICO DEL CUORE FRIMINI EDERICO e Titta. «Gandhi» e «Il Grosso»..Storia di due amici. L'amicizia, a volte, ti raddoppia la vita. Ti regala anche quella di un altro, quasi fosse una parte della tua, un dono di luce riflessa, che ti illumina, e quello che accade su quel palcoscenico è come se succedesse a te. Ti regala sorrisi, quando l'altro ti mette un soprannome e non te lo leva mai più; risate, quando ti prende in giro come solo lui sa e solo a lui consentiresti; lacrime, quando lo aspetti al tavolo di un'osteria e non lo vedi arrivare, poi qualcuno ti viene a dire: «Federico Fellini è in ospedale, ha avuto un malore al Grand Hotel, un ictus». Allora Titta Benzi, che è il decano degli avvocati di Rimini, il numero uno dei penalisti, uno che se lo vedi in giro e non lo conosci pensi «Guarda quello, sembra un personaggio da film di Fellini», si alza dal tavolo, si appoggia al suo bastone col pomo d'argento e corre, per quanto può, col cuore in gola e la mente che viaggia all'indietro, a ripercorrere sessantotto anni di una vita per due, mentre aspetta di rivedere Federico, il suo «Gandhi». L'ha rifatta tante volte, quella strada della memoria. La ripete anche ora, nel pomeriggio di un'estate diversa da tutte le altre, perché le cose stanno cambiando, la storia accelerando, i destini sembrano più fragili, anche in questa atmosfera di Rimini forever, più cartolina che ' città. Ripassa la storia della sua amicizia con Fellini, l'avvocato Titta Benzi, con la paura di sfogliare un libro all'epilogo e la certezza che «No, boia d'un mondo, quel pataca ce la fa anche stavolta». Lei e Federico, come comincia la storia? «Sulla spiaggia di Rimini, nel 1925. Non era ancora estate, ci portavano al mare prima, a noi del posto. Sarà stato maggio. I nostri due padri coi calzoncini al ginocchio e le canotte e noi due, bambini ancora sconosciuti, che ci avviciniamo giocando con la sabbia. Non siamo mica diventati subito amici, anzi. Finì che facemmo la lotta. A Federico piace ricordare che quella fu l'unica volta in cui mi ha battuto. Mi ha dato una gran botta sulla testa e io sono crollato. Dice lui. Ma io non ne sono tanto convinto che sia andata così». E dopo, quando vi siete rivisti? «Al ginnasio. Compagni di banco per otto anni. A scuola Federico era un vagabondo di prima categoria. Non apriva mai un libro. Durante le lezioni passava il tempo facendo le caricature degli insegnanti. Si prestavano bene, avevano proprio delle facce da "Amarcord". In una li rappresentò come bersaglieri alla presa di Porta Pia. Loro non apprezzavano, erano tempi di severità, quelli. Lo consideravano un perdigiorno. Eppure finiva sempre per essere promosso. Non so neanch'io come facesse. Non studiava mai. Passavamo i pomeriggi a casa sua: io, sui libri; lui, suonando il mandolino, leggendo prima Salgari poi Edgar Wallace. Al mattino in aula mi chiedeva "Dì ben, Grosso, oggi cosa ci chiedono?". Io lì, a spiegarglielo, e magari andava meglio lui di me. Nonostante il carattere» Brutto carattere? «No, ma indipendente. Incapace di sottostare ai comandamenti. Senta questa. Una volta il professore di cultura militare ci dà un tema: "Parlate dei doveri del capo centuria". Lui scrive, testualmente: "Io i doveri del capo centuria non li conosco. Se qualcuno li vuol conoscere si rivolga al mio amico Titta Benzi che è, tra l'altro, capo centuria". Punto e firma. Segue deferimento per aver ironizzato sull'autorità fascista. E' rimasto un tipo così, indipendente, per tutta la vita. Fa solo i film che vuole, avrebbe potuto guadagnare palate di miliardi, facendone di più, ma il denaro non gli interessa. Non so se sia facile o difficile essere amico di uno così. Per me è sempre sta- to impossibile non volergli bene» Mai uno screzio, mai un tradimento, nemmeno per una donna? «Mai. Ne abbiamo corteggiate tante, mai la stessa. Lui era più fortunato di me, io ero troppo grasso. Ma si rimediava poco tutti, allora. Altri tempi, tecniche di seduzione, come dire "vaporose", più desideri che fatti. Ed era bello così. Una volta me lo vedo arrivare tutto eccitato. Mentre veniva da me in bicicletta gli si era sgonfiata una gomma. Una ragazza lo aveva aiutato a ripararla. E poi, "E poi, Grosso, mi ha baciato. Oh, mi ha cacciato tutta la lingua nella bocca". Lui era ancora tutto rosso. Lei era la "Volpina", quella.di Amarcord, con lo sguardo da gatto e il mitico neo. L'ho vista l'altro giorno, ha settant'anni e passa, ma è ancora una bella donna. Io di quelle fortune lì non ne ho mai avute. Una volta m'innamoro di una, ma non oso avvicinarla. "Scrivile una poesia", mi dice Federico. E io butto giù: "Bella sana e gentile Dio ti fece come una rosa/di te mai cosa amai di più/ma i fati negano che ai miei baci/schiuda le belle labbra procaci". Quando gliela lessi prima di dargliela lui si ammazzò dalle risate: "Oh, se non ti casca fra le braccia questa sei finito". Niente da fare. E un anno dopo morì d'epilessia, povero fiore. Abbiamo passato il resto della vita, io e lui, a raccontarci tutto, a coprirci, senza mai tradirci» ' Ha mai desiderato fare uno scambio di vite? «Sì, anche adesso. Soprattutto adesso, per affetto» Mai provata invidia? «Quello è un sentimento fra estranei, non fra amici» Mai pensato: «Però questo qui si è montata la testa»? «Con Federico? Impossibile. Non si è ancora reso conto lui, di quello che è diventato. L'altro giorno mi fa: "Grosso, ma che cazzo, ti sei reso conto che mi considerano il più grande regista del mondo?". E io: "E chi se ne frega, ti faccio una fila di pernacchie, Gandhi". Senta quest'altra. Proprio due giorni fa vado a trovarlo al Grand Hotel. C'è lì un signore che lui mi presenta: è Roversi Monaco, il rettore dell'Università di Bologna. Vuole dargli una laurea honoris causa e lui la rifiuta. "In che cosa? ", gli dice, "Certamente in una materia che non conosco. Non amo questo tipo di cose. Piuttosto, lei che conosce tanti scienziati e ricercatori, perché non mi dà una lozione che mi faccia ricrescere i capelli?". Capito che tipo è Federico?» Vi siete fatti molti scherzi? «Un'infinità. Ce n'è uno suo, che non dimenticherò mai. Roma, 1955. Io ho già il patrocinio in cassazione e vado a discutere una causa. Lui vive là da anni. Come sempre, mi ospita. Gli porto trenta bottiglie di Sangiovese. Alla sera c'è una festa. Ci sono Anna Magnani, Anthony Franciosa e altre star. Lui mi presenta come il più grande avvocato d'Italia. "Domani in tribunale ti porto io, con la Studebaker", mi dice prima di andare a dormire. E così fa. Arriviamo davanti al portone, presidiato da due carabinieri in alta uniforme. Lui scende e mi apre lo sportello: "Si accomodi onorevole", dice attirando l'attenzione. Io sto al gioco e incedo in pompa magna. Ho appena varcato la soglia quando lui mi arriva dietro, mi tira un calcione nel Sedere e urla "Macché onorevole, è un qualsiasi puzzone di Rimini". Non gli è mai passata, la voglia di scherzare» Neanche dopo il malore? «Macché. Ieri sera a un certo punto si è tirato giù il lenzuolo facendomi vedere il corpo smagrito e torturato dalle operazioni e mi ha detto "Guardami Grosso, sembro San Sebastiano". Io lo guardavo sì, e soffrivo. Come quando mi ha chiesto di scaldargli i piedi perché li sentiva freddi. Glieli ho massaggiati tutti e due, anche quello che non sente più niente, perché non se ne accorgesse. Sembra tornato Gandhi. Non è mai cambiato dentro. Ce la fa, io dico che ce la fa. Vorrà mica lasciarmi qui a ricordare tutto da solo. Ce la fa, boia d'un Gandhi». Gabriele Romagnoli La scuola, gli amori, gli scherzi «Né invidie né tradimenti Mi ha fatto piangere, ma ce la farà» A fianco una scena del film Amarcord, in cui gli attori incarnano gli amici della gioventù riminese di Fellini, sotto l'avvocato Luigi «Titta» Benzi, amico del cuore del regista da 68 anni Un'immagine giovanile di Federico Fellini, durante gli anni in cui il regista viveva a Rimini, città che ha lasciato a diciotto anni per sfondare nel cinema a Roma

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